Fonti: Tollini, Pratica e illuminazione nello Shobogenzo, Mediterranee.
Shōbōgenzō di K.Nishiyama, traduzione S.Oriani
Shōbōgenzō, tradotto da Gudo Nishijima e Chodo Cross
[Oriani traduce] Il Maestro Nazionale Daishō era il miglior discepolo del sesto Patriarca, e la sua comprensione del Dharma era insuperata. La vera norma del Dharma del Buddha si trova nel suo profondo insegnamento; evitate qualunque opinione derivante da Senika.
L’insegnamento “La nostra mente è Buddha” è stato trasmesso da Buddha a Buddha e da Patriarca a Patriarca. È il supremo Insegnamento del Buddha e i seguaci di Senika, o uno studente Hīnayāna, non possono neppure sognarsi di raggiungere questa saggezza. “La nostra mente è Buddha” è la realizzazione della mente-di-Buddha attraverso e all’interno del nostro campo di esperienza.
Ogni e ciascun aspetto dell’esistenza è a sé stante*, e costituisce una singola esistenza indipendente, cioè la natura-di-Buddha. Questo è quello che si chiama “Corpo e mente lasciati cadere.”** Questa realizzazione è dinamica, non è come la statica esistenza di una statua. Ma non aspettatevi che questa verità appaia facilmente e senza sforzo; senza sforzo la verità resta nascosta.
*“Ogni e ciascun aspetto dell’esistenza è a sé stante” Tutto esiste nella condizione di Essere, non come conseguenza di un passato e anticipazione di un futuro: questa è la comprensione del contemplante del momento presente senza tempo. Questa esperienza dell’Essere-senza-tempo, è esperienza della natura di Buddha, del Ciò-che-È. Ogni momento è Ciò-che-È e nella sua eternità va sentito; eternità senza scopo, immediatezza che è anche infinità profondità.
**“Corpo e mente lasciati cadere.” Ogni cosa duale o no, è lasciata cadere, è abbandonata, disconnessa e la consapevolezza è pervasa dal solo Ciò-che-È. Da questo sorge sokushin zebutsu: “Questa consapevolezza unitaria è Essere“.
Non dunque: “la mente che abbiamo è Buddha“, ma “la consapevolezza unitaria che sorge proprio ora è Essere“. Consapevolezza d’Essere e d’Esistere.
Non dunque la mente, un piano dell’antropologia umana, un corpo, un organo è il Buddha, ma un livello della consapevolezza/sentire è il Buddha/Essere: questa è un’affermazione apparentemente scontata ma solo perché non si riflette a sufficienza sull’ambiguità del termine “mente”.
Il termine mente/shin rimanda a un apparato ma è completamente fuorviante, in realtà con esso si intende, come dicono Forzani e Tollini, anche “cuore”, ma anche questo è fuorviante, sembra che l’umano non riesca a parlare altro che per metafore di organi e apparati: shin/mente/cuore è un livello della consapevolezza, dunque del sentire, della struttura della coscienza perché la consapevolezza esperibile è relativa all’evoluzione del sentire.
→ La “mente” è dunque il sentire, la sua consapevolezza che affluisce unitaria alla percezione dei corpi transitori: mente, astrale, fisico. In questi corpi si imprime, meglio, si esprime, il grado di sentire conseguito da un lato, e dall’altro il sentire compiuto che di nulla manca e che non diviene: l’Essere.
È una consapevolezza unitaria di due livelli compenetrati: il sentire relativo è porta per il sentire compiuto. Il sentire relativo, che diviene, apre al sentire compiuto, che È.
Questa consapevolezza è sperimentabile quando il sentire relativo ha una data ampiezza, non prima. Prima esistono solo le possibilità offerte dal divenire, ma da un certo grado di sentire in poi si apre la possibilità della sua esperienza/percezione, esperienza che spalanca l’abisso del sentire compiuto/Essere.
Attraverso l’atto contemplativo – e dunque non certo attraverso il solo zazen – il momento presente diviene un gorgo di profondità: gorgo (è chiaramente solo un’immagine) che conduce attraverso al sentire relativo fino a precipitare la consapevolezza nell’abisso. Abisso di cui non possiamo dire perché complessa è la sua decodifica, ma di cui avvertiamo il senso che porta, la pienezza saturante, la vastità illimitata, il senso di unità che realizza.
[Oriani prosegue] “Corpo e mente lasciati cadere” rappresenta la verità universale, la reale esistenza nel presente che né si volge indietro verso il passato, né balza in avanti verso il futuro. Essa è pura e non è contaminata da elementi esterni, l’opposto dell’acqua melmosa. Non importa come la esprimiamo: “La nostra mente è Buddha”, o “Buddha è la mente”, ecc.. È la dottrina fondamentale della corretta trasmissione che dobbiamo studiare.
“L’unica Mente è ogni cosa e ogni cosa è contenuta in questa unica Mente.”*** Questa è la mente che è stata trasmessa fino ai giorni nostri. Gli antichi affermavano che se la mente è limpida si può comprendere ogni cosa. Il cielo può cadere e disintegrare la terra, ma la mente resterà. Se sappiamo padroneggiare questa mente, davvero tutte le nostre azioni recheranno frutto.
Troppo pensare e andiamo troppo in là, oltre la meta; troppo poco e non riusciamo a raggiungere la verità.
***”L’unica Mente è ogni cosa e ogni cosa è contenuta in questa unica Mente“. Tutto è Essere, ogni fatto, esperienza, situazione: tutto è contemplato e sentito come stato unitario, Essere.
L’esperienza dell’Essere è esperienza che non divide/separa mai, che in sé contiene ogni aspetto che nel duale è frammento, nell’Essere è e conferisce “senso unitario d’Essere e di Esistere”.
[Tollini traduce (difficile fare dei paralleli con Oriani, ndr)] (Esaminiamo ora i quattro caratteri separatamente del sokushin zebutsu, nell’ordine: butsu soku ze shin)
BUTSU (“Buddha”) ha preso nelle sue mani le “cento erbe” 560 e le ha gettate via. Una statua di Buddha d’oro alta sei piedi non gli assomiglia. 561
SOKU (“questo stesso che abbiamo”) è avere un kôan. Non attendersi la soluzione (del kôan), ma neppure sfuggire al fallimento. 562
ZE (“essere”) è i tre mondi (del passato, presente e futuro). Non è sfuggirne fuori e neppure “tutto è solo mente”. 563
SHIN (la “mente””) è tegole e muri. Ma non è fatta con fango misto ad acqua, e non è neppure una cosa costruita. 564
Oltre al sokushin zebutsu si consideri shinsoku butsuze, butsusoku zeshin, sokushin butsuze, zebutsu shinsoku. 565
In questo modo, si ha il vero sokushin zebutsu, considerando tutte queste varianti, si ha la trasmissione del vero sokushin zebutsu. Così esso è stato trasmesso correttamente fino a oggi secondo la concezione per cui la mente che lo ha trasmesso è: “una mente è il tutto e il tutto è una mente”.
Così gli antichi dicevano:”Se un uomo ottiene la conoscenza della mente, in tutta la grande terra non c’è un centimetro di suolo”. Si sappia che quando si ottiene la conoscenza della mente il grande cielo scende giù e la terra si apre. Oppure si può anche dire che allora la terra si accresce di tre centimetri. 566
560 Le “cento erbe” sono le cose del mondo. Il Buddha storico ha rinunciato alle cose del mondo.
561 Per quanto magnifica possa essere una statua dorata del Buddha, il vero Buddha è, comunque,
tutt’altra cosa. Nishijima Gudo & Cross Chodo traducono: “but they have never represented themselves as a sixteen-foot golden body”.
562 È l’impasse del kôan: non aspirare alla sua comprensione e allo stesso tempo non cercare di sfuggire alla non-comprensione. Nishijima Gudo & Cross Chodo traducono: “Universe exists”.
563 “Tutto è solo mente”: in giapponese yuishin. Si riferisce a una delle grandi scuole del Mahayana, detta “idealismo”, fondata dallo studioso indiano Asanga del IV secolo e dell’inizio del V secolo d.C.
Insegna che la realtà non è altro che una rappresentazione mentale.
564 L’espressione “la mente è tegole e muri” (o qualcosa di equivalente) è molto ricorrente nell’opera di
Dôgen. Egli vuole intendere che la mente è la realtà concreta, è tutto ciò che vediamo e tocchiamo****, o in altre parole tutto quello con cui veniamo in contatto, senza separazione. Però, allo stesso tempo non è qualcosa che abbia forma definita, cioè qualcosa di “costruito”.
****“La mente è la realtà concreta, è tutto ciò che vediamo e tocchiamo”: tutto è Essere. Non è un altrove, Essere, è un modo di sentire – non di percepire – il Reale e le sue mille declinazioni come reale. Gli organi della percezione sono quelli dei corpi transitori, e quelli restano, ma ciò che è soggetto a percezione attraverso questi organi viene sentito in modo altro.
I fatti sono fatti, le montagne montagne, ma c’è modo e modo di sentire i fatti e le montagne: di sentire, non di percepire. Il realizzato, colui/colei che vive nell’unità d’Essere, sente in modo peculiare il Reale/reale, un modo peculiare che lo accomuna a tutti coloro che hanno equipollente ampiezza di comprensione/sentire.
565 Questi “giochi linguistici” con cui Dôgen decompone e ricompone le quattro parti della frase
(corrispondenti a quattro ideogrammi) come un puzzle, sono difficilmente traducibili. Né credo, abbiano lo scopo di essere compresi letteralmente, nelle intenzioni di Dôgen. Piuttosto, ciò che Dôgen vuole dire è che la realtà va vista da tutti i punti di vista possibili, per quanto assurdi possano sembrare. Queste prospettive inusuali, infatti, aprono spiragli su dimensioni che vanno oltre la realtà ordinaria.
566 Queste espressioni sono un modo concreto per rendere la rivoluzione interiore conseguente alla comprensione della natura della mente.
- → Contemplare il paradigma del Cerchio Firenze 77:
non un commento ma delle contemplazioni attorno ai fondamenti dell’Essere e del divenire. - Eremo dal silenzio, tutti i post dei siti
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