Contemplazione: la logica vittima-carnefice non spiega i processi

Il contemplativo è fuori dal tempo perché è oltre il tempo: risiede prevalentemente nel sentire che, per sua natura, è atemporale.

Il risiedere nel sentire gli permette di acquisire una visione unitaria dei processi; questo, chiaramente, non lo mette al sicuro dal commettere errori di percezione e di comprensione dei processi stessi.

Molti di noi si schierano d’istinto dalla parte della cosiddetta vittima di date situazioni: questo parla di noi, narra del nostro compreso ma non necessariamente ci permette di comprendere cosa accade tra la vittima e il suo carnefice.

La nozione di vittima è intrinsecamente sbagliata, non spiega mai la realtà profonda, solo quella superficiale dei processi: all’apparenza c’è vittima e c’è carnefice, nella sostanza esistenziale non esiste né l’uno né l’altro, entrambi sono protagonisti del loro processo di trasformazione interiore.

Farò un esempio che magari vi disturberà: il palestinese oggi vittima dell’arroganza israeliana, in una vita precedente può essere stato un persecutore e oggi si trova ad affrontare il suo karma, ad apprendere attraverso la persecuzione qualcosa che non ha potuto e/o voluto apprendere altrimenti.

L’israeliano che lo perseguita getta oggi le basi del suo karma futuro, di una comprensione che gli è necessaria e che sta orientandosi a conseguire mettendo in atto quei comportamenti di oppressione frutto del suo non compreso.

La scena che coinvolge entrambi, vista dalla superficie, parla di un dramma e di una ingiustizia: letta in profondità è qualcosa di molto diverso. L’osservatore esterno può avere chiaramente una sua opinione e attivarsi per una soluzione al problema così come appare nella sua superficie, ma nulla può sui processi esistenziali in atto.

Il contemplativo osserva i processi nel loro dipanarsi karmico: non ha verità, non ha soluzione, ma sente la realtà prima che essa divenga duale, divisa in vittime e carnefici.

Allo stesso modo, il contemplativo vede i giovani e meno giovani impegnati per la pace e comprende la loro necessità esistenziale: indipendentemente dall’impatto che l’impegno per la pace può provocare e dai risultati che può favorire, per il singolo è importante quello slancio, quel mettersi in gioco e osare e rischiare, anche, magari.

Quell’impegno è innanzitutto interno all’ecologia spirituale personale, è comprensione che genera comprensione: il risultato non è importante e non è le è perché non dipende da un fattore terzo all’interno di un conflitto, dipende principalmente dai contendenti e dai loro processi di comprensione in corso di lavorazione.

Certamente, là dove, per moto proprio le comprensioni dei contendenti siano in rapida e risolutiva evoluzione, l’intervento di un fattore terzo come l’impegno pacifista, può contribuire a produrre l’ultimo passo per la pace.

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Catia Belacchi

Quello che scrivi è chiaro, l’abbiamo detto infinite volte : non c’è vittima o carnefice, ma solo persone che debbono acquisire comprensioni.
Tuttavia, per sentire raggiunto, non si può non adoperarsi per chi, in un preciso momento, è quello che soffre, al di là del suo karma.
Come dice Mariela anche chi interviene lo fa per acquisire comprensione.

Mariela

Capita a volte di non sapere, davanti ad una situazione, se intervenire o meno. Sottile è il confine tra l’azione e la non azione. Sicuramente l’azione serve a chi agisce e per le sue comprensioni.

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