Il contemplativo si chiede come la gente del mondo possa vivere senza la consapevolezza della Radice Prima.
A lui sembra – in questi giorni post intensivo in cui i corpi transitori sono logorati e incapaci di veicolare la chiarezza del sentire – che non esista altra vita degna di questo nome che non sia quella nella Radice Prima. Ma, evidentemente, si sbaglia e la vita comune procede ed è percepita come la vera, forse da alcuni come l’unica vera.
Per lui non è mai stato così, l’inquietudine l’ha divorato fin da bambino e anche oggi la sua indagine non si arresta: non ha scelta, non può dire “qui mi fermo”, nel suo frasario non c’è questa espressione.
“Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” diceva il Maestro: è così, una realtà indubitabile, un’esperienza senza fine che non contempla alcun libero arbitrio. E allora, corpi bruciati o no, lucidità appannata o no, continua la vita a scorrere fuori e dentro di sé, ma quella fuori è già dentro e ogni sussurro, ogni carezza, ogni schiaffo sono sentiti e compresi come oltre fuori e oltre dentro.
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Nel cammino incontri la possibilità di esplorare, nella comunità realizzi ciò che era in potenza.
Non è che per tutti la vita comune è percepita come vera, è che chi è ancora immerso, suo malgrado, nelle dinamiche del mondo, fa fatica a estraniarsi da queste, perché comunque da esse è spintonato.
La tua inquietudine viene da lontano, molti di noi l’hanno sentita in età adulta. Questo fa la differenza.