Una voce: Quando muore la speranza di evolvere, muore contemporaneamente quel terreno che voi coltivate per essere assorbiti nel Divino; è lì che accrescete il desiderio di essere accolti dal Divino, di essere quasi annullati in Lui, fino al punto da non essere quasi più niente: solo un piccolo residuo facente parte della Sua divinità.
E così, distogliendo lo sguardo dall’umanità per fissarlo sul Divino, vi illudete che finalmente accadrà quel che vi siete meritati, ovverosia di non essere più invischiati nell’umano, ma sempre più protesi a realizzarvi nell’Uno. Ecco perché l’uomo “in cammino” si ritrova sballottato mentalmente fra illusioni, speranze, delusioni, progetti e dolori.
A che cosa ambite contrapponendo l’uomo a Dio, cioè il concreto all’astratto, il materiale all’immateriale, il sacro al profano? È il desiderio di essere prima in un modo e poi in un altro: prima uomini “in cammino” verso l’evoluzione, e poi una piccola parte divina; prima semplici persone lontane dalla spiritualità e poi esseri che si immergono nel Divino. Perché voi pensate che mai e poi mai potrete diventare divini, se non quando cessate di essere umani, e pertanto progettate, costruite, demolite e migliorate. Però siete sempre voi gli artefici e anche il punto centrale del vostro perdervi come uomini per diventare divini.
Quando muore ogni speranza,
nasce un silenzio che non viene turbato da niente:
nessuno è più né causa e né autore,
e nessuno più è dentro un processo
che lo porta a raggiungere il Divino;
c’è solo l’immergersi in un silenzio interiore.
Lì c’è l’amore che non usa definizioni,
che non usa distinzioni,
che non usa contrapposizioni,
ma che si riconosce amore nell’amore.
Non è così nel cammino interiore, dove siete sempre voi che operate, spinti dalla necessità di far perdurare la vostra permanenza come sostanza, pur nel desiderio di dissolvervi nell’Uno; perché, sebbene desideriate di raggiungere il Divino, state sottilmente mantenendo viva una piccola parte del vostro “io”, che si colloca in questa pretesa. La pretesa è quella di continuare a esserci come individualità distinta e separata, e soprattutto come presenza “utile” alla vita, perché “importante” e sulla via della santificazione.
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C’è proprio una prospettiva che non vi piace nella via della Conoscenza, ed è quella di essere “inutili”, poiché ciascuno desidera di essere utile agli altri, utile alla vita, utile al Divino, e desidera anche che quella sua utilità gli venga riconosciuta come valore. È un’utilità che si lega a un qualcuno che vuole sentirsi al centro, che vuole essere riconosciuto e primeggiare, ed è per questo che la via della Conoscenza sottolinea la vostra non-utilità, proprio per farvi comprendere che, oltre quel mondo mentale in cui vi identificate, ciò che esiste è indifferentemente né utile, né non-utile. Non c’è alcuna differenza, perché creare le differenze significa porre delle etichette.
E poiché gratuità è casualità, ogni azione che vi attribuite esprime solo la sua profonda natura di non-utilità. Nulla è utile a voi e nessuno di quegli atti, o comportamenti o progettazioni, che fanno parte dei “dover essere” della via evolutiva, vi porta dove voi aspirate ad andare. L’azione che nasce dalla gratuità non cerca un risultato e nemmeno un merito, ma si lascia guidare da una spinta interiore.
Nella via del “passo dopo passo”, voi vorreste rimpicciolire la vostra identità tentando di rimuovere tutti quelli che considerate “problemi” che vi ostacolano, per potervi poi dire: “Finalmente mi sono liberato da una mia inadeguatezza spirituale che ho sconfitto grazie a un aiuto divino”. Questo per voi è un “passo avanti”, anche se è un non-passo: non avete risolto alcun “problema” – perché i problemi sono concetti creati da voi – e nemmeno avete compreso voi stessi, ma esaltato quello che vi attribuite come conquista, come liberazione e come raggiungimento della vostra meta spirituale, compiacendovi del vostro “io in cammino” verso l’evoluzione.
E poi quando, di fronte a ciò che accade davanti ai vostri occhi, dichiarate di non comprendere e di non riuscire a dipanare quella situazione, ma vi dite: “Non serve che io capisca quel problema, non serve che capisca me stesso, serve soltanto essere me stesso” vi state creando un alibi, perché non è possibile essere chi si è, se non comprendendosi, comprendendo anche la situazione e anche l’altro, per come si è capaci, ma soprattutto dubitando dei propri giudizi e ascoltando ciò che sussurra nella profondità del vostro essere.
La gratuità è la totale negazione dell’idea di “dover” cambiare per maturare e per santificarsi. È solo possibile che un moto interiore spinga ad arrestarsi in quel cammino, non intenzionalmente, ma senza più sapere dove andare, o dove stare, o con chi stare, poiché ci si trova a vivere il vuoto di ogni meta evolutiva e di ogni progressione legata a un centro di individualità. In quello spazio di vuoto interiore muore la pretesa che l’“io” sia l’artefice nel processo di liberazione che voi tutti mettete in atto per morire a voi stessi e ritrovarvi uniti al Divino. Bella contraddizione!
Il mistero della gratuità mette in crisi quel vostro centro di individualità che agisce per maturare singolarmente, ma anche l’azione che viene programmata e indirizzata con l’unico scopo di fare i “passi in più” verso il mondo della spiritualità, un’azione artefice di nulla. Perché progettare un’azione per essere protagonisti di un risultato nella via del “passo dopo passo” non porta ad alcun risultato reale; è solo la negazione della gratuità. Ogni meta rivolta verso una personale crescita interiore, che differenzia sé dal mondo intorno, nega la gratuità. Perché la gratuità non è il risultato di una vostra generosa ammissione che vi fa dire: “Io voglio dissolvermi. Io non conto. Chi agisce è l’Assoluto”. Questo è solo il tentativo di mascherare un “io” occultato, ma presente. La gratuità è il semplice accadere che non si colora di nulla: di nessun concetto, di nessuna etichetta, di nessun darsi da fare per meritarla o per conquistarla, e di nessuna pretesa.
Ciclo gratuità della Via della conoscenza
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“Quando muore ogni speranza,
nasce un silenzio che non viene turbato da niente”. Credo di riconoscerlo quel silenzio..
Se pure non posso attribuirmi nulla, sento ancora di dover osservare, contemplare la vita nel divenire.
Scopro ogni volta di più la mia inutilità, quando la vita mi presenta le scene che palesano la precarietà dell’esistenza, l’illusione delle cose conseguite. Tutto mi parla di qualcosa che non posso gestire oltre i miei limiti e tutto mi porta ad affidarmi, perché altro è il senso ultimo del nostro esistere.