Un partecipante: Allora questo discorso fa capire che quando la comunità umana vive un suo disequilibrio, anche la guerra è un riequilibrio che porta a un nuovo stato, a una nuova situazione.
Una voce: No. È diversa la situazione che tu prospetti.
Un partecipante: L’uomo può vivere i suoi disequilibri, anche la comunità umana li può vivere.
Una voce: Non è la medesima situazione, perché noi parliamo di un profondo legame fra le forze della natura e la vita – vita in genere non solo umana – e non di quei pesanti effetti che le complesse relazioni fra uomini scaricano su se stessi, sugli esseri in genere e sulla natura. Sono due cose diverse. La guerra è espressione dell’incapacità dell’uomo di riequilibrare le relazioni attraverso altre soluzioni, quindi rappresenta l’inadeguatezza umana di risolvere contenziosi attraverso modalità che non siano quelle di una distruzione di massa. C’è dunque una diversità di fondo: negli eventi naturali ci sono forze che si sprigionano e che producono degli effetti di riequilibrio, che non vengono compresi dall’uomo, ma classificati ed etichettati mentalmente. Dall’altra parte ci sono delle strutture mentali che, confrontandosi, non trovano altro modo che distruggersi senza prima fare appello a diversi strumenti attraverso i quali mettersi anche in discussione.
La guerra è il protagonismo di uomini identificati nei processi mentali; le guerre nascono nella volontà di poche persone che sfruttano l’emotività e gli stereotipi per convincere le masse della necessità della guerra e, se non le convincono, la impongono. Questo rappresenta una delle tante espressioni mentali, paragonabile al dare uno schiaffo quando uno potrebbe dirsi: “Perché farlo?”. Questa espressione mentale sfugge alla possibilità di scoprire che il diverso è complementare.
Noi abbiamo cercato di esporvi qualcosa che va oltre le espressioni e le convinzioni mentali dell’uomo. Questa è la via della Conoscenza, che non cade nei trabocchetti di un mondo mentale che si occupa solamente di quello che vi riguarda, o che può essere attribuibile a voi. Il discorso su cui vi abbiamo fatto ragionare non vi riguarda, poiché ve lo abbiamo fatto osservare con occhio diverso: qualcosa accade al di là di voi, e mai è quello che voi interpretate di quel fatto.
Un partecipante: È l’uomo in relazione alla natura, ma non la mente dell’uomo.
Una voce: L’uomo, immerso nella tragedia, ha sempre la possibilità di percepire in modo diverso anche il dolore, riconoscendolo come legato strettamente all’emotività umana e reso incontenibile per la forte reazione alla perdita dei propri cari e delle proprie abitudini di vita concreta. Una struttura mentale, rispetto alle tragedie, vi fa ripetere le solite cose, senza minimamente trovare spazio per una nuova comprensione e per un’apertura verso il non-conosciuto. E così ognuno di voi si costruisce la solita immagine della tragedia, sempre con le stesse modalità: emozione e sconcerto per coloro che sono stati travolti da un evento naturale, in aggiunta all’empatia, perché pensate al fatto che, se avesse investito voi, vi sareste trovati nelle medesime condizioni.
In ogni fatto che accade, la via della Conoscenza può portarvi a scoprire che si tratta di un immane atto d’amore. Però, attenzione, qui non si sta mettendo in crisi il darsi da fare umano per ciò che è accaduto e per chi è stato colpito. Vi si sta dicendo che è necessario non solo soccorrere chi è stato colpito, ma anche, a tempo debito, portarlo a comprendere in profondità ciò che è successo e portarlo poi a dubitare del suo superficiale modo di vivere. Noi vi diciamo che aiutare non è solo correre in quei posti, dando una mano a volte non utile, ma è contribuire a diffondere un modo diverso di vivere il rapporto uomo/natura, comprendendo quel che significa stare nel quotidiano accogliendo la vita nel suo farsi.
Non è il numero dei morti quello che va sottolineato come emozione legata a una tragedia, dato che fra alcuni anni non se ne palerà più, ma è il flusso della vita che nasce e muore. L’uomo può comprendere che in questo flusso è presente la possibilità di un modo diverso di essere nell’esistenza, proprio cogliendo quell’occasione lì, nella tragedia. Il fatto che un giorno si parlerà o si scriverà ancora di questo accadimento, ma di nessuna di quelle vittime, mostra la non-consistenza di ciò che si è verificato. È il continuo susseguirsi di nascita e morte che può far comprendere all’umanità gli aspetti intrinseci alla vita, cioè il profondo significato dell’esistenza e la naturalità presente nel succedersi sia di nascita e morte e sia di equilibrio e disequilibrio.
Un partecipante: Abbiamo avuto la notizia che tutti gli animali che erano lì hanno avvertito prima il fenomeno e se ne sono andati, perché?
Una voce: È successo anche a quella parte della popolazione non addomesticata turisticamente. C’è una parte di quella popolazione di quelle isole che vive ancora in simbiosi con il mistero della natura e del mare. Quando l’uomo vive in consonanza e nell’ascolto di ciò che è altro da sé – la natura e tutti gli esseri viventi – la sua interiorità è in grado di ricevere sottili percezioni sensoriali. Gli animali non hanno una mente strutturata come la vostra ed hanno un’istintività e una percezione.
Quando c’è compenetrazione fra un essere e la natura, si è capaci di percepire quei piccoli segnali che mettono in allerta, e che l’uomo ha perso per strada man mano che è diventato sordo a ciò che la vita presenta col suo lieve sussurrare. L’animale è attento ai piccoli segnali, e i suoi sensi sono rivolti a ogni sussurro. L’animale ha un ricordo ed ha un istinto, ma non si attacca ai ricordi e non li trascina, quindi sa cogliere ogni sussurro con attenzione.
L’uomo, nell’era moderna, pensa che ogni cosa che accade – e che è neutra – gli parli di una condanna o di una salvezza “per sé”, e si occulta che basta poco per vivere in modo dignitoso e che un buon esercizio fisico lo mantiene in contatto con il proprio corpo. Perché l’uomo spesso si dimentica di avere un corpo che invecchia; se ne ricorda soltanto quando incominciano i dolori.
Un partecipante: Come me.
Una voce: Guardando a un malanno, stando in ascolto del sussurro del tempo, cosa ti potrebbe dire?
Un partecipante: Che io sto cambiando.
Una voce: Tu, sempre tu! No, quel malanno parla della forza della vita che, di fronte alla sordità, usa indifferentemente spilli o schiaffi. In base a questo, poi, ciascuno ha la possibilità di mettere da parte ogni frenesia del fare/fare e realizzare, per placarsi e ascoltare la dolcezza di quello spillo o di quello schiaffo, che rende visibile come ogni atto che egli fa sia esageratamente carico di sé. Questo perché, diminuendo la presa del mentale, gli appare un corpo che recita se stesso in modo nuovo e che gli dice: “Guarda come sono lieve quando mi rispetti, perché rispetti la vita. Guarda come, pur invecchiando, ti sostengo, perché rispettando me rispetti la vita. Guarda come, pur nella decadenza, ti sorreggo ancora”.
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