L’epica della sequela

Prendo le mosse da questo commento di Enzo Bianchi. Nella visione cristiana c’è qualcosa di epico nella scelta che la persona si trova a compiere quando si sente interpellata dal messaggio-sentire di Gesù.
A me sembra che non ci sia alcuna epicità nella scelta: le persone che sono pronte nel loro sentire ad accogliere un altro sentire, evidentemente prossimo al loro, non fanno alcuna difficoltà. Ciò che si presenta appare loro naturale, in fondo già conosciuto anche se non in quella forma.
Quelle persone, in effetti, non hanno alcuna scelta: quel sentire è già in vario modo loro patrimonio e possono dire si o no ad una certa forma che lo rappresenta, ma non dicono si o no a quel sentire, lo dicono alla forma in cui si presenta loro.

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La via a Dio è operare il bene?

Da tempo avevo in mente questo post ma, per ragioni diverse, l’ho sempre rimandato. Oggi leggo, sull’ultimo numero dell’Espresso, un articolo di Sandro Magister, il vaticanista del settimanale, che riporta delle affermazioni di due importanti teologi valdesi, Paolo Ricca e Giorgio Tourn e da quanto essi dicono prendo le mosse per dire poche e semplici cose.
Dice Paolo Ricca: “La malattia è che siamo tutti volti al sociale, cosa sacrosanta, ma nel sociale esauriamo il discorso cristiano e fuori da lì siamo muti”:
Giorgio Tourn afferma: “È chiaro che la sola testimonianza dell’amore fraterno non porta automaticamente a conoscere Cristo. Non c’è oggi un silenzio di Dio, ma il silenzio nostro su Dio”.

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Il cambiamento, la volontà, il non-agire

Chiede Caterina: Ma se le cose cambiano in continuazione e il cambiamento avviene anche quando si sta fermi, perché scegliere una cosa piuttosto che un’altra?
La domanda di Caterina viene dalla lettura di questa frase di Lao TzuLa vita è una serie di cambiamenti naturali e spontanei. Non opporvi resistenza – avresti solo dispiaceri. Lascia che la realtà sia realtà. Lascia che le cose fluiscano naturalmente verso la propria direzione.
La frase di Lao Tzu si presta a diverse letture e, quando queste non tengono conto del paradigma entro cui quelle parole sono state generate, la confusione può essere grande.

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L’abbandono di sé senza sforzo

Dio o Mammona, è questa la morsa dentro cui è stretto l’umano? C’è un modo naturale e privo di sforzo volitivo per andare oltre di sé, per intraprendere il lento cammino dell’abbandono delle identificazioni, dei bisogni, dei condizionamenti e addentrarsi nel processo dell’unificazione che da sempre opera in noi, e che da un certo punto in poi diviene più pressante?
Vi riporto un passo di Enzo Bianchi tratto da questo commento al vangelo domenicale: “Vi è un altro a cui Gesù dice: “Seguimi”, ma si sente rispondere: “Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre”. Richiesta legittima, fondata sul comandamento che richiede di onorare il padre e la madre (cf. Es 20,12; Dt 5,16). Gesù però chiede che, seguendo lui, si interrompa il legame con l’ordine familiare e con la religione della legge, dei doveri: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio”.

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Morire, rinascere, comprendere

In certi ambienti non si dice “Buona Pasqua!” ma “Buona rinascita!” E’ un’espressione che ho usato anche io in passato, finché non ne ho colto il limite.
Oggi, se qualcuno mi augura di rinascere mi viene da rispondere “No, grazie, ne faccio volentieri a meno.”
Siamo in periodo pasquale, oggi è il venerdì santo, la morte di Gesù.
Il mito racconta che si troverà poi la sua tomba vuota e che, dopo un po’ di tempo, alcuni che l’avevano conosciuto, avranno esperienze interiori tali da poter dire di aver rincontrato il Maestro.
I due di Emmaus dicono di incontrare uno straniero, quindi una figura a loro non conosciuta nelle sue apparenze ma, quando questa parla e condivide gesti e situazioni allora sorge in loro l’evidenza che è lui, il Maestro.

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