Un partecipante: Soltanto che c’è una causa umana e ci si può anche arrabbiare.
Una voce: Facciamo un passo alla volta, perché depennando la tragedia, di cui stiamo parlando, dai colori che le dipingete sopra, allora potete poi affrontare anche l’aspetto di cui parliamo, altrimenti continuate a riproporvelo in modo non-corretto.
In tutto ciò che esiste c’è un nascere e morire e cioè un passaggio di stato. Il passaggio di stato in questo caso avviene sia nell’ambiente naturale, sia nell’individuo colpito, che muore, e sia nella comunità che, colpita, comunque si salva; anche in essa c’è un passaggio di stato, che è il mutare delle condizioni fisiche, materiali e anche emotive. Questo passaggio di stato esprime la dinamicità della vita, che non può che essere fatta di passaggi di stato.
Ma cosa fa l’uomo, identificato con la sua struttura mentale? Comincia a distinguere tra il passaggio di stato di un singolo individuo, che muore, quello della comunità, che continua a vivere, e quello della crosta terrestre, che passa a un altro tipo di stato; ma l’uomo lo fa graduando e distinguendo attraverso misure e giudizi. Facendo così non riconoscete i passaggi di stato, ma vedete in essi unicamente una perdita ma non nella natura, che additate come causa, poiché voi la sottolineate solo nel singolo individuo o nelle comunità.
Un partecipante: Oppure nella natura per quello che l’uomo perde di quella natura, ad esempio il paesaggio. L’uomo piange su quello che ha perso di quella natura come propria ricchezza: la sua casa, i suoi luoghi, i suoi agi, il suo circondario, la sua comunità.
Una voce: L’uomo si fissa sulle conseguenze di quel passaggio di stato, ma non guarda ciò che esso ha prodotto come equilibrio; non lo vede perché se lo nasconde puntando lo sguardo sul disequilibrio. Voi lo fate nei riguardi della natura, sottolineandone la distruzione e non osservando l’indispensabilità di quell’accadimento che permette alla terra di sussistere. Lo stesso processo mentale lo applicate ai singoli individui: ne vedete la morte, non vedete ciò che materialmente si produce oltre quel morire. E fate la stessa cosa per la comunità: ne vedete ciò che non c’è più, ma non vedete come quella comunità reagisce, né le forze che i singoli mettono in campo per continuare, e nemmeno i cambiamenti che maturano dentro chi resta. Quella comunità, osservata in profondità, non viene colpita solamente da una tragedia, ma da un accadimento che dà inizio a un processo interiore che la fa interrogare su di sé.
Un partecipante: C’è anche una solidarietà, inizia un movimento: una sensibilizzazione e una complicità fra chi l’ha vissuta.
Una voce: Una comunità colpita da un accadimento di questa natura fa intimamente i conti con la precarietà dell’esistenza, e l’essere segnati dalla precarietà dell’esistenza significa diventare particolarmente attenti alla vita nel giorno dopo giorno, nel qui e ora. Altrimenti la vita sempre sfugge di mano, perché siete altrove e non lì, in quell’attimo dentro il suo scorrere.
Le persone che sono state segnate, porteranno dentro di sé l’immagine di quella che comunemente chiamate una tragedia, e questo farà sì che loro puntino diversamente l’attenzione su ciò che prima ignoravano, cioè su quanto è fragile l’uomo e quanto sono potenti quelle forze che molte volte l’uomo violenta e calpesta. Le forze dentro la natura non sono mai domabili, possono essere riconoscibili, assecondabili, accompagnabili, come nel Tai-Chi Chuan: “Quando sorge un movimento, l’assecondo” che in questo caso significa: ci si ritira, non si oppone resistenza.
Ad esempio è possibile che l’uomo capisca, guardando a ciò che accade nell’ambito della natura come a un qualcosa che è anche causato da lui stesso, che la natura non va violata, ma assecondata e accompagnata, come va fatto nei confronti della vita. Perché, tutte le volte che l’uomo reagisce a testa bassa, si candida a subire i contraccolpi della vita, che è come un fiume che si allarga o si restringe, diventa turbinoso oppure calmo. Intendiamo dire che dietro questo “immane dolore”, che pur esiste, c’è un aspetto di cui ci si dimentica, e cioè che l’uomo che, di fronte alla natura, riconosce la sua fragilità e la sua naturale dipendenza, si trova a fluire con essa, senza volerla incanalare e violentare attraverso espediente, riaggiustamenti e varie tecnologie.
Esiste proprio un modo diverso di vivere, riconoscendo le forze della natura e i loro fenomeni, educando le nuove generazioni al loro rispetto e a supportare quelle comunità che ne subiscono la forza devastante, e mostrando soprattutto a quelle persone un profondo rispetto per la natura. Perché chi è stato formato ad accogliere la natura, riconoscendola nella sua forza e senza volerla violentare, sarà pronto anche ad accettare il proprio scacco nel momento in cui la natura sprigiona una forza che porta a una grande trasformazione nella vita dei singoli individui di una comunità, che è trasformazione anche dello stesso ambito naturale. Sarà immediato, allora, comprendere che tutto ciò che è capitato è solo e semplicemente un salto e un mutamento di stato.
A quel punto chiunque lì presente, pur vivendo un forte dolore e pur compartecipando al dolore che provano altri per la morte delle persone a loro vicine, e anche per la nuova situazione da affrontare, può comprendere che proprio in queste situazioni nasce una dolcezza se si osserva la natura che, una volta sprigionatasi, trova pace nel nuovo equilibrio raggiunto, non infierendo più su alcuno in quella stasi che, comunque, precede un nuovo disequilibrio da riportare a un diverso equilibrio.
E allora ci si accorge come la natura non sia da temere perché, pur portando uno sconvolgimento, poi ritorna in quella pace e in quel riassestamento di forze che consente all’umanità di trovare una propria diversa armonia e anche di ricostruire su quel nuovo stato che si è creato, dando a ognuno la possibilità di far tesoro di ciò che quell’evento ha mostrato in modo radicale, e cioè quanto l’uomo comunque dipenda dalla natura. Questo vale soprattutto per quegli esseri umani che, sentendosi più sicuri e più “attrezzati” di chi li ha preceduti, pretendono di affrancarsi dalle forze della natura, piegandole, dominandole e sconfiggendo, o alle volte anticipando la natura.
Semplicità è vivere accanto alle forze della natura, scoprirne la loro potenza anche utilizzando la tecnologia, ma adattandosi a ciò che è in continuo mutamento. Eppure l’uomo si rivolge alla natura per ribaltarne gli equilibri, facendo sorgere disequilibri che altrimenti non ci sarebbero e dei quali, nel presente, lui non immagina gli effetti che si presenteranno un domani.
Attenti, oggi non stiamo parlando di una grande tragedia, ma dell’effimero di ogni vita e di tutte le vite messe insieme, che sono vita dopo vita, nascita e morte, presenza e poi scomparsa, e non solo umana. Che cos’è che rimane da osservare, dopo il nuovo assestamento? Unicamente ciò che va oltre ogni giudizio del mentale: ciò che in questo scenario di devastazione mostra con semplicità la pace ritrovata dagli elementi in disequilibrio e il rifiorire di una comunità umana, pur travolta da quello sconvolgimento.
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