Dōgen, Busshō: commento (1) di Jiso Forzani a Busshō 7 [busshō7.3]

Questo capitolo de La natura autentica è uno dei più importanti per aiutarci a sgomberare il nostro modo di pensare da radicati pregiudizi all’apparenza perfettamente legittimi.

Credo di dover mettere sull’avviso chi legge, perché è più che mai necessario mettere all’opera tutto il proprio acume nella lettura e nello studio: intendendo per acume non una eccezionale capacità di concentrazione né una particolare brillantezza di comprensione, ma la qualità di voler penetrare nel testo, oltre le espressioni idiomatiche, per e fino a comprendere che si tratta di chiedere a se stesso: «Quale è il senso dell’esistere, dell’essere vivo ora?» Problema inesauribile, che non si può risolvere una volta per tutte e per tutti, perché si ripropone ogni volta che un essere umano viene alla vita.

Doghen ci indica che non ci sono formule per risolvere e neppure per affrontare questo problema, ma che esso si presenta con la vita di ognuno e con la vita stessa si affronta e si risolve. Inoltre, qui non ha nessuno peso il tipo di fede professata o il non professarne alcuna, né il linguaggio usato per trattare a parole la questione: che la persona si professi cristiana o buddista o atea, che usi il linguaggio che parla di natura di Budda o di Dio o di evoluzione naturale, questo non modifica l’universalità del problema né la sua singolarità, nel senso che esso si pone a ciascuno di noi. Cerchiamo quindi di leggere anche le espressioni che a prima vista ci appaiono più lontane dalla nostra sensibilità e modalità espressiva, coscienti che si tratta di parole che vogliono costringere noi a interrogarci su ciò che è alla base del nostro esistere. Le espressioni che ci appaiono ostiche non ci fanno questo effetto solo perché sono di provenienza estranea alla nostra cultura, ma perché sviscerano un problema tanto comune a tutti quanto difficile per tutti: un problema comune da affrontare con mezzi non comuni.

Dobbiamo pensare di essere noi stessi che domandiamo a noi stessi: «Tu, da quale mai luogo vieni?». Questa è la vera funzione di una guida spirituale, di un maestro, che è tale solo perché c’è un discepolo che lo usa in quel ruolo: porci la domanda che noi dovremmo porre a noi stessi, ma che non osiamo o che non abbiamo chiaro di dover porre. Se siamo noi a chiederci: Io, da dove vengo?, è evidente che non potremo essere soddisfatti da una risposta che dice solo la provenienza geografica o il luogo di nascita. Però, potrebbe anche darsi che io, senza perdermi in congetture astruse e vagamente metafisiche sulla mia origine, risponda a me stesso e a chi mi interroga in proposito dicendo che il luogo della mia nascita e provenienza geografica è in fondo il luogo concreto della mia provenienza esistenziale e originaria: la forma del mio essere vivo è né più né meno la forma della vita che in me prende forma, per cui il luogo fisico da cui provengo è proprio il luogo dell’origine di me come sono, senza che ci sia sotto null’altro.

Però, se è così, se colui che viene ha davvero questa consapevolezza, allora cosa viene a fare, che senso ha questo esserci, questo andare in giro in cerca del proprio senso, della propria direzione? Nel caso del nostro testo, se il futuro sesto Patriarca avesse avuto ben chiaro il fatto che la sua esistenza contiene in sé la propria ragione d’essere e la propria funzione fondamentale (come la sua semplice risposta sembra voler dire) perché mai è andato in pellegrinaggio dal quinto Patriarca? Nel mio caso personale, se io penso che il luogo da cui vengo sia semplicemente il luogo in cui sono nato, senza bisogno di aggiungere al fatto reale nessun recondito e imperscrutabile motivo, perché non mi accontento della mia vita così come mi si offre e sento il bisogno di seguire un cammino religioso, di avere una fede, di praticare, di pormi tante difficili domande su me stesso e sulla vita?

Perciò il quinto Patriarca non si accontenta e chiede ancora: «Sei venuto a cercare che cosa?». Il sesto Patriarca dà una risposta molto semplice e diretta: «Cerco il modo di costruire Budda». Non dice: “Cerco il modo di diventare Budda”, ma: cerco il modo di costruire Budda che è opera personale e universale insieme, un lavoro su se stessi e una parte del lavoro eterno della realtà tutta intera, perché Budda è la meta universale di ogni essere e inscindibilmente di tutto ciò che esiste. Costruire Budda è tutt’altra cosa dalla ricerca del perfezionamento individualizzato: è l’opera di tutta la realtà, cui ciascuno partecipa in modo diretto e unico con l’applicazione della propria esistenza.

Fonte: Busshō. La natura autentica, di Eihei Doghen. A cura di Giuseppe Jiso Forzani. Edizioni EDB, Bologna, marzo 2000.

Sottoscrivi
Notificami
guest

0 Commenti
Newest
Oldest Most Voted
Inline Feedbacks
Vedi tutti commenti
0
Vuoi commentare?x