Una voce: Tutti voi siete abituati a costruire delle relazioni complici, che vi danno nutrimento, vi proteggono, vi consolidano nella vostra identità, vi fanno soffrire o adirare, oppure gioire e sperare, e attraverso le quali cercate di legarvi solidamente l’un l’altro.
Fonte: Via della conoscenza, comunicazioni fondanti riviste e aggiornate nel 2024.
Ma siete dentro anche a relazioni occasionali oppure obbligate, come nel caso dell’ambito lavorativo, e anche dentro relazioni in cui non pretendete, e nemmeno costruite, quella complicità e quella profonda similitudine, o comunque quella profonda intimità, cooperazione e comprensione che pretendete dai rapporti più stretti.
Siamo nel campo dell’amore che voi rivolgete a chi è per voi un diverso – noi diciamo altro da voi – cioè a colui che non fate rientrare nei rigidi parametri relazionali che sono tipici del mondo mentale e che si basano sulla complicità, sulla confidenza e sulla vicinanza. È proprio attraverso quei parametri che vengono stabilite le distanze fra chi nei rapporti è un diverso e chi è complice. Il vostro giudizio di diverso non è uguale per tutti, anche se, comunque, il diverso è colui che non vi interessa ridurre a voi; mentre, ad esempio, con vostro figlio cercate continuamente di ridurlo dentro le vostre categorie. E anche se la vita è continua conferma che l’altro è se stesso e che così va accolto, tutti i vostri comportamenti vanno nella direzione di come l’altro “dovrebbe essere”.
E quindi fate tutto il possibile, operando in maniera raffinata e sottile, per tentare di costruire delle complicità e per ridurre il complice a voi. È proprio nei rapporti complici che le aspettative vengono ingigantite, in quanto lo ritenete un rapporto stretto o molto vicino, che si differenzia dagli altri, e in cui potete giocarvi fino in fondo il promuovere voi stessi. In quel rapporto, l’altro viene inquadrato in base a quante opportunità vi dà nell’affermare voi nelle vostre esigenze, voi nelle vostre aspettative, voi nei vostri desideri e voi nelle regole del gioco che cercate di imporre nel rapporto.
Quindi, l’altro assume il ruolo di complice solo quando pensate che possa darvi queste opportunità – stiamo parlando di un pensiero sottile, non del tutto consapevole e parzialmente occultato – cioè quando la relazione è diventata così stretta da rendere possibile l’esprimervi in una certa maniera; altrimenti l’altro rimane un diverso. Col diverso potete anche entrare in una relazione di offerta e di comprensione, anche se lì vi giocate ben poco, mentre col complice vi giocate molto, pur sempre inseguendo il vostro interesse.
L’amore, che tutto e tutti attraversa e che scorre senza appartenenza, non si esprime nella complicità e nemmeno in quella diversità che significa distanza, ma nel rispetto verso l’altro e per come lui è. È amore del quale non si è mai gli artefici e si mostra quando il campo è libero dal protagonismo che pretende di creare e di distribuire amore, distinguendo fra complice e diverso. L’amore che mette in crisi l’“io” non parla né di distanza e né di complicità; mentre nel vostro dare amore, che è pretesa sottile e mascherata dell’“io”, vi sentite spinti a essere confermati nelle relazioni, anche quando le considerate superficiali.
In una relazione, il ruolo di complice incastra entrambi in un gioco di aspettative, di bisogni e di pretese che vi stringono dentro un senso di imprigionamento, che non c’è nel rapporto con colui che considerate “un diverso”. Perché nella complicità c’è sempre l’espandersi delle attese, delle speranze e dei progetti, e questo crea dentro di voi, contemporaneamente, un aumento della distanza verso coloro che giudicate non-complici.
Nella via della Conoscenza si mette costantemente in crisi il modo in cui vivete sia le amicizie che i rapporti stretti; le relazioni hanno una loro leggerezza se si riconosce che fra voi e l’altro da voi c’è sempre unitarietà. Perché nella relazione l’altro è semplicemente l’altro, senza aggiunte e senza quella complicità che lo vuole ridurre a voi, o voi all’altro. Mentre tutte le volte che, dentro i rapporti in genere, perdura il peso del proprio “io”, ci si accosta all’incontro come esseri distinti e separati che entrano in un rapporto solo se questo crea soddisfazione, altrimenti ci si allontana da quella relazione.
Noi vi diciamo che, costruendo e vivendo un rapporto complice, non si ha uno sguardo ampio, essendo impegnati a creare un legame stretto fra due esseri che perdono le proprie caratteristiche per adattarsi reciprocamente. Amore è quando si riconosce che l’altro non ha il compito di gratificarvi, e non è lì con voi per essere stretto dentro una forma di complicità. Nell’amore si è uno accanto all’altro, riconoscendo nell’altro colui che sollecita e che rappresenta, proprio col suo essere lì, la messa in crisi dei processi mentali più segreti e più profondi, ad esempio quelli di tentare sottilmente, o non, di ridurre l’altro a voi.
- → Contemplare il paradigma del Cerchio Firenze 77:
non un commento ma delle contemplazioni attorno ai fondamenti dell’Essere e del divenire. - Eremo dal silenzio, tutti i post dei siti
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- Le basi del Sentiero contemplativo
- Un nuovo monachesimo per i senza religione del terzo millennio
- Libro: ‘Il Sentiero contemplativo a dorso di somaro’
- Libro gratuito in PDF: ‘Come la coscienza genera la realtà personale‘
Ogna relazione, libera da processi mentali, è una continua sollecitazione perché si ha accanto l’altro da sé che presenta il suo essere se stesso; questo non perché l’uno e l’altro vogliano affermare la propria diversità, ma perché si riconosce la libera espressione di ciascuno e la profonda unione fra gli esseri. Mentre voi credete che sia il rapporto complice quello profondo, quello intimo, perché vi dite che lì nasce l’accordo, lì c’è un influenzarsi reciprocamente, lì c’è la rinuncia alle proprie asperità, quindi solo lì – vi dite – c’è la possibilità di costruire una relazione stretta. Non è così. Si vivono le relazioni non stringendosi reciprocamente, ma nel rispetto di chi è l’altro in sé, osservando i pensieri e i giudizi appiccicati sull’altro, osservando l’idea che si nutre sull’amore e riconoscendo le pretese che sono dentro la relazione, ma contemporaneamente distaccandosi dalla pesantezza data a tutto questo. Osservarsi e riconoscere, non appesantirsi e inchiodarsi dentro di sé.
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