Inizia oggi il Laboratorio della creatività consapevole per bambini; inizia anche un cammino lungo di conoscenza, di collaborazione e di relazione tra le educatrici e i genitori dei bambini presenti.
Abbiamo lavorato con dedizione perché si giungesse a questo avvio: per noi è importante che i bambini possano entrare in contatto con un ambiente che funziona secondo logiche molto diverse da quelle che caratterizzano il mondo nel quale cresceranno:
– la conoscenza e la consapevolezza di sé;
– il rispetto dei bisogni dell’altro;
– il rispetto per ogni aspetto dell’ambiente nel quale sono inseriti;
– lo sviluppo della capacità di fare le cose assieme collaborando, condividendo;
– l’acquisizione di una sana relazione con il proprio corpo e le sensazioni che da questo sorgono;
– lo sviluppo di un pensare ordinato e di una sfera emozionale ampia, consapevole, conosciuta;
– l’acquisizione di una capacità di fare, di trasformare l’intuizione in pensiero e questo in azione;
– l’esperienza dell’equilibrio interiore, della discrezione, del silenzio, delle basi dell’atteggiamento meditativo e contemplativo.
Sappiamo che ciò che sperimenteranno qui, nel tempo, si iscriverà in modo indelebile nel loro interiore e, in virtù anche di quanto qui avranno sperimentato, potranno transitare nelle loro vite con maggiore consapevolezza, con un un minore tasso di dolore e, forse, potranno dare il loro contributo affinché il cammino di tutte le persone sia più armonioso, meno conflittuale, più attento alle esigenze comuni e dell’ambiente che le ospita.
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pedagogia
Brevi, amare note, sui Test Invalsi, la formazione standardizzata, l’educazione vuota e formale
Ho letto l’intervista che Eleonora Fortunato ha fatto a Giorgio Israel, professore di matematica all’Università “La Sapienza” di Roma e membro dell’Academie Internationale d’Histoire des Sciences, riguardo ai Test Invalsi. L’analisi fortemente critica che il professore fa di questi test di valutazione scolastica, è illuminante e invito pertanto a leggerla.
Vorrei soltanto comunicare alcune riflessioni. L’intervista mi ha riportato a quando ero insegnante e ha richiamato il fortissimo disagio, che ho vissuto allora, nel dover sottoporre agli alunni i suddetti test.
Quando ho avuto per la prima volta sotto gli occhi i quesiti preparati per una seconda classe di scuola primaria, sono rimasta scioccata dall’astrattezza e dalla difficoltà delle domande.
Pensavo: “Come possono tradurre, i nostri alunni, il linguaggio di queste consegne in qualcosa a loro comprensibile, dal momento che durante la somministrazione sono vietati qualsiasi chiarimento o spiegazione non dell’esercizio, ovviamente, ma delle consegne stesse?
Ora sappiamo, perché succede anche a noi adulti, che di fronte ed una novità abbiamo bisogno di un po’ di tempo per comprenderla ed adattarci ad essa e, spesso, di qualche esperto che ce la chiarisca.
Per acquisire certe competenze di base, inoltre,sappiamo che ci sono diverse strategie per arrivarci ed un alunno può sentirsi disorientato o inadeguato se si trova a dover utilizzare una strategia che non conosce o non padroneggia.
Da ciò è nata la necessità di preparare i ragazzi ai test, non di prepararli a risolvere in modo creativo e dunque personale un problema, ma semplicemente a saper dare le risposte richieste a stimoli standard, proprio quelli, uguali su tutto il territorio nazionale, come se i ragazzi fossero tutti uguali e i modi di apprendere gli stessi per tutti. Non ragazzi unici ma omologati e standardizzati
Quanto tempo è richiesto agli insegnanti per preparare gli alunni a questi test? Quanto tempo è tolto ad attività più propriamente formative?
Se poi i risultati di questa somministrazione servissero anche a valutare la qualità dell’insegnamento e dunque degli insegnanti, come paventa il prof Israel, l’insegnamento si svuoterebbe di senso dato che si ridurrebbe a formare batterie di alunni in grado solo di dare risposte adeguate a determinati stimoli.
Preoccupa molto che la scuola sia sempre di più orientata verso un sapere nozionistico e astratto perché la vera competenza non si misura con dei test ma la si coglie in situazione, vale a dire nell’agire complessivo e concreto dell’alunno, quando corpo, emozioni e mente sono coinvolti e collegati; questo tipo di competenza la può valutare solo l’insegnante quando è formato adeguatamente per coglierla prima in se stesso poi nell’altro.
E’ triste che coloro che stanno in alto nella gerarchia scolastica, nonostante i propositi contenuti nei programmi ministeriali di ciascun ordine, indirizzino invece la scuola a recepire solo indicazioni formali. I ragazzi invece chiedono con forza di essere guidati, nel corso della propria crescita, a conoscere se stessi attraverso un insegnamento che, nel formare abilità che servono nell’agire concreto, non trascuri l’acquisizione di capacità che li portino a scoprire il loro interiore, a capire chi sono, qual è il loro compito nella vita e come rapportarsi con se stessi e con gli altri.
La misurazione di queste competenze non potrà avvenire con uno sterile Test Invalsi ma potrà essere colta dal modo col quale i i nostri ragazzi sapranno muoversi nel mondo.
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Crescere i figli senza farne dei “viziati”
Prendo spunto da questo bel post di un’amica comparso su Comunità del Sentiero contemplativo.
Voglio qui affermare poche, semplici tesi senza la pretesa di esaurire il tema.
– Un figlio quando nasce ha già un percorso esistenziale, uno scopo esistenziale prefigurato: la coscienza lo porta nella famiglia e nell’ambiente sociale in cui potrà affrontare ciò che esistenzialmente è per lui rilevante, disponendolo a quelle sfide, a quelle scene, a quelle opportunità che ne trasformeranno e amplieranno il sentire. Non voglio dire che un figlio ha il proprio destino segnato, è un’espressione che non userei mai, ma che gli ambiti esistenziali generali di quella vita sono, nelle loro linee di fondo, dati già prima della nascita, al concepimento: non si concepisce un ammasso di cellule organizzate, ma un percorso, un processo esistenziale.
E’ importante che i genitori comprendano che un figlio non è loro, che è un essere che tutti i giorni e tutti gli anni dispiegherà la ragione del proprio esserci e si confronterà con ciò che è necessario ai suoi processi interiori.
Qualsiasi siano gli “errori” e le inadeguatezze dei genitori, ciascuna di queste sarà un’occasione di conoscenza e di trasformazione per loro e per le creature che hanno generato: in quest’ottica non esistono errori, ma solo opportunità.
– I genitori creano un ambiente ed un’atmosfera familiari attraverso le loro disposizioni interiori, le loro scelte, le loro preferenze, le cose dette e quelle non dette, le esperienze proposte e quelle negate.
I genitori nutrono i figli di ciò che essi sono ed hanno compreso: è il loro compreso che genera l’ambiente e l’atmosfera familiare.
La famiglia è un ecosistema e il suo equilibrio è la risultante dei vari sentire e dei molteplici conflitti tra le identità e interni ad esse.
Quanta consapevolezza dei processi interiori c’è nella famiglia?
Quanta capacità di affrontarli, osservarli, risolverli senza rimuoverli?
Quanta attenzione reciproca tra i suoi membri?
Quanto rispetto, dedizione, accudimento reciproci?
Quanta capacità di tacere, osservare, discernere è testimoniata dai genitori?
Quanta volontà sana e non nevrotica pervade l’organismo familiare?
Quanta capacità di altruismo e accoglienza ne illumina le scelte e gli indirizzi nel vivere quotidiano?
Non è mio interesse definire che cosa sia un figlio “viziato” ma direi che è qualcuno cresciuto in un ambiente in cui alcune delle voci soprannominate erano carenti o distorte.
Concludo ribadendo che qualsiasi “errore”i genitori compiano questo creerà l’humus per la crescita dei loro figli e alla lunga, in una ottica esistenziale, rappresenterà per loro una possibilità anche quando apparentemente gli ha ostacolati: la sfida vera dei genitori è quella di esprimere vite, le loro, portatrici di senso, di creatività, di pienezza, di consapevolezza, di generosità.
I figli seguiranno.
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L’esperienza della poesia coi ragazzi a scuola
C’è un momento in classe in cui i ragazzi rispondono in un certo modo, un modo inaspettato e inesplorato.
Succede quando, con davvero poco, li porti all’interno di sé, basta un respiro a volte.
E’ quello che mi è successo sempre come insegnante, toccare con mano la differenza tra il far lezione e lo stare invece insieme a rendere palpabile qualcosa di semplice e speciale.
E’ successo anche stamattina, in una prima media, dove abbiamo sperimentato un primo approccio alla poesia.
Abbiamo iniziato con alcuni minuti di silenzio scandito dal respiro, seduti correttamente sulla stessa seggiola dove di solito stanno stravaccati.
Era la prima volta. Hanno collaborato, nessuno ha riso o si è mosso.
Subito dopo hanno osservato come l’ambiente fosse impregnato di silenzio e di calma.
A metà lezione l’esperienza si è ripetuta per ritrovare il giusto ritmo tra il fare e lo stare.
Così i ragazzi hanno definito il silenzio:
calma
pace
tranquillità
vuoto
concentrazione
positività
libertà
respiro.
Il silenzio è innocuo,
sereno,
prezioso,
libera la mente.
Dopo aver letto il seguente Haiku abbiamo provato insieme a trasporlo
Vedendo la luna Osservando la luna
riflessa sul mare rispecchiata sul mare
dalla sacra montagna dall’alta collina
le isole sembrano buchi gli scogli sembrano ombre
in una distesa di ghiaccio sopra una distesa argentata.
Saigyo I ragazzi
Abbiamo poi provato con l’esperienza che i ragazzi avevano della luna, e dalla frase di uno di loro è stato elaborato insieme il seguente testo:
Tuffandomi nel mare
di sera
ho notato
onde di luna
cavalcare l’acqua
E’ stato solo un primo approccio, ma significativo, su come sia possibile portare i ragazzi a porre l’attenzione su cose semplici che possono, però, diventare straordinarie: basta saper creare il giusto clima per insegnare a guardarle e scoprire parole adatte per raccontarle.
Immagine tratta da: http://goo.gl/d6d830
Lo sviluppo psico-affettivo del bambino attraverso la simbologia delle fiabe
Corso per genitori ed educatori promosso dall’ Eremo dal silenzio e dall’Amministrazione comunale di San Costanzo
Lingue di fuoco, una storia per i bambini
Pdf, versione stampabile
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Pedagogia spirituale
Questa sezione si occupa di tutto il processo educativo. Il termine “pedagogia spirituale” è inadeguato a descrivere l’intento ma è una approssimazione necessaria in un ambiente come il web.
Di seguito trovi i collegamenti ad una serie di contenuti sperimentati in un trentennio di attività didattica nella scuola primaria pubblica: ciò che viene affermato appoggia sulle solide basi dell’esperienza e da questa è poi sorta la visione pedagogica che viene proposta e che trova una sua esposizione organica nel libro: La meditazione nel percorso educativo, di C. Belacchi, edizioni Psiconline.
Il cammino spirituale con i bambini
Di solito il percorso spirituale autentico inizia nell’età adulta, quando si è portato a compimento lo sviluppo affettivo ed intellettivo che costituiscono la nostra nascita psicologica. Si affaccia allora in noi il bisogno, in modo più o meno impellente, di non cercare più una realizzazione esteriore portata alla espansione dell’io ma a cercare la nostra natura autentica che sentiamo esserci, che ci spinge a stare, ma che percepiamo ancora aggrovigliata e soffocata dall’abitudine al fare, all’apparire, a soddisfare il nostra visibilità agli occhi degli altri.
Il cammino nella via spirituale ci porta via via, invece, a contattare il nostro intimo, quel punto di ancoraggio che ci fa spogliare di ogni orpello, di ogni aspetto non essenziale della vita ma che amplia, all’inverso, il nostro sentire e ci permette di intuire che tutto è Uno. E’ questo un passaggio esistenziale irrinunciabile che, se compiuto senza aspettative, porta alla pacificazione.
Se la nascita spirituale avviene nell’età adulta, questo non significa che con la spiritualità si debba venire a contatto soltanto da grandi. E’ necessario, invece, avviare questo tipo di consapevolezza fin da quando si è bambini (non mi riferisco qui all’educazione religiosa che più spesso non porta a sbocciare ma castra questa spinta interiore).
Gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza sono quelli che dovrebbero portare il bambino a raggiungere la propria maturità affettiva ed intellettiva. la propria nascita psicologica,dandogli l’opportunità di fare, sperimentare, osservare, conoscere le proprie reazioni, sentire le proprie emozioni. Ed è in questo esperire ed in questo sentire, ogni volta che il bambino v iene portato ad assumerne consapevolezza, che si innesta in lui il percepirsi essere spirituale. Conoscere e contattare il proprio corpo come parte di sé e non come macchina da usare dà al bambino il senso di esistere, soffermarsi a osservare un elemento della natura lo porta a percepire la grandezza della creazione, la bellezza in senso lato; rapportarsi con un animale lo fa sentire accettato e sviluppa in lui il senso del prendersi cura dell’altro, la simpatia per l’altro; rapportarsi in situazioni di laboratorio coi compagni i quali estrinsecano reazioni, sentimenti, vissuti simili ai suoi gli fanno da specchio, mettono in discussione le sue reazioni, ridimensionano le sue aspettative e lo portano a sperimentare la tolleranza.
La lettura o l’ascolto di racconti o poesie i cui protagonisti sono i sentimenti e la natura, l’osservazione di opere d’arte sono, inoltre, dei veri doni per l’anima.
Si riportano, di seguito, alcuni esempi di lavori compiuti, in diversi anni, coi bambini alla scuola primaria, come avvio alla consapevolezza di sé e al cammino spirituale.