Anche fra i nostri venerati precursori, ben pochi hanno compreso il principio della natura autentica.
Non ci sono studi o pratiche che ce lo possano far assimilare, men che meno quelli basati sull’idea di un perfezionamento individuale, di un cammino iniziatico esoterico, di una conoscenza di carattere intellettuale: solo il rapporto vissuto e vivente, da persona che ha direttamente incarnato quel principio, a persona che direttamente è vaso adatto per riceverlo. Quel principio è la vita stessa e il modo di viverla: non è uno strumento per procedere su un determinato cammino, come la corda e i ramponi per scalare una montagna, che te li devi procurare prima di iniziare la scalata; è nel momento in cui ridesti il cuore che procede sulla via che il cuore della via si ridesta. È quando la via è trovata che c’è il procedere nel solco della via. Prima c’è la conversione e allora si crede veramente. «La natura autentica certamente diviene assieme con il tuo divenire autentico». Qui è la fonte della speranza e della libertà.
[→uma] Se il divenire l’Essere è frutto della vita – e come potrebbe essere altro? – tutto è vita, anche il perfezionamento, la ricerca esoterica e intellettuale mescolate, come sono sempre, agli affetti, al lavoro, alle relazioni.
“Tutta l’acqua porta al mare” diciamo nel Sentiero, per intendere che non c’è una sola vita fuori dal letto del fiume, nemmeno quella dell’assassino. [/uma]
La persona autentica manifesta la sua autentica natura. Non si tratta di qualcosa che avviene per intercessione, qualcosa che i santi possono fare al posto mio, che santo non sono. Si tratta di apprendere e mettere in atto che il tutto che vive è natura autentica ente – il tutto che vive è natura autentica niente». Le due espressioni non sono una la negazione dell’altra, così come la luna assente non nega la luna.
[→uma] “La persona autentica manifesta la sua autentica natura.” Si postula che esista una persona autentica ma il contemplante non sente questo, non sente alcuna persona autentica, sente l’Essenza dell’autenticità in manifestazione, in sé o nell’altro da sé. Quell’Essenza è persona o è manifestazione di Sé, dell’Essenza? E cos’è quell’apparire che chiamiamo persona? Approfondisco in seguito.
“Il tutto che vive è natura autentica ente – il tutto che vive è natura autentica niente”. Certamente. L’Essere/Essenza è forma ed essendo anche l’origine della forma è totalmente altro. La forma è sostanza reale, oggettiva? No, è apparenza illusoria frutto dei processi percettivi: in sé esiste solo la sostanza indiversificata, la sostanza del Tutto-Uno che diviene in base al sentire attivato e alla percezione coinvolta. Ecco che, alla fine, esiste – come Realtà – solo il “tutto-che-vive” e non ciò che da esso origina nella percezione degli esseri. In seguito diverrà più chiaro perché avrò modo di esplicitare.
Se non ci caliamo completamente nella realtà del fatto che siamo nulla che viene dal nulla e ripassa dal nulla, la realtà del nostro essere non è compiuta. All’inizio spaventa l’espressione: la natura autentica è niente, così come un bambino che prende coscienza di esistere si spaventa nel rendersi conto che c’è la morte e che lo riguarda. Diventare adulti vuol dire procedere oltre la paura e sapere, con tutto se stesso, che il nulla di tutto ciò che è, è la condizione dell’esistere di tutto ciò che è. È la realtà che mi fa essere, è la realtà che mi fa libero: di qui passa tutta la mia vita. «L’essere di ogni cosa che è, non eredita forse la sua autenticità dal niente del niente di niente?!» Dobbiamo essere grati con chi ha avuto il coraggio di dare forma di parola a questa realtà, dicendo per la prima volta senza infingimenti: la natura autentica è niente. Qui che si scioglie la paura.
[→uma] “il nulla di tutto ciò che è, è la condizione dell’esistere di tutto ciò che è”: la scelta dei traduttori di non usare mai la maiuscola, ad esempio in “nulla” rende faticosa la decodifica, a volte, dei contenuti. Certo, “nulla” scritto con l’iniziale maiuscola corre il rischio di divenire un “tutto”, ma è chiaro che qui, ogni volta che si inserisce il simbolo “nulla” esso rappresenta “Essere”, “natura autentica” che non è proprio il nulla di assenza. Pazienza, comunque.
“È la realtà che mi fa essere, è la realtà che mi fa libero”: fa essere chi? Rende libero chi? A me? Me chi? Troppe cose vengono date per scontate. Non c’è un “me” che esiste, che è reale o libero, questa credo sia la prima delle acquisizioni quando si affronta questa altitudine del monte dell’esistere.
Il contemplante sente, lucidamente, chiaramente, che non c’è alcun “me”, sente che questo è una derivazione, una risultante non un’essenza: sente anche, altrettanto lucidamente, che il senso dell’esistere e dell’essere sorge a monte di qualunque “me”, o sé, non a caso l’oriente usa l’espressione Sé (che nel linguaggio del Sentiero è equiparabile all’Individualità).
Nel nostro linguaggio non diremmo che la “natura autentica” mi fa essere ma che produce l’esperienza di esistere e di essere: il “mi” – complemento oggetto – non trova spazio perché parla di un me che non esiste e il contemplante lo sa per esperienza provata.
Se addotto il linguaggio della sottrazione, del togliere, allora debbo andare fino in fondo, non posso farlo una volta sì e una no: se sono nella logica sottrattiva del “nulla” allora non posso introdurre il “me” lo debbo azzerare perché la “natura autentica” – che è Essenza totalmente altra dal divenire, pur generandolo e dandogli apparenza – non genera un “me” genera esperienza di sé, della “natura autentica”.
Questo deve essere cristallino: la natura autentica dà luogo all’esperienza ma non genera alcun soggetto in modo diretto.
Il soggetto che deriva alla percezione – che noi sentiamo d’essere – è figlio del flusso dei dati/vibrazioni all’interno dei corpi dell’esperienza, è una risultante come il calore risulta dal passaggio di corrente in un conduttore: i corpi dell’esperienza stessi non sono dotati di oggettività ma sono aggregati provvisori e reiterati del sentire in manifestazione: l’unico esistente reale ne risulta essere il sentire, ma anche su questo c’è da dire, ma non ora.
Un grado accettabile di approccio alla realtà ci porta a dire: esiste ed è percepito ciò che è sentito, ma sentito da chi? Dal sentire stesso. E cos’è, in ultima analisi il sentire stesso se non la natura autentica?
Ecco, allora, che tutto è natura autentica, l’unica esistente.
L’Essere che sente genera tutto il reale in virtù del suo sentire, ed esiste solo l’Essere: ciò che è sentito non è che rappresentazione del grado di Essere in manifestazione, perché è chiaro che Essere, essendo una totalità, deve contenere innumerevoli gradi di sentire. [/uma]
Fonte: Busshō. La natura autentica, di Eihei Doghen. A cura di Giuseppe Jiso Forzani. Edizioni EDB, Bologna, marzo 2000.
Nota del curatore
Lavorando sullo Shōbōgenzō di Dōgen e non volendo in alcun modo produrre una esegesi delle sue parole, la mia unica preoccupazione è: di fronte a questo concetto, a questa visione, a questo stato che Dōgen dichiara, io cosa provo, cosa sento? Sono capace di indagare il mio interiore nella sottigliezza di certi stati, e possiedo un linguaggio, dei simboli per trasmettere il provato/sentito?
Dōgen mi mette con le spalle al muro e, quando fatico per attraversare le nebbie del testo tradotto, il mio intento è quello di giungere a cosa sentiva lui, a quale sentire rimanda la sua parola, per compiere il percorso che dal suo simbolo mi conduce a ciò che sento. È nel sentire che lo incontro, passando attraverso le nebbie delle parole e dei concetti.
Il passo successivo è: posso osare trasmettere ciò che sento utilizzando il linguaggio simbolico che mi è proprio e che credo sia, in questo tempo, più universale di quello tramandatoci dagli antenati?
- → Contemplare il paradigma del Cerchio Firenze 77:
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