La via, la pratica, il monaco

Dicevamo nel post di ieri che nessuno si libera da sé, il vivere ci libera. Se così è, e dal nostro punto di vista di questo non dubitiamo, la via interiore e le sue pratiche hanno la funzione di accompagnarci nel cammino quotidiano incontro a noi stessi, che avviene nelle molte officine esistenziali di cui il mondo è costituito e in alcune delle quali siamo immersi.
Se la prima ed ultima maestra è la vita; se ogni comprensione viene generata grazie alla relazione con l’altro da sé, allora sorge un problema di non poco conto:
che senso hanno i radicalismi di non poche vie interiori, le meditazioni estenuanti, i voti di vario genere, le molte discipline interiori cui si dedicano i praticanti?
Ho in mente le comunità monastiche cristiane dove uomini e donne sperimentano e vivono in comunità separate e dedicano non poche delle loro risorse alla gestione e al contenimento delle loro nature.

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La meditazione e l’atteggiamento meditativo

1- In questo preciso istante, dove è appoggiata la consapevolezza?
2- C’è la disposizione a lasciar andare, a non trattenere, a non indugiare sull’oggetto della consapevolezza?
3- Se lascio andare, dovendo comunque esserci un punto focale, dove si appoggia allora la consapevolezza?
4- Sulle sensazioni, la piattaforma base di tutto l’esistere.
Questo processo è valido a patto che poi le sensazioni non divengano il nuovo indugio.
Il processo descritto è quello dell’atteggiamento meditativo che accomuna un po’ tutte le pratiche meditative: il punto focale può essere rappresentato dal respiro, da un oggetto, da una parola invece che dalle sensazioni, ma la sostanza è quella.

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Quando un insegnamento diviene un trastullo?

Diceva Uchiyama Roshi che il bastone durante lo zazen era un giocattolo, un trastullo per il praticante: serviva a rompere la monotonia delle interminabili ore di pratica, una consolazione alla fine ricevere una bastonata!
Quando un insegnamento diviene un trastullo? Quando non è sorretto da una pratica adeguata.
Cos’è una pratica? Dedizione e perseveranza nella frequentazione, nella meditazione, nello studio, nella costruzione di un tessuto di relazioni.
Ciascuno secondo le proprie possibilità, che significa non irregimentati all’interno di un insieme di doveri, ma consapevoli che la trasformazione interiore richiede una molteplicità di approcci.

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