Perché dubitare?

“Dopo una giornata passata a mendicare,
torno alla mia capanna e chiudo la porta.
Brucio nel focolare dei rami ancora verdi;
leggo con calma le poesie di Kanzan.
Il vento dell’ovest porta la pioggia.
Ogni tanto, distendo le gambe e mi riposo.
Perchè affannarsi, perché dubitare?”
Ryokan, monaco dello zen, 1758-1831
Poesie di Ryokan, La vita felice editore

continua..

La Sala di Meditazione, Ancona

L’indagine sul sé e sulla nostra “natura originaria”
(secondo la tradizione dell’Advaita Vedanta e dello Zen)
e la pratica dell’abbandono delle nostre identificazioni personali
e degli attaccamenti (ispirata anche alla tradizione mistica
cristiana), sono il fulcro dei nostri incontri
e del nostro impegno nella vita.

La Sala di Meditazione, via Dalmazia 21, Ancona
Telefono 071.2803716
e-mail: bolrob13@libero.it, panda14@alice.it
La pagina su Facebook

Programma degli appuntamenti
Settembre/dicembre 2012

Info. tel.071-2803716,
bolrob13@libero.it ( Roberto),
panda14@alice.it ( Daniela).

          

Conoscenza di sé, meditazione, contemplazione

E’ il testo di riferimento indispensabile se vuoi introdurti nella via spirituale dall’angolo visuale da noi proposto. In esso trovi una prima parte dedicata alle dinamiche della mente e al come affrancarsi dal suo condizionamento; una parte centrale dove si tratta dell’altro da sé e dell’esperienza degli affetti; una terza parte, molto vasta, dedicata ad una analisi dettagliata dell’esperienza della meditazione, della contemplazione, dell’abbandono, della compassione. Prima di ordinarlo (eremo@contemplazione.it) leggi la pagina Al lettore.
Il libro in formato pdf

Autori: R.Olivieri con G.Cavalieri

Al lettore
Prefazione
Introduzione: L’inspiro che prepara l’espiro
Capitolo 1: La crisi, il dolore
Capitolo 2: L’identificazione col dolore
Capitolo 3: Imparare a dubitare
Capitolo 4: La disconnessione dal recitato mentale
Capitolo 5: Aggiungere e togliere
Capitolo 6: Il deserto
Capitolo 7: La solitudine
Capitolo 8: La caduta della morale
Capitolo 9: L’altro da sé
Capitolo 10: Il buon amico
Capitolo 11: L’esperienza degli affetti
Capitolo 12: Chi opera il cambiamento
Capitolo 13: Natura dell’atto meditativo
Capitolo 14: L’esperienza della contemplazione
Capitolo 15: La routine del quotidiano
Capitolo 16: Tutto sorge e tutto scompare: l’impermanenza
Capitolo 17: Lo sguardo del contemplante
Capitolo 18: La pregnanza di ogni singola esperienza
Capitolo 19: Il sorgere dell’esperienza della compassione

Formato: 14,8 x 21 cm.
Pagine: 307

Contemplare è smettere di cercare

Quante parole! Le parole parlano di noi, le persone che incontriamo parlano di noi,
le notizie al telegiornale parlano di noi:
se abbiamo orecchie per ascoltare e strumenti concettuali per interpretare, ci possiamo accorgere
che tutta la realtà parla di noi, ci descrive, ci smaschera, ci mette in scacco.
Se abbiamo bisogno di essere messi in scacco, va bene.
Ma se cominciamo ad essere stanchi di questo essere sempre nel mezzo, in un fiume incessante di parole, immagini, azioni;
se cominciamo ad avere il dubbio che forse la realtà non parla sempre di noi, forse parla solo di se stessa,
allora ci siamo!
Forse non siamo così importanti, forse sorge in noi il senso di una irrilevanza,
di essere un qualcosa di poco conto, senza che questo ci susciti angoscia.
Possiamo cominciare ad ascoltare?
Che cosa? Semplicemente ciò che accade.
E che cosa accade? La vita!
Ed è importante la vita? Terribilmente!
E noi siamo importanti? Per niente!
Ed è importante la vita? Per niente!
Guarda la luce come danza sulle foglie di quell’albero!

Aderire alla vita

Nella radicalità del gesto del vivere, dove tutta la realtà, così come appare ai sensi e al sentire interiore si manifesta, affiora la trascendenza al gesto stesso. Lì, in quel pensiero, in quell’emozione, in quell’azione si manifesta la persona come individuo, come esistente; e lì, in quell’immersione, l’individuo si perde, si dimentica di sé, scompare.
In quel presente si manifesta tutta la mente, ma se si scende più nelle viscere di quel presente, dentro la meditazione di quel presente, la mente scompare e a quel punto c’è solo l’esistenza e non è più qualcosa di personale: è la contemplazione dell’esistenza.
Quando osservi un fiore, nel primo accostarti ci sei tu che osservi ma, se rimani ad osservare, se vedi il gioco della mente che ti porta qua e là e lo lasci andare, da quell’abbandono sorge il manifestarsi dell’essere del fiore non condizionato da ciò che la mente recita su di esso. Ad un certo punto c’è solo il fiore, l’osservatore scompare, la Realtà si impone. L’osservazione ha generato la meditazione e questa la contemplazione in un divenire rapido, senza soluzione di continuità. Poi ritorna la mente con il suo connotare, ma più stai dentro questo processo, più la realtà si afferma e la mente tace. Allora scopri qualcosa di formidabile: se non connetti più pensiero a pensiero, pensiero a emozione e ad azione, ovvero se disconnetti il pensiero dall’emozione e dall’azione, ciò che rimane dopo la disconnessione è sempre e soltanto presente. Puoi andare oltre mente e non mente perché c’è solo il presente: quel pensiero, quell’emozione, quell’azione, la Realtà che si manifesta senza un prima e senza un dopo. Quando questo accade, bisogna saperlo, nell’intimo dell’atto del contemplare non c’è più qualcuno di separato da ciò che si sta manifestando: tutto ciò che era basato sull’io/tu, sull’osservare, sull’essere consapevoli, scompare. Permane un sentire d’essere che non porta tracce di egoità.

Zazen come Buddhadharma

Un’intervista con Uchiyama Kosho Roshi a cura di Takamine Doyu.

Presentazione di Jiso Forzani
Il testo che segue è la traduzione dall’inglese, pubblicata sulla rivista The Open Gate edita a Kyoto da Takamine Doyu e Daitsu Tom Wright, del resoconto di un incontro fra Uchiyama Kosho Roshi e Takamine Doyu. Alcuni cenni di presentazione appaiono necessari per chiarire il contesto al lettore.

Uchiyama Kosho Roshi (quest’ultimo è un termine di rispetto che significa anziano maestro) era un monaco buddista zen che ha dedicato la propria vita alla pratica, allo studio e alla trasmissione dell’insegnamento di Buddha.
Il suo stile di vita molto sobrio e il suo rapporto molto concreto con il dharma buddista hanno attirato, fin dagli anni settanta, l’attenzione di numerosi giapponesi e occidentali, alcuni dei quali si sono recati nel piccolo monastero di Antaiji, a Kyoto, per condividere con lui la pratica religiosa e per ascoltare la sua esposizione dell’insegnamento buddista.
Uchiyama Roshi rifuggiva da qualunque forma di imposizione della propria personalità, tentazione latente del rapporto maestro discepolo che pure è parte non accessoria della via buddista, e proponeva come capisaldi dell’esperienza religiosa una pratica costante e intensa e un rapporto diretto e non settario con lo studio dei testi religiosi.
Autore di numerosi libri, ha sempre dedicato un’attenzione instancabile a far sì che la dottrina venisse ascoltata in modo non condizionato da pregiudizi e riconsiderata alla luce della propria effettiva esperienza di vita. Ne deriva un’esposizione semplice in termini di linguaggio e profonda in termini di significato. Dove per semplicità non si intende riduzionismo ma intelligibilità, perché rifugge dalla terminologia tecnica e stereotipata, che spesso è un alibi per celare la mancanza di comprensione di chi la usa; e per profondità non si intende indederminatezza e oscurità, ma spessore e pluralità di livelli, perché così è la vita, che nell’apparente similarità dei casi che produce ha una ricchezza inesauribile che si svela solo vivendola con attenta adesione.
Lungi dal voler fare un’apologia della persona, che non sarebbe che un estremo torto, dico però con convinzione che Uchiyama Roshi è stato, per molti di coloro che hanno avuto l’occasione di conoscerlo e di frequentarlo anche solo un po’ come è il mio caso, uno stimolo che continua a operare a non sprecare la propria vita ed anzi ad onorarla fino in fondo.
Con questo spirito, di essere veicolo, anche attraverso le parole scritte, dello stesso rispetto verso la totalità dell’esperienza di esistere cui Uchiyama Roshi ha dedicato la sua vita, proponiamo la lettura delle sue parole, nella speranza che il loro vero significato rieccheggi nel cuore di chi legge.
N.d.R. Quanto segue è una traduzione di uno degli ultimi discorsi tenuti da Kosho Uchiyama Kosho. L’autore dell’intervista ha fatto una breve visita ad Uchiyama nella sua residenza di Noke-in, in Giappone, il 6 di Gennaio del 1998.
Egli parlò di alcuni aspetti più di tutti essenziali riguardo la pratica dello zazen come Buddhadharma. Il 13 marzo seguente, all’età di 86 anni, Uchiyama morì nella sua casa, poco dopo aver finito la sua poesia Tada Ogamu – Solo inchinarsi.
In traduzione italiana è possibile leggere di Uchiyama: Istruzioni a un cuoco zen (un commento al Tenzo Kyokun di Doghen), pubblicato da Ubaldini (Roma, 1986) e La realtà della vita (Bologna, EDB, 1993).

Il testo dell’intervista in formato pdf

L’intervista è tratta da:
http://www.lastelladelmattino.org/rivista/index.php/inverno-2001/zazen-come-buddhadharma