Sokushin zebutsu, Dōgen: consapevolezza d’Essere 5-6-7

[Oriani traduce] Il Maestro Nazionale Daishō era il miglior discepolo del se­sto Pa­triarca, e la sua comprensione del Dharma era insuperata. La vera norma del Dharma del Buddha si trova nel suo profondo inse­gnamento; evitate qualunque opinione derivante da Senika.

L’insegnamento “La nostra mente è Buddha” è stato tra­smesso da Buddha a Bud­dha e da Patriarca a Patriarca. È il supremo Insegnamento del Buddha e i seguaci di Senika, o uno studente Hī­nayāna, non possono neppure sognarsi di raggiungere questa saggezza. “La no­stra mente è Buddha” è la realizzazione della mente-di-Buddha attra­verso e all’interno del nostro campo di espe­rienza.

Ogni e cia­scun aspetto dell’esistenza è a sé stante*, e costi­tuisce una singola esistenza indipendente, cioè la natura-di-Buddha. Questo è quello che si chiama “Corpo e mente lasciati cadere.”** Questa rea­lizzazione è dinamica, non è come la statica esistenza di una statua. Ma non aspettatevi che questa verità appaia facilmente e senza sfor­zo; senza sforzo la verità resta nascosta.

[Oriani prosegue] “Corpo e mente la­sciati cadere” rappresenta la verità universale, la reale esistenza nel presente che né si volge indietro verso il passato, né balza in avanti verso il futuro. Essa è pura e non è contaminata da elementi esterni, l’opposto dell’ac­qua melmosa. Non im­porta come la esprimiamo: “La nostra mente è Bud­dha”, o “Buddha è la mente”, ecc.. È la dottrina fondamentale della corretta trasmissione che dobbiamo stu­diare.

L’unica Mente è ogni cosa e ogni cosa è contenuta in questa unica Mente.”*** Questa è la mente che è stata trasmessa fino ai giorni nostri. Gli antichi affermavano che se la mente è limpi­da si può comprendere ogni cosa. Il cielo può cadere e disinte­grare la ter­ra, ma la mente resterà. Se sappiamo padroneggiare questa mente, davvero tutte le nostre azioni recheranno frutto.
Troppo pensare e an­diamo troppo in là, oltre la meta; troppo poco e non riu­sciamo a rag­giungere la verità.


[Tollini traduce (difficile fare dei paralleli con Oriani, ndr)] (Esaminiamo ora i quattro caratteri separatamente del sokushin zebutsu, nell’ordine: butsu soku ze shin)
BUTSU (“Buddha”) ha preso nelle sue mani le “cento erbe” 560 e le ha gettate via. Una statua di Buddha d’oro alta sei piedi non gli assomiglia. 561
SOKU (“questo stesso che abbiamo”) è avere un kôan. Non attendersi la soluzione (del kôan), ma neppure sfuggire al fallimento. 562
ZE (“essere”) è i tre mondi (del passato, presente e futuro). Non è sfuggirne fuori e neppure “tutto è solo mente”. 563
SHIN (la “mente””) è tegole e muri. Ma non è fatta con fango misto ad acqua, e non è neppure una cosa costruita. 564

Oltre al sokushin zebutsu si consideri shinsoku butsuze, butsusoku zeshin, sokushin butsuze, zebutsu shinsoku. 565
In questo modo, si ha il vero sokushin zebutsu, considerando tutte queste varianti, si ha la trasmissione del vero sokushin zebutsu. Così esso è stato trasmesso correttamente fino a oggi secondo la concezione per cui la mente che lo ha trasmesso è: “una mente è il tutto e il tutto è una mente”.
Così gli antichi dicevano:”Se un uomo ottiene la conoscenza della mente, in tutta la grande terra non c’è un centimetro di suolo”. Si sappia che quando si ottiene la conoscenza della mente il grande cielo scende giù e la terra si apre. Oppure si può anche dire che allora la terra si accresce di tre centimetri. 566

560 Le “cento erbe” sono le cose del mondo. Il Buddha storico ha rinunciato alle cose del mondo.
561 Per quanto magnifica possa essere una statua dorata del Buddha, il vero Buddha è, comunque,
tutt’altra cosa. Nishijima Gudo & Cross Chodo traducono: “but they have never represented themselves as a sixteen-foot golden body”.

562 È l’impasse del kôan: non aspirare alla sua comprensione e allo stesso tempo non cercare di sfuggire alla non-comprensione. Nishijima Gudo & Cross Chodo traducono: “Universe exists”.

563 “Tutto è solo mente”: in giapponese yuishin. Si riferisce a una delle grandi scuole del Mahayana, detta “idealismo”, fondata dallo studioso indiano Asanga del IV secolo e dell’inizio del V secolo d.C.
Insegna che la realtà non è altro che una rappresentazione mentale.

564 L’espressione “la mente è tegole e muri” (o qualcosa di equivalente) è molto ricorrente nell’opera di
Dôgen. Egli vuole intendere che la mente è la realtà concreta, è tutto ciò che vediamo e tocchiamo****, o in altre parole tutto quello con cui veniamo in contatto, senza separazione. Però, allo stesso tempo non è qualcosa che abbia forma definita, cioè qualcosa di “costruito”.

565 Questi “giochi linguistici” con cui Dôgen decompone e ricompone le quattro parti della frase
(corrispondenti a quattro ideogrammi) come un puzzle, sono difficilmente traducibili. Né credo, abbiano lo scopo di essere compresi letteralmente, nelle intenzioni di Dôgen. Piuttosto, ciò che Dôgen vuole dire è che la realtà va vista da tutti i punti di vista possibili, per quanto assurdi possano sembrare. Queste prospettive inusuali, infatti, aprono spiragli su dimensioni che vanno oltre la realtà ordinaria.

566 Queste espressioni sono un modo concreto per rendere la rivoluzione interiore conseguente alla comprensione della natura della mente.

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