Non difendere e fiducia

Dice Natascia: L’accettazione dei propri limiti, il non voler difendere la propria immagine porta ad una grande libertà. A volte sento che non c’è più neanche un immagine da difendere. Questo però non di rado mi fa sentire disorientata, confusa. Sarà che quell’accettazione non è senza riserve!

Non rimanere abbarbicati alla palizzata del fortino.
Non sapere nemmeno se c’è più un fortino da difendere da qualcuno là fuori, unito alla consapevolezza che tutta la visione del reale è soggettiva, che il film di ciascuno è personale conduce semplicemente all’esperienza del non difendere.
Cos’è il non difendere?
Avere la chiara cognizione che non esiste il nemico, né il pericolo, ma solo la possibilità.
Vedere l’altro come colui che svela le nostre paure e ci permette di affrontare il non compreso.
Essere consapevoli di una direzione esistenziale fondata sulla disponibilità ad affrontare la vita e a farsi modellare da essa.

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imparare

Emozione e apprendimento

Siamo molto attenti a ciò che proviamo, durante le esperienze attiviamo un monitoraggio continuo: le gratificazioni, le delusioni, il grado di simpatia e di antipatia, di approvazione e di rifiuto.
Giudizio ed emozione procedono assieme e sono ciò che ci interessa: non di rado l’altro è solo colui/ei che è funzionale ai nostri processi e lo vediamo poco, lo ascoltiamo anche meno.
Direi che questa è la visione, l’esperienza egocentrica della realtà.
C’è un altro modo di procedere, di sperimentare: focalizzarsi sul processo esistenziale in corso, su quello che ci insegna, sull’imparare.
Questo modo di procedere, di interpretare la realtà, ha bisogno di una lettura simbolica dei fatti, ha necessità di una osservazione attenta dell’altro e delle nostre reazioni ad esso. Ha bisogno, in definitiva, di una consapevolezza lucida del portato della relazione: è qualcosa di molto diverso dall’essere noi il centro, è trarre insegnamento da ogni possibilità che la relazione offre, con al centro la relazione stessa, consapevoli che senza essa, e senza l’altro che in essa si presenta, nulla potremmo.
Quindi l’accadere non ha senso per ciò che ci permette di provare emotivamente, cognitivamente, ma per la possibilità di apprendimento che ci dischiude.

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Tutti procediamo assieme collaborando, cooperando, condividendo

Potremmo imparare qualcosa senza l’altro da noi?
Potremmo divenire persone diverse e migliori se non incontrassimo tutti i giorni qualcuno di diverso da noi che ci svela nei nostri limiti, che si svela nei suoi, che a volte ci è di esempio positivo, altre negativo?
Potremmo respirare senza l’aria?
Potremmo mangiare senza l’orto e chi lo coltiva?
Potremmo conoscere la dolcezza di un bambino che ci chiama se non avessimo aperto la nostra vita a lui?
Potremmo vedere il nostre egoismo se non incontrando qualcuno che ci chiede qualcosa?
Tutta la nostra vita è il frutto gratuito della relazione: sebbene noi si sia dato un prezzo ad ogni cosa, molte ancora sfuggono alla nostra ossessione di dividere, catalogare, valutare, giudicare. Non si compra, non si vende la possibilità di imparare.
Se osserviamo attentamente, quello che ci conduce nella vita è la possibilità di apprendere e trasformarci attraverso la relazione con ciò che ci è prossimo: dall’insalata che mangiamo, al nostro partner, al nostro collega di lavoro.
Abbiamo eretto su di un piedistallo la competizione, il giudizio, l’affermazione e non vediamo quanto essi avvelenino il nostro animo.
Non vediamo l’evidente: non si può procedere che assieme.
Se osassimo aprire gli occhi su questo, le nostre parole d’ordine diverrebbero: collaborazione, cooperazione, condivisione. Nella vita personale come in quella sociale.

Immagine da http://www.enghea.org/wordpress/?p=1604


L’importanza dei si e dei no ricordando che al centro c’è la possibilità di comprendere

Un’amica lamenta una parente che, pur non pagando l’affitto, al sette del mese ha già finito lo stipendio e bussa chiedendo soldi. La situazione è reiterata e per questo più faticosa.
Molti di noi hanno vissuto, o vivono, situazioni di questo genere e si sentono giustamente intrappolati.
Non voglio discutere di cosa vada fatto in simili situazioni, ma della sfida che si apre.
Sappiamo che troppi si creano nell’altro, a volte, un malcostume interiore; sappiamo che i no sono dolorosi e vanno motivati; ma per noi, la decisione da prendere che cosa comporta?
Che si dica sì o si dica no, dobbiamo necessariamente interrogarci sulla nostra motivazione, su quello che dal nostro punto di vista è il bene dell’altro, sul rapporto stesso con l’altro.
In questa interrogazione possiamo vedere i nostri egoismi, le nostre pretese e giudizi, le nostre arroganze e le nostre sudditanze: possiamo vedere un mondo, il nostro prima che quello dell’altro.
Alla fine, che noi si sia detto si o no, comunque avremo imparato dal processo vissuto.
Che cosa avremo imparato? Ad osservarci, ad interrogarci, a decentrare il punto di vista, a gestire la rabbia e la frustrazione, ad imporci, a piegarci.
Mille aspetti avremo visto di noi e dell’altro e, di certo, a processo terminato saremo diversi.
Sarà finalmente cambiata la situazione? Non necessariamente, dipende da molti fattori il principale dei quali è: abbiamo finito di apprendere da quella scena?

Immagine da:http://goo.gl/JhSif6