Vorrei spingere la vostra attenzione al «sentire» dell’Uno-Assoluto perché, meditando sull’Eterno Presente, è facile cadere nell’errore di questo «tutto esistere in un attimo», «in cui tutto v’è», e dimenticare il «sentire».
Fonte: Ogni fase è un sentire, dal libro: Cerchio Firenze 77, Oltre l’illusione, ed. Mediterranee.
Nei brani dei testi che sono sottoposti ad analisi, il grassetto di termini e frasi riguarda parole chiave e concetti cardine da sottoporre alla contemplazione secondo il sentire del curatore; ogni lettore, chiaramente, può sentire in modo differente.
Il commento di uma non vuole spiegare il testo di Kempis e del Cerchio Firenze 77, sono semplici contemplazioni sviluppate a partire da un impulso presente nel testo.
Dimenticare che ciascuna mutazione è un «sentire», dimenticare che il virtuale frazionamento è un «sentire», che ogni fase della vita dell’individualità è un «sentire». E perfino che le varie fasi del Cosmo sono fasi che vanno dalla sensibilità alla coscienza, al «sentire» vero e proprio.
Quindi, figli, non dimenticate che in questo Eterno Presente, in questo Suo stato di esistere, c’è il «sentire» dell’Uno-Assoluto. Non costringete questa visione dell’Eterno Presente in uno schema in fondo panteistico o meccanicistico, o freddo; quasi come una fotografia di tutto quanto è, ma pensate che se tutto quanto è esiste nello stesso attimo eterno, ciò non vuol dire che sia un esistere privo di sentimento; anzi è soprattutto ed essenzialmente un «sentire».
Meditate su quello che vi viene detto. DALI
[→uma] Qui Dali ricorda che tutto è essenzialmente sentire. Nel post precedente evidenziavamo come l’Eterno Presente inteso come archivio di fotogrammi possa trarre in errore perché induce a pensare che il sentire scorra fotogrammi preesistenti: in verità, il sentire scorre secondo le sue logiche e necessità ed “estrae” dall’indifferenziato quelle che chiamiamo scene soggette alla percezione.
Sgomberato il campo da questo equivoco – che conduce ad affidarsi a una realtà preesistente generata non si sa bene da chi, magari dall’Assoluto per noi?!- rimane solo la piena responsabilità di ciò che attimo per attimo viene da noi sentito, perché è quello che genera la nostra realtà su tutti i piani che frequentiamo (akasico, mentale, astrale, fisico).
Ecco la necessità della contemplazione continua del sentire operante. Naturalmente il termine “continua” ci inquieta perché ci sembra un’impresa aldilà delle nostre possibilità, ma dimentichiamo che tutto è ritmo e dunque anche lo stato di contemplazione lo è. “Continua” significa che tutto torna a essa, tutta la consapevolezza torna incessantemente alla contemplazione.
Nella contemplazione accade l’osservare, l’ascoltare, lo stare: l’insieme dei sensi dei vari corpi è concavo e vigile, l’intero sistema è “sospeso” nello stare, tutto l’essere è focalizzato sul sentire, sente il sentire dell’attimo senza tempo.
Il contemplativo prima di sapere, sente: sa che nessuna realtà è preesistente e di ciascuna il suo sentire è matrice generatrice di processi. Sa, perché sente, che se ora sta ruzzolando è perché ha messo a suo tempo un piede in fallo: non può indulgere nel vittimismo, è una possibilità che non ha.
Chi si affaccia alla vita contemplativa non teme la disciplina che sorge implicita e naturale, semmai ha un tremore di fronte all’impossibilità di qualsiasi fuga perché l’essere suo si palesa costantemente e senza pietà.
La pietà la deve trovare in sé, è figlia della compassione e dell’amore che naturalmente gli si offre all’esperienza. [/uma]
- Contemplare il paradigma del Cerchio Firenze 77:
non un commento ma delle contemplazioni attorno ai fondamenti dell’Essere e del divenire. - Eremo dal silenzio, tutti i post dei siti
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“Chi si affaccia alla vita contemplativa non teme la disciplina che sorge implicita e naturale, semmai ha un tremore di fronte all’impossibilità di qualsiasi fuga perché l’essere suo si palesa costantemente e senza pietà.
La pietà la deve trovare in sé, è figlia della compassione e dell’amore che naturalmente gli si offre all’esperienza.”
Questo passaggio mi pare esemplificativo dell’attitudine del monaco.
Non sono le regole esterne, imposte da altri, che guidano la condotta, ma sorge dall’intimo quella disciplina che comporta sempre più maggior rispetto per tutto ciò che è prossimo, perché sentito non distinto, lontano da te.
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