Contemplare il paradigma: illusione del trascorrere 5

PARTE I. Quante riunioni fa vi abbiamo parlato dell’esempio della bobina cinematografica? Parve allora che tutto quello che si poteva dire fosse espresso con quell’esempio; eppure oggi, servendoci dello stesso esempio, aggiungiamo un’altra visione, più vasta e più precisa.

Fonte: Illusione del trascorrere, dal libro: Cerchio Firenze 77, Oltre l’illusione, ed. Mediterranee.

Non è dunque questa «contraddizione», ma approfondimento; non «nuova invenzione», ma ulteriore esplicazione. Così quando – come voi questa sera avete ricordato – noi vi diciamo: «un Cosmo ha un inizio e un termine», illustriamo un concetto: il concetto del relativo, della Manifestazione che ha un inizio e una fine, che è chiusa quindi da precisi limiti; pur tuttavia dal concetto che vogliamo ulteriormente spiegarvi, voi vedrete che questo inizio e questa fine hanno un significato più profondo, ma non diverso da quello che fino a qui voi avete inteso.

Dicendo solamente: «un Cosmo ha un inizio e un termine, un suo ciclo di vita», voi potreste pensare che la Manifestazione di un Cosmo nascesse, così, come un fungo in mezzo al non Manifestato, e come un fungo cessasse il suo ciclo di vita al termine del riassorbimento. Così in effetti, fino a poco tempo fa, avete creduto. Ma questa non è tutta la Verità.

In questa Manifestazione cosmica voi sapete che esistono i microcosmi, manifestazioni di vita microcosmica che sono legate a individualità e a queste fanno capo. Sono piccoli Cosmi. Ma mentre i piccoli Cosmi fanno capo alle individualità, il grande Cosmo non fa capo a una vita individuale. Strano, tutto è analogo. Sarebbe stato più semplice vedere anche una sorta di vita individuale del Cosmo inteso nel suo insieme. Ma questa non c’è. Perché?

Un Cosmo ha un suo tempo. Qualcuno di noi disse che se un’individualità fosse legata al ciclo di vita di una favilla che può fuoruscire dalla combustione di qualche cosa, misurerebbe quel tempo – che per l’osservatore è di frazioni di secondo – in una durata assai lunga. E in effetti per l’uomo stesso il trascorrere del tempo, è detto e risaputo, è sensazione relativa. Ciò che si misura, si misura con un termine di confronto basato sul muoversi dei corpi celesti; ma il senso del trascorrere del tempo nell’intimo dell’uomo, pur agganciandosi al moto dei corpi celesti, all’alternarsi della luce e dell’ombra, ha un senso, un sapore, un significato, un «sentire» del tutto diversi; tanto che un’ora può diventare un’eternità, e l’intera durata di un giorno sembrare un istante, allorché l’uomo si desta e confronta il suo intimo trascorrere del tempo con l’alternarsi della luce e dell’oscurità.

Ecco dunque che il trascorrere del tempo è cosa del tutto individuale. E voi direte: «Ma esiste una realtà al di fuori dell’individuo: infatti misuriamo il trascorrere del tempo non solo dall’alternarsi della luce e dell’oscurità, ma dal modificarsi di ciò che sta attorno a noi; dalle piante che, da semi, germogliano, diventano vite adulte, fioriscono, danno frutti e muoiono. Questo è un trascorrere in senso ben preciso». Certo, nessuno può negare ciò. Ma se questo ciclo, questo trascorrere fosse cinematografato e rivisto poi in senso inverso, come se cosi fosse il ciclo naturale, cioè le piante avessero questo ciclo di vita inverso, chi in questo ambiente vivesse sarebbe convinto che quello è il ciclo di vita della pianta. Eppure la pianta ha un suo ciclo di vita perché è una manifestazione di vita che è legata a una vita microcosmica, a un’individualità.

Che cosa vuol dire tutto questo farneticare? Vuol dire che tutto quanto sta attorno a noi, gli alberi che crescono, gli animali che nascono invecchiano muoiono, i nostri veicoli fisici con il loro ciclo di vita, è visto così da noi non perché in Realtà sia così, ma perché noi seguiamo un convenzionale passaggio da fase a fase.

Supponiamo che un Cosmo sia una bobina cinematografica in cui vi sia rappresentata una scena: in una stanza vuota entra una persona e sceglie un oggetto che vi si trova. Questo fatto, nella bobina cinematografica, è rappresentato da un insieme di fotogrammi, ciascuno dei quali contiene una «situazione». Voi sapete che nella proiezione di un film il senso del trascorrere
dell’azione scaturisce dalla permanenza delle immagini sulla retina del vostro occhio. Scorre il film, ma l’obiettivo e lo schermo sono fermi; il succedersi delle immagini sullo schermo crea nello spettatore l’illusione del movimento. La macchina da proiezione è quale la conoscete perché in quel modo si ha la possibilità pratica di realizzare meccanicamente il principio. Ma se vi fosse un altro mezzo, secondo il quale voi riusciste a vedere, spostando l’occhio, una dopo l’altra le immagini fotografiche, egualmente avreste la sensazione del movimento, pur restando immobile la pellicola.

Tornando al nostro esempio, voi indifferentemente potreste vedere l’azione svolgersi in un senso o nell’altro. La stanza, da vuota, conterrebbe poi una persona che sceglierebbe un oggetto, o viceversa: secondo il senso seguito dai vostri occhi nel guardare i fotogrammi. Esiste un modulo convenzionale, cioè un ordine secondo il quale l’azione si svolge. Se la bobina stesse ferma, se la pellicola fosse immobile, la sensazione dell’azione scaturirebbe egualmente, se voi spostaste il vostro occhio, suc­cessivamente, da un fotogramma all’altro in un senso o nell’altro.

Così, supponiamo che questa bobina sia il Cosmo il quale vi appare, in questi termini, immobile, tuttavia ha un inizio e una fine; è limitato e relativo. Nell’ambito di questo ambiente cosmico, costruito con una particolare impronta, l’individuo ha il senso del trascorrere, assiste a una parte del ciclo di vita cosmica perché di volta in volta, di fase in fase, egli è legato a una situazione diversa; così come, nell’esempio che abbiamo fatto, guardasse un fotogramma dopo l’altro. In questo modo vedete il mutare dell’ambiente che vi circonda.

La sensazione di muoversi, reale ed effettiva, scaturisce dalla consapevolezza dell’individuo che passa da una situazione a una diversa successiva nell’ambiente cosmico. Potremmo dunque dire che non sono le piante che crescono, ma che abbiamo la sensazione che le piante crescano perché nella fase successiva la pianta, rispetto alla fase precedente, ha una statura diversa. Così, né più né meno, come se si trattasse di fotogrammi di un film.

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