[Forzani-Mazzocchi traducono] Il sesto Patriarca, rivolto al discepolo Gyosho, disse: «La realtà è non schema, ecco la natura autentica; la realtà è schema, ecco il cuore che discerne il bene e il male di ognuna di tutte le cose».
Questo non schema detto dal sesto Patriarca non ha nulla a che fare con il criterio di valutazione insegnato nei due sistemi fuorviati del Teravada e simili [1]. I fondatori e sfondatori[2] di quei sistemi fuorviati affermano: Trovato, eccolo qui il non schema! Ma non sono in grado di sondare fino in fondo quanto dicono.
[Carl Bielefeldt traduce] Il Sesto Antenato, nel dare un insegnamento al suo discepolo Gyōshō, disse una volta, “L’impermanenza è, naturalmente, la Natura di Buddha, e la permanenza è, in realtà, la mente che divide tutte le cose in buone o cattive”. L’impermanenza di cui parlava il Sesto Antenato è al di là delle congetture dei non buddisti e di coloro che seguono i Due Corsi minori. [/CB]
Questo non schema, da se stesso, con la parola, con l’azione, con la testimonianza manifesta il suo non essere schema (il suo essere oltre a non schema e schema, impermanenza e permanenza, ndr): tutto questo e non altro corrisponde a non schema.
Ora, l’uomo deve ottenere la salvezza manifestandola nel suo corpo, quindi rendendola presente nel suo corpo così annuncia la via [3]. Questo è la natura autentica.
[Carl Bielefeldt traduce] Quindi, per chi vuole chiarire, mettere in pratica e realizzare pienamente l’impermanenza come impermanenza in sé, tutto sarà impermanenza. Coloro che possono aiutare gli altri a raggiungere l’Altra riva manifestando il loro Vero Sé lo manifesteranno e daranno voce al Dharma per questo scopo: questa è la Natura di Buddha. [/CB]
[→uma] “L’uomo deve ottenere la salvezza manifestandola nel suo corpo”. “Coloro che possono aiutare gli altri a raggiungere l’Altra riva manifestando il loro Vero Sé lo manifesteranno e daranno voce al Dharma per questo scopo”.
Metto a confronto le due espressioni perché risalta la scelta culturale di Forzani-Mazzocchi nell’uso del termine “salvezza” – espressione propriamente cristiana – come dell’inciso che sottolinea “nel suo corpo” altra ossessione di quella cultura cristiana che ha patito un eccesso di trascendenza. Non credo che oggi Jiso tradurrebbe allo stesso modo, d’altra parte allora era inserito in un processo e di quello questa traduzione rende testimonianza.
E ancora, chi è alto incarna la via essendo alto, chi è basso incarna la via essendo basso[4]. Lo schema dei santi, anche questo è non schema; lo schema dei mondani, anche questo è non schema. Se il santo e il mondano rimangono nel loro schema, allora non ci può essere natura autentica. È una sciocca visione superficiale, è una visione ristretta a un criterio predeterminato. Quale piccolezza per il corpo del Budda! Quale piccolezza per l’opera della natura! Perciò il sesto Patriarca insegna: la realtà è non schema, ecco la natura autentica.
[Carl Bielefeldt traduce] Inoltre, a volte mostreranno il Corpo del Dharma come qualcosa di alto e a volte come qualcosa di basso. Ciò che è costantemente santo è impermanente e ciò che è costantemente ordinario è impermanente. L’opinione che coloro che sono solo persone ordinarie e non sante, e che quindi devono essere prive della Natura di Buddha, è un’opinione sciocca sostenuta da alcune persone dalla mentalità ristretta; tale opinione costituisce una prospettiva ristretta che il loro intelletto ha congetturato. Per la mentalità ristretta, il “Buddha” è un corpo e la “Natura” è il suo funzionamento, ed è proprio questo il motivo per cui il Sesto Antenato disse: “Ciò che è impermanente è, naturalmente, la Natura di Buddha”. [/CB]
Schema è non essere in moto. Non essere in moto: sia che tu impersoni la parte del soggetto, sia che tu faccia la parte dell’oggetto, prescindendo dai tuoi tracciati passati o futuri, questo è schema. Senza dubbio!
[Carl Bielefeldt traduce] Ciò che sembra costante semplicemente non ha ancora subito un cambiamento. “Non ha ancora subito cambiamenti” significa che, anche se possiamo spostare la nostra prospettiva verso il nostro io soggettivo o verso il mondo oggettivo, esterno, in entrambi i casi non ci sono segni di cambiamento da trovare. [/CB]
[→uma] C’è schema e assenza di impermanenza/natura autentica/Ciò-che-È se c’è identificazione con un soggetto o un oggetto: è l’identificazione che focalizza e cristallizza la consapevolezza impedendo di contemplare il Ciò-che-È.
L’identificazione, quel: “Sono io, è mio”, impedisce lo sguardo profondo perché blocca la realtà su un soggetto/oggetto che non esiste, non è realtà: se la consapevolezza è focalizzata sull’irrealtà, la natura autentica non può affiorare pur essendo essa sempre presente ed essente ma, evidentemente, condizionata da dove risiede la consapevolezza dell’attimo presente. [/uma]
- Questo non schema di erbe e alberi, cespugli e boschi è natura autentica.
- Questo non schema degli esseri umani, corpo e spirito è natura autentica.
- Questo non schema di montagne e fiumi di ogni terra, è in quanto è natura autentica.
- L’insuperabile perfezione[5] è natura autentica, proprio per questo è non schema;
- il risveglio definitivo di Budda è non schema, proprio per questo è natura autentica.
Le piccole vedute dei due sistemi e i tre canestri dei commentatori dei Sutra e simili, devono meravigliarsi, dubitare e temere di fronte a questa indicazione del sesto Patriarca. Se non si meravigliano, né dubitano, sono una sorta di demoni.
[1] I due sistemi fuorviati o eretici che dir si voglia, detti in sancrito sravaka e pratyekabudda , sono quelli che privilegiano la via ascetica integralista (il primo) e la via autodidatta individualista (il secondo): in generale i sistemi che pongono l’autoperfezionamento personale come meta del cammino religioso.
[2] Qui c’è un gioco di parole in giapponese che ironizza sul fatto che i fondatori di questi sistemi sono nel contempo i distruttori della Via e nella stessa espressione è contenuta la sfumatura che costoro sbagliano dall’inizio alla fine.
[3] Questo è un famoso verso della sezione dedicata a Kannon, il bodisattva della compassione, del Sutra del Loto (Hokke kyo).
[4] Espressione tratta da un dialogo in cui il discepolo domanda al maestro la differenza fra alto e basso dal punto di vista del darma, della vera norma.
[5] Anokutara sanmyaku sanbodai. È l’espressione buddista che dice la più alta perfezione, il vertice insuperabile.
Fonte: Busshō. La natura autentica, di Eihei Doghen. A cura di Giuseppe Jiso Forzani. Edizioni EDB, Bologna, marzo 2000.
Fonte: Carl Bielefeldt
Nota del curatore
Lavorando sullo Shōbōgenzō di Dōgen e non volendo in alcun modo produrre una esegesi delle sue parole, la mia unica preoccupazione è: di fronte a questo concetto, a questa visione, a questo stato che Dōgen dichiara, io cosa provo, cosa sento? Sono capace di indagare il mio interiore nella sottigliezza di certi stati, e possiedo un linguaggio, dei simboli per trasmettere il provato/sentito?
Dōgen mi mette con le spalle al muro e, quando fatico per attraversare le nebbie del testo tradotto, il mio intento è quello di giungere a cosa sentiva lui, a quale sentire rimanda la sua parola, per compiere il percorso che dal suo simbolo mi conduce a ciò che sento. È nel sentire che lo incontro, passando attraverso le nebbie delle parole e dei concetti.
Il passo successivo è: posso osare trasmettere ciò che sento utilizzando il linguaggio simbolico che mi è proprio e che credo sia, in questo tempo, più universale di quello tramandatoci dagli antenati?
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