Giudicare e non giudicare

d-30x30Giudicare. Dizionario del

Il «giudicare» è stato spesso affrontato dalle Guide nel corso degli incontri. Esse hanno sempre sottolineato che «non giudicare» non significa non avere opinioni bensì prendere atto di quella che ci appare essere la realtà degli altri (o la nostra) senza, per questo, ritenerla una condizione immutabile, dal momento che ad ogni comprensione ciò che uno è si trasforma di conseguenza.
State ben attenti – ci hanno detto – a non lasciare il vostro giudizio in mano al vostro Io e osservate con attenzione quanto siete pronti a giudicare negativamente gli altri e, invece, a giustificare voi stessi.
Questo è esattamente il contrario di quanto dovremmo fare dal momento che i perché degli altri sono solitamente in gran parte al di fuori della nostra portata, mentre i nostri perché, se vogliamo, sono dentro di noi e possono, di conseguenza, essere individuati. Così, mentre non possiamo far comprendere agli altri i perché dei loro presunti errori, ci è sempre possibile arrivare a comprendere i perché dei nostri e arrivare ad attenuarli se non a risolverli completamente.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima, pag.137. Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

Tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere

C’è qualcuno che non vive questa tensione, almeno fino a quando l’identità non ha mollato la presa?
Leggo e sento in ambito spirituale fesserie immani sull’accettazione di sé e sul superamento di questa tensione: l’essere divisi è la nostra risorsa, è il processo di combustione che genera i chilowatt di potenza necessari al procedere e alla trasformazione.
Di più: c’è chi è giunto alla fine del suo processo di trasformazione e supera naturalmente il conflitto, e c’è chi del conflitto ha bisogno per procedere.

continua..

Mitigare la soggettività dell’interpretazione

Ogni fatto che accade nella relazione è interpretato dalle identità coinvolte e ognuna di esse legge i fatti alla luce delle proprie aspettative, del proprio personale apparato giudicante, delle comprensioni conseguite e da conseguire.
Questa lettura irrimediabilmente soggettiva dei fatti è all’origine di ogni conflitto e di ogni difficoltà nelle relazioni.
Partendo dal presupposto che il film che proiettiamo e percepiamo è comunque soggettivo fino alla fine dei nostri giorni umani, possiamo cercare di mitigare questa soggettività con l’intento di ridurre l’incomprensione che accompagna senza sosta le nostre relazioni.
La consapevolezza della relatività del nostro punto di vista, è il primo passo.

continua..

accoglienza

Portare il peso del limite dell’altro

Ognuno ha i propri eroi, io ho questo piccolo uomo che porta a scuola sulle spalle, tutti i giorni, per 30 km il figlio disabile.

Viviamo tutti in relazione e tutti abbiamo figli, partner, colleghi, amici, fratelli e sorelle nel cammino interiore.
Nella relazione ci mostriamo a loro con i nostri limiti, il nostro non compreso, e loro si mostrano a noi.
Non c’è scampo e ad ogni ora siamo chiamati a caricarci sulle spalle il peso del nostro e dell’altrui limite.
Un rifiuto di questa assunzione di responsabilità, si evidenzia attraverso il giudizio: quando l’altro viene stigmatizzato per il limite che ha marcato, quel giudizio ci ricorda che lo stiamo rifiutando, che non lo stiamo accogliendo, che non ci carichiamo il suo essere limitato sulle spalle e lo portiamo nella nostra vita, come l’altro porta noi.
Vogliamo che l’altro porti noi, ma noi non portiamo lui.
Vogliamo essere accolti e sostenuti, ma non accogliamo e sosteniamo.
Ci ricordiamo allora che la vita è una sequenza infinita di gesti di accoglienza, di situazioni in cui ci pieghiamo e diciamo quel si che cambia le cose, la natura della relazione stessa, di ogni relazione.
Per favore, non tirate in campo il fatto che bisogna anche dire dei no, non stiamo affrontando la questione a quel livello in questo momento.
Chi ha dei figli, chi vive con un partner da tempo, chi vive in una comunità, chi svolge una relazione di aiuto queste cose le sa.
Ci si carica sulle spalle il limite dell’altro perché in noi è germogliata l’esperienza della compassione, non per altro.

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