Stereotipi e sciocchezze seppelliscono il contemplativo sotto una coltre di irrealtà.
È difficile trovare testimonianze autentiche non edulcorate della condizione che vive l’evoluto: questo scritto esce parzialmente dal coro delle banalità. Quando ho raccolto il materiale per questa raccolta ho sofferto non poco, si tende a trasmettere l’immagine semplificata di un essere che in realtà è estremamente complesso.
Complesso perché? Perché il cammino evolutivo e le innumerevoli comprensioni lo hanno reso tale. Quella complessità, finché c’è incarnazione, è difficile che significhi linearità, è più probabile che si associ a una multiformità di intenzioni e di comportamenti perché la complessità è ricchezza di opzioni, di sbocchi, di processi.
Riduciamo l’evoluto alla moralità ideale standard, una cosa che non si guarda. Debbo ricordare che esistono mille vie alla realizzazione e non tutte illuminate dal sole? Pensate alla via della sensualità? Non credete che esista una via alla realizzazione che passa attraverso i sensi e magari alla sperimentazione di Eros inteso nel suo senso più vasto? Potete immaginare quale complessità porta con sé?
Lo stereotipo religioso dell’evoluto, del santo, del buono, del discepolo che emula il maestro ci ottunde la comprensione, quando ce ne libereremo sarà sempre troppo tardi.
Il contemplativo non è buono, non è giusto, non è amorevole e soccorrevole: questi sono miti che non trovano riscontro nella realtà, sono favole per bambini.
Il contemplativo è complesso perché vive nella pelle, nella carne, nelle ossa e nel midollo la tensione tra Essere e divenire, tensione che lo rende tutto tranne che lineare.
Se abbiamo bisogno di miti, teniamoceli, se vogliamo vedere la realtà, guardiamola a occhi aperti: lasciamo che il contemplativo viva tra i mondi con quel dato livello di consapevolezza, lo faccia per come è, dentro l’officina sua e con la tuta sporca di grasso sua, non mettiamogli l’abito che piace a noi, non collochiamolo in alcun contesto ideale.
Più spesso il contemplativo assomiglia a un operaio che modella il fango.
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Parole che risuonano come liberatorie e tolgono zavorre. Ogni contemplativo può indossare una tuta diversa e operare nel fango piuttosto che nell’oro.
Comprendo quello che dici.
Hai fatto bene ad esplicitarlo
“Più spesso il contemplativo assomiglia a un operaio che modella il fango.”
Plasmando la materia non sfugge il mondo, infonde sentire nella carne, nelle ossa, nei processi del divenire
Testo da ruminare.