Sono giorni in cui il dramma di Gaza urla alle coscienze e la situazione in Ucraina invita a un continuo discernimento nel tentativo di comprendere i destini di questa parte del mondo.
La vicinanza al popolo palestinese è divenuta una rete di situazioni coagulate anche da uno sciopero: ho dei dubbi sull’uso dello sciopero associato a queste cause, sono invece favorevole a ogni movimento che coinvolga le coscienze e le conduca a manifestare la propria intenzione individualmente, collettivamente, in piazza, sui social, ovunque.
Quando contemplo il passato mio e di questo paese dagli anni ’60 del secolo scorso a oggi, mi colpiscono due fattori:
– la grande inquietudine sociale degli anni ’60 e ’70 con la profusione di movimenti e di lotte;
– l’impasse successiva della politica e della società, il terrorismo, gli anni nefasti del CAF, il berlusconismo successivo e il riassorbimento di ogni velleità di cambiamento.
Un’onda possente di cambiamento ha prodotto risultati non certo sostanziali nella natura della società e nell’intimo degli individui. Perché?
Vi farò un esempio che vi disturberà: ricordo un compagno di lotte degli anni ’70, occupazioni di fabbriche e impegno politico comuni, ma quando era a casa molestava sessualmente la nipote minorenne.
A 73 anni non credo più a quello che gli individui mostrano e affermano, cerco una verità più nascosta che sta oltre il mostrare e il dire, cerco l’animo interiore degli esseri.
Questa ricerca mi porta a dire che quanto vedo in questi giorni in merito all’impegno per la pace, è giusto, necessario, è la pedagogia di base, la didattica elementare e necessaria.
Aggiungo anche, però, che il processo della pace ha bisogno di molti e ulteriori passi che scendano in profondità nell’intimo degli esseri e nel sistema nervoso di una società.
La pace è tale se è sentita individualmente, se accade ed è sperimentata in me, e questo può risultare ovvio, ma è smentito a ogni istante: nella nostra vita sociale molto sembra cooperare affinché l’individuo non conosca lo stato di pace interiore.
Non conosce la pace e l’armonia fin da bambino perché continuamente viene sottoposto a stimoli e richieste – si pensi al sistema scolastico – e non la conosce in seguito perché ogni passo sembra una prova in cui si deve dimostrare qualcosa a qualcuno.
Educare alla pace è educare alla complessità delle relazioni, al rispetto, alla comprensione, ma se sono perennemente pressato, o svuotato di riferimenti e di modelli e attorniato dal non senso, la mia formazione in che ambito avviene, quali valori, quali esperienze in realtà interiorizzo?
Esiste la violenza macroscopica della guerra, ma esistono anche mille altre violenze che attraversano le nostre società e noi stessi: l’assenza di qualsivoglia valore proposto alle nuove generazioni certamente non è una forma di violenza, ma altrettanto certamente è un incubatore di malessere esistenziale che nella violenza può sfociare.
È crudele ciò che viene inferto al popolo palestinese o a quello ucraino, ed è una crudeltà che, evidentemente, rientra in un quadro karmico: chi fermerà questa onda arrogante e crudele e con quali strumenti? Saranno gli spacciatori di vuoto a fermarla?
I costruttori di pace non sono forse coloro che innanzitutto trovano un senso al loro esistere e in quel senso sanno direzionare le proprie energie creative verso il bene comune?
Chi educa al valore del bene comune?
Chi educa al valore spirituale dell’esistenza?
In alcune aree del pianeta la non comprensione sfocia in violenza aperta, in altre aree essa diviene non senso diffuso, cinismo, vuoto del senso di vivere, di studiare, di lavorare, di coltivare i rapporti: questo secondo disagio non è gridato – se non in alcuni casi – ma è diffuso in ogni cellula delle nostre società e produce esistenze opache e comportamenti che, se solo avessimo occhi per vedere, sono di grande allarme.
I nostri figli ricevono la loro educazione sentimentale sui siti porno: è violenza questa?
Certo, non è violenza convenzionale ma conferisce un altro tipo di morte non meno letale.
Quando manifesteremo contro la violenza e la morte interiore, cercherò di esserci anch’io in piazza; per questa volta, contro la guerra e per la pace, mi limito a scrivere.
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Noi possiamo lottare con le coscienze, nel nostro intimo, portare il cambiamento dentro di noi.
Parole che, come un aratro fa con la terra, dovrebbero rivoltare i cuori degli uomini e portarli a conversione.
La tua analisi non poteva essere più vera e incisiva, ma ormai chi educa più le coscienze, se queste vengono anestetizzate?
Grazie per questa analisi sentita e condivisibile. L’intenzione al cambiamento va coltivata interiormente e manifestata anche collettivamente perché seppur in movimenti elementari, sarà pur sempre un riferimento per qualche altra coscienza.
Concordo con quanto scrivi. Il vero cambiamento avviene innanzitutto nell’intimo di ognuno.
Grazie alle esperienze e alle comprensioniaturate.
Eppure se non si opponesse al modello violento di oggi, un altro che inneggia alla non violenza, verrebbero meno dei riferimenti per coloro che su quella strada muovono i primi passi.
Credo che sulla mia formazione abbiamo inciso tutti quei movimenti degli anni ’60 e 70, di cui parli, anche se non vissuti in prima persona, almeno i primi.
Ora ne colgo tutte le contraddizioni, ma indubbiamente sono stati utili nel riconoscermi in una possibilità di cambiamento. Per quello ho ritenuto utile fare sciopero e credo che i movimenti che si sono creati siano una buona cosa.
Siamo ancora lontani dalla possibilità di manifestare contro la violenza e morte interiore. Ci vorrà tempo. Ma in questi movimenti di oggi, ne intravedo i primi passi. È un processo.