Dōgen: essenza dello zazen. Zazenshin 1 (zen21)

Fonte: capitolo “Documenti” Shobogenzo zazen shin (anno di redazione da parte di Dōgen:1242) del MANUALE DI MEDITAZIONE ZEN, di Carl Bielefeldt. Berkeley e Los Angeles: University of California Press, 1989.
Quando necessario proporremo la traduzione di Aldo Tollini comparsa nel suo: Pratica e illuminazione nello Shōbōgenzō. Ubaldini editore. Proporremo inoltre alcune traduzioni di Nishijima-Cross.

Una volta, mentre il Grande Maestro Hung-trio di Yüeh shun era seduto [in meditazione], un monaco gli chiese: “A cosa stai pensando, [seduto lì] così fisso?” Il maestro rispose: “Sto pensando di non pensare.”
Il monaco chiese: “Come si può pensare a non pensare?” Il maestro rispose: “Non pensare.”

Verificando che tali siano le parole del Grande Maestro, dovremmo studiare e partecipare alla corretta trasmissione della seduta immobile (zazen). Questa è l’indagine sulla seduta immobile trasmessa nella via del Buddha. Sebbene egli condivida una comprensione diffusa, le parole di Yüeh-shan sono peculiari: egli sta pensando di non pensare. [Queste parole esprimono] ciò che è la vera pelle, carne, ossa e midollo del pensare e la vera pelle, carne, ossa e midollo del non pensare.

Il monaco chiese: “Come si può pensare il non-pensare?”. In effetti, sebbene [la nozione di] non-pensare possa essere antica, qui [la domanda è]: come accade in questi termini? Potrebbe non esserci pensiero nello zazen? [Nello stare seduti] nello “stare” imperturbabile, come potremmo non penetrare [questo]? Se non siamo il tipo di stolto che ignora ciò che gli accade vicino, dovremmo avere la forza e il pensiero di mettere in discussione [lo stare seduti] in zazen.

Il maestro rispose: “Non pensare.” Sebbene l’uso del non pensare sia cristallino, quando pensiamo al non pensare, utilizziamo sempre il non pensare. C’è qualcuno nel non pensare, e questo qualcuno ci sostiene. Anche se siamo noi a essere [seduti] nello “stare” (traduco con “stare quello che C.B. esprime con “fixedly”, ndr), il nostro [sedere] non è semplicemente pensare: si presenta come [sedere] “stare”. Anche se [sedere] in zazen è [sedere] nello “stare”, come potrebbe pensare a [sedere] “stare”? Pertanto, sedere nella immobilità non è la misura del Buddha, non è la misura dell’illuminazione, non è la misura della comprensione.5

5. Questo è uno degli “argomenti” più oscuri del testo. Io intendo il passaggio come segue. Sebbene il non-pensare sia un’attività illuminata, libera da tutti gli ostacoli alla conoscenza (come nell’espressione Zen, “tutti gli otto lati sono cristallini [hachimen reiro]”), è un distinto atto di cognizione, con il suo proprio agente (il “qualcuno” illuminato [tare] che è presente in tutti i nostri stati cognitivi). Ma l’attività del non-pensare nella meditazione non è semplicemente una questione di stati cognitivi: è l’identificazione con l’atto stesso di “stare seduti immobili”. Quando ci si identifica così pienamente con l’atto, è al di là di ciò che può essere pensato o misurato, anche attraverso le nozioni di Buddità o risveglio.
La mia frase piuttosto goffa, “Si presenta come [stare seduti] immobili”, tenta di preservare qualcosa del gioco grammaticale nel gotsugotsu chi di Dogen … gotsugotsu chi o koto su. L’invocazione qui del “qualcuno” che ci sostiene nel nostro non-pensare può ricordare ad alcuni le tradizionali discussioni buddiste su quale fattore mentale continui durante gli stati di cessazione mentale. “Misura del Buddha” (butsuryo) può essere inteso come “ciò che è convalidato dall’autorità del Buddha (buddha-pramana)”; qui di nuovo, Dogen sta giocando con il grafema ryo in shiryo. [/CB]

[Tollini traduce] Il Grande Maestro disse : “Senza-pensiero”. L’impiego del senza-pensiero è una cosa molto limpida, e comunque, quando si pensa il non-pensiero, si ricorre per forza al senza-pensiero.
Nel senza-pensiero c’è qualcuno e questo qualcuno è ciò che ci sostiene. Anche se nel sedersi imperturbabilmente ci fosse il nostro io, questo io non consisterebbe solo nel pensiero, ma sarebbe tutt’uno con lo stare in zazen imperturbabile.73
Essendo il sedersi imperturbabilmente il sedersi imperturbabilmente, come può il sedersi imperturbabilmente pensare il sedersi imperturbabilmente ?74 Di conseguenza, il sedersi imperturbabilmente non è la misura del Buddha, non è la misura del Dharma, non è la misura dell’illuminazione, non è la misura della comprensione.75

73 Ciò che vuol dire con questa frase, e con la precedente, è che nello zazen non c’è un “io” come
normalmente viene concepito. Se ci fosse non sarebbe riconoscibile nel pensiero, ma in tutto l’essere
che sta seduto in zazen, quindi senza una separazione tra mente e corpo, ma in una unità psicofisica, in cui l’intera persona si riconosce. Tuttavia, non c’è un vero e proprio “io” poiché è stato lasciato cadere. Quello che c’è è, invece, qualcuno non ben definito che ci sostiene nella pratica dello zazen mentre stiamo seduti.

74 Cioè: poiché lo zazen non è altro che lo zazen, come può pensare se stesso? Non è infatti l’io,
lasciato cadere che pensa, ma lo zazen che pensa se stesso, ma questo com’è possibile? Questo è il
senza-pensiero.

75 “Misura” in originale è: hakarai, che significa “calcolo egoistico“, “interesse personale”. Quindi, lo zazen non deve essere in vista di un interesse egoistico, dato che l’io non c’è. Si noti che anche il contemporaneo di Dôgen, Shinran, maestro dell’amidismo, nel Tannishô usa il termine hakarai per fare una affermazione molto simile: “Il nenbutsu per il praticante è una non-pratica e un non-bene. Siccome non viene praticato per il proprio profitto (hakarai), è detto ‘non-pratica’. ” [/T]

[Nishijima-Cross traducono] Il grande maestro dice: “È il non pensare”. Questo uso di “non pensare” è brillante; allo stesso tempo, quando “pensiamo lo stato di non pensare”, stiamo inevitabilmente usando “non pensare”. Nel “non pensare” c’è qualcuno, e quel qualcuno sta mantenendo e facendo affidamento su di me.
Lo “stato di quiete”, pur essendo io, non è solo “pensare”: sta sostenendo la testa dello “stato di quiete” (sta sostenendo l’intenzione dello stato di quiete, ndr).
Anche se “lo stato di quiete” è “lo stato di quiete”, come può “lo stato di quiete” pensare “lo stato di quiete”? Quindi “lo stato di quiete” è al di là della capacità intellettuale del Buddha, della capacità intellettuale del Dharma, della capacità intellettuale dello stato di realizzazione e della capacità intellettuale della comprensione stessa. [/N-C]


[Pubblichiamo alcuni materiali relativi alla zen, alle sue origini e al suo sviluppo nella convinzione che molto si possa indagare non mossi da una intenzionalità speculativa e intellettuale, ma dall’esigenza di chiarire i cardini fondamentali del pensiero di Dōgen – e dello zen classico – quali, tra gli altri, l’equiparazione tra pratica e illuminazione o il senso stesso di pratica e tanto più quello di illuminazione. Cardini non secondari per la vita e l’esperienza di un contemplativo che a ogni istante del suo esistere si confronta con questi temi e dunque si interroga e propone la sua interrogazione.
Dopo la pubblicazione di alcuni materiali che preparino il terreno e illuminino su una complessità mai esaurita, affronterò questi temi:
1. La realtà che definiamo Essere, o natura autentica.
2. Cosa si intende per illuminazione nel Sentiero e l’irrealtà dell’illuminazione istantanea.
3. Cosa si intende per pratica e l’azzardato e relativo parallelo tra pratica e illuminazione.
4. La demitizzazione della nozione di pratica e di illuminazione e la reale tensione tra divenire ed Essere.
5. Formazione e contemplazione in una via spirituale nel XXI secolo. Qui la raccolta dei post]

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