La nostra esperienza

Non è facile per noi rappresentare attraverso le parole un’esperienza interiore che si svolge ormai da molto tempo, che è diventata anche un insieme ordinato di concetti ma, essenzialmente e prioritariamente, è esperienza, vita quotidiana, un modo di stare davanti ai giorni, a sé, all’altro.
Riportiamo di seguito alcuni brani, scritti all’incirca nel primo decennio del duemila, che fissano alcuni aspetti dell’esperienza e della visione che sperimentiamo.
La nostra vita è intessuta della pratica della meditazione e della contemplazione: il processo della conoscenza di sé diventa consapevolezza che si espande in meditazione e, da questa, in contemplazione: questa è la nostra pratica di ogni giorno e di ogni momento e questo, senza pretese, cerchiamo di comunicare.
Altri brani si trovano in Taccuino spirituale.

Il sentiero: consapevolezza, disconnessione, contemplazione
Il sentiero contemplativo è una piccola via alla libertà interiore attraverso il quotidiano insignificante. Il sentiero è semplice, fornisce gli strumenti per conoscere la mente…

La conoscenza di sé fondamento della via spirituale.
Questo è il fondamento della via interiore. Qualunque cosa noi possiamo dire o fare, ha un senso se siamo passati e se passiamo, ogni giorno, attraverso la cruna dell’ago della conoscenza di noi stessi…

Un viaggio incontro a sé stessi senza discepoli e maestri.
Il fine del sentiero è fornire alla persona gli strumenti per conoscersi e trascendersi: questo può realizzarsi più agevolmente se la persona non è lasciata sola e se viene accompagnata in questo processo. Nel sentiero all’insegnamento corrisponde una pratica di accompagnamento…

La compassione che sorge dalla contemplazione.
Quando sei davanti a te stesso, così come sei, quando sei davanti all’altro, così come è, quando ti è evidente il tuo limite e quello dell’altro, quando tutta la realtà manifestata non parla che di una limitazione in atto, piccole tessere di un infinito mosaico…

Nella fiducia della vita l’incontro con il dolore.
Nessuno è solo, abbandonato a se stesso. Nessuno è scaraventato nella vita senza gli strumenti per affrontarla, per manifestare se stesso, per vivere i processi che la vita gli presenta…

Nella pienezza della propria umanità.
Non è dalla negazione di sé che può germogliare qualcosa, ma è nella discesa dentro l’intimo proprio essere, nell’accettazione, nell’accoglienza, nella comprensione del proprio limite e del proprio talento…

Aderire alla vita.
Nella radicalità del gesto del vivere, dove tutta la realtà, così come appare ai sensi e al sentire interiore si manifesta, affiora la trascendenza al gesto stesso. Lì, in quel pensiero, in quell’emozione, in quell’azione…

Siamo intrisi di divenire, mentre niente diviene.
Il seme non diviene pianta, il cucciolo non diviene adulto, l’assassino, vita dopo vita, non diventa santo. Non c’è nessun divenire, ogni cosa, essere, persona, è quel che è in quel momento presente…

Identità e contemplazione: due dimensioni che non si incontrano.
A noi non interessa la speculazione filosofica ma la realtà e l’esperienza della realtà. Quella che per l’uomo è l’identità ai nostri occhi appare come una connessione, su diversi piani di consapevolezza, di elementi tra loro non connessi…

Se vuoi comprendere questo tentativo nel silenzio.
Qui, in una forma discreta e assolutamente ordinaria e insignificante, prende corpo un’esperienza interiore che ha le stesse motivazioni interiori dei tanti ricercatori, monaci, eremiti, che a tutte le latitudini e in ogni tempo sono andati incontro all’esistenza…

L’evoluzione dell’uomo da ego ad amore.
Nel sentiero raramente parliamo di evoluzione; ci focalizziamo sull’essere, sull’adesso, su quello che la vita ci presenta. Quello che accade ci trasforma, lo sappiamo, ma non poniamo l’accento sulla nostra trasformazione quanto sull’arrendersi alla vita. Perchè? (…)

Un canto dall’eremo.
Di chi sono queste giornate?
Sono mie, sono tue?
O sono semplicemente questo accadere che giunge
e che ti sprofonda dentro? (…)

Una questione centrale nella via spirituale.
La questione centrale è che tutte le persone debbono, mano a mano, spostare la loro consapevolezza dal piano più denso a quello più spirituale?Direi proprio di no, direi che la questione centrale è il superamento della logica sequenziale dei piani di focalizzazione e consapevolezza…

Contemplare è smettere di cercare.
Quante parole! Le parole parlano di noi, le persone che incontriamo parlano di noi, le notizie al telegiornale parlano di noi: se abbiamo orecchie per ascoltare e strumenti concettuali per interpretare, ci possiamo accorgere che tutta la realtà parla di noi…

Senza condizionamento

Se tu non sei più vittima
che cosa sei?
Se scompare l’identita’
che ti viene conferita
dall’interpretarti come colui
che subisce la vita,
cosa diventi?
Quello del subire
è un mondo interiore,
quando non ti interpreti più all’interno
delle logiche di quel mondo,
allora sei semplicemente
colui che vive.
Nel gesto del vivere
non c’è condizionamento.
Senza interpretazione
non c’è condizionamento,
vita e liberta’
danzano assiene.

La puoi definire semplice

Impariamo dalla vita
da ciò che accade
in ogni attimo del quotidiano.
Imparare significa sviluppare
una interpretazione di sé
sempre diversa.
S’alza un canto,
s’incanta un movimento,
la vita è adesso e,
priva di connotazione,
la puoi definire
semplice.

Quella interpretazione

Quel bambino, quella interpretazione di noi stessi che chiamiamo bambino, e che oggi osserviamo come un dato di realtà, sappiamo che domani sarà diverso, come oggi è diverso da ieri.
Per quanto io rimanga legato ai miei paradigmi questi mutano, per quanto io resista, la vita non si cura della mia resistenza.
La vita accade e quando io non interpreto più il suo accadere alla luce di un qualche paradigma, quando non interpreto più me come altro da essa, nemmeno come osservatore, scompare non solo il bambino ma, inesorabilmente, scompaio anche io, essendo io niente altro che una interpretazione della realtà.

L’interpretazione di sé e dell’altro

“Ecco perchè vi diciamo che l’unica interpretazione possibile, alla fin fine, è quella che ognuno fa di se stesso; ed ecco anche perchè vi diciamo così spesso che è difficile poter veramente comprendere gli altri; perchè ogni volta che vi mettete a cercare di comprendere gli altri comprendete qualche aspetto che vi ha colpito, quindi che a voi interessa, ma non comprendete l’altro nella sua totalità; comprendete soltanto quelle che sono le vostre spinte nell’interpretare un certo aspetto dell’altro.”
Tratto da “Sfumature di sentire”, pag.170, Cerchio Ifior

A chi a occhi per vedere

Ho visto “La fabbrica di cioccolato”.
Ad un certo punto un bambino afferma: “Ma questo non ha senso!”
E l’altro bambino: “Ma il cioccolato non deve avere un senso!”
La vita del cioccolataio era un gesto puramente creativo.
Quattro dei cinque bambini sono metafora del mondo ingordo ed arrogante;
il quinto è curioso, attento, presente all’essenziale della vita, l’unico essenziale che veramente conta:
il gesto che crea, il gesto gratuito, il gesto senza scopo, pura tenerezza, puro gioco.
Il quinto bambino viene assorbito nel mondo magico del cioccolataio,
è metafora della vita vera oltre le fauci dell’appetito egoico.
Mentre guardavo il film ho capito il senso di una scena vissuta nel pomeriggio:
una conversazione con una persona in merito ad alcuni aspetti della nostra esperienza.
Nelle ore seguenti a quel colloquio era cresciuto in me un senso di disagio,
un senso di sbagliato, dove lo sbagliato ero io, naturalmente.
Stavo guardando questa cosa per comprenderla.
Poi abbiamo visto il film ed è diventato più chiaro.
Noi viviamo qui, nell’eremo, e questo è veramente un mondo a sé:
un mondo interiore privo dei parametri del “mondo”, costituito di una quotidianità,
di una piccolezza, di una insignificanza che, chi non la vive, difficilmente può comprendere.
Essenzialmente noi viviamo il “mondo” quando esso viene qui, nella forma di persone che capitano
per la nostra attività, o nella forma di notizie attraverso la televisione.
Ma noi siamo dentro la nostra piccola riserva, dentro questo spazio esistenziale
e quando il “mondo” viene è solo un piccolo tassello
in un sistema molto più grande che è il nostro quotidiano.
Quando noi usciamo di qui e andiamo nel mondo siamo noi il tassello
in un mondo molto grande che pulsa secondo un sentire altro dal nostro,
con altre priorità, con altri occhi.
Quando noi usciamo di qui siamo sperduti e smarriti come penso siano sperdute e smarrite
quelle balene o quei capodogli che di tanto in tanto, sempre troppo spesso, si spiaggiano.
Stanno lì, con i loro grandi corpi, fuori dal loro ambiente, al confine tra i mondi
e vivono il senso di una perdita irrimediabile.
Quando noi andiamo nel mondo viviamo il senso di questa perdita irrimediabile:
non la nostra, non siamo noi che perdiamo qualcosa.
Quando andiamo nel mondo si palesa ai nostri occhi la dimensione di quanto il mondo
sia perduto a sé stesso, di quanto sia lontano dalle poche cose che hanno importanza nella vita,
di quanto sia ammalato di niente.
Per noi l’esperienza del mondo è l’esperienza del niente.
Abbiamo paura e siamo fragili, questa vita ci rende estremamente fragili.
Qui, nella trascuranza, nella insignificanza, nella routine senza scampo,
ogni respiro, ogni movimento interiore è vita che canta se stessa.
Qui, osserviamo la vita accadere, o meglio, si rinnova il miracolo
di essere la vita che accade perdendo ogni definizione di sé.
Qui accadiamo con la vita che accade, non altro da essa, vita che accade.
Quando incontriamo il mondo fuori di qui, sul terreno del mondo,
è come un precipitare nelle sue viscere: sorge uno spavento e un ritrarsi per tornare a respirare;
allora, nel ritorno, ci sembra che quel grande corpo spiaggiato possa tornare
a riprendere il mare e fare ritorno a casa sua.
Dove è casa sua?
Dove la vita accade.
E dove accade la vita?
Dove sei consapevole del suo accadere.

In merito allo stare

Quel semplice stare di cui tanto spesso parliamo e che è stato il filo conduttore della meditazione guidata conclusiva del secondo gruppo di approfondimento di domenica 11.10, può produrre una inquietudine nella mente: la persona sente che quello “stare” entra in conflitto e minaccia il suo bisogno di divenire una personalità compiuta ed in piena espressione.
Che la mente, la personalità, si inquieti è nelle cose, avverte questo come minaccia.
Il nostro tentativo è di realizzare, nello stesso tempo, la piena manifestazione di sé e la piena trascendenza.
Come è possibile un simile paradosso?
In ogni cosa che l’uomo compie, sente, pensa si manifesta ciò che è, la visione che ha di sé: esprime quella che chiamiamo la sua personalità. Ma se scendiamo nella profondità di ogni aspetto del suo fare, sentire, pensare entriamo non più nella espressione di sé, ma nella semplice contemplazione di ciò che è.
In altri termini: se muovo una mano questo gesto mi esprime;  se osservo dal punto zero quel movimento, questo diventa soltanto un movimento della mano, non è più ilmio gesto.
Cambiando il punto di vista e l’identificazione, viviamo nello stesso tempo le due situazioni per noi ugualmente importanti.