Il libro è rivolto a coloro che hanno già compiuto dei passi nella via del conoscere se stessi; non fornisce le basi ma presuppone che il lettore abbia già una discreta capacità di osservarsi, una buona consapevolezza dei meccanismi che lo condizionano, una conoscenza almeno elementare delle problematiche di una via spirituale.
E’ quindi un libro rivolto a coloro che sono già nel cammino, non a coloro che iniziano; presuppone anche che il lettore abbia una visione di sé sufficientemente stabile: se il contatto con sé, con l’altro, con la realtà, è avvertito come precario e instabile, se il nucleo dell’identità non è vissuto come sufficientemente strutturato e su cui appoggiare nonostante la crisi, allora questo libro è da evitare con cura.
Il libro è rivolto a tutti coloro che cercano una libertà interiore dal dolore, dal condizionamento, dall’insoddisfazione; è rivolto a chi attraversa anche una profonda crisi esistenziale e sente vacillare le basi del proprio essere, ma avverte in sé la capacità e le condizioni per superarla perché, per quanto sia in crisi una visione di sé e del mondo, comunque quella visione esiste insieme ad una interpretazione di sé non turbata da meccanismi insistenti e destabilizzanti.
Nello scrivere questa avvertenza la nostra preoccupazione è di mettere in guardia coloro che debbono ricercare nella direzione di una edificazione di sé, non nel superamento di ogni stato di identità, come qui viene proposto.
Chi ha la necessità prioritaria di edificarsi come individuo deve ricercare altrove, su cammini più adatti alla propria esigenza.
conoscenza
Conoscenza di sé: l’importanza dei libri della “Guida”
La Guida è una dimensione di coscienza che ha trasmesso un insegnamento organico, semplice e chiaro finalizzato alla conoscenza di sé.
Vivere è conoscere, comprendere, essere e manifestare la natura dell’Assoluto
L’esperienza dell’illuminazione è lo splendore della Vita in atto
La vita è sempre se stessa, completa, mai frammentata: è atto d’essere e di manifestarsi anche quando appare come piccolo tassello. Questo è evidente nell’esperienza della contemplazione.
Allora perché ai nostri occhi appare come un divenire che solo nel tempo e nella trasformazione può essere colto nella sua pienezza?
Per noi (1) la vita è un grande film di cui cerchiamo, quando va bene, di cogliere la sceneggiatura e le intenzioni del regista. Noi guardiamo lo scorrere del film, siamo interessati al suo dipanarsi; non siamo attenti a ciascuna scena, ciascun fotogramma, ci sembrerebbe di perdere il senso perché per noi il senso deriva dal narrato nel suo divenire. Un singolo fotogramma è per noi relativo, il narrato e il narrare è invece molto rilevante.
Il problema è proprio qui, nella nostra disposizione al divenire dal passato al futuro passando per il presente che ha senso come compimento di un qualcosa di accaduto e come premessa di un qualcosa che accadrà. Cogliamo il movimento, la tensione, e la nostra attenzione è su questa tensione a divenire, non sul fotogramma che abbiamo davanti in quel momento.
Appoggiare la nostra attenzione esclusivamente sul momento presente ci sembra un modo di rinunciare al processo del vivere; per noi vivere è divenire, trasformarci, migliorare, imparare.
Nella visione comune delle menti il presente è compreso come inevitabile ma statico: solo la tensione passato-presente-futuro dà senso ad una mente.
Eppure, da un altro punto di vista, da quell’angolo visuale che è proprio di chi ha sperimentato tutto questo con gli occhi della contemplazione e ne ha colto la non realtà, le cose stanno in modo esattamente opposto.
La vita accade solo nel presente: il movimento, il divenire, la successione, i processi appartengono all’opera interpretativa compiuta dalla mente, non sono un dato di realtà.
La vita manifesta se stessa innanzitutto nell’accadere presente, in quell’accadere ha una valenza oggettiva; fuori da quell’accadere è interpretazione soggettiva perché ciascuno può connettere il presente ad un altro presente o al passato o al futuro come meglio gli aggrada, in base alle sue strutture interiori.
La vita è veramente vita e non interpretazione solo nel suo accadere adesso. Chi ha compreso questo inizia il lungo lavoro dell’imparare a disporsi all’incontro con il presente.
Ora va compreso che non è la vita che si dischiude nel presente, ma è colui che “crede” di viverla, che si interpreta come il vivente, che affina la sua capacità di visione e di comprensione.
L’atto del vivere è un processo del senziente, non della vita che in sé è quel che è: eterno presente di singoli fatti.
Colui che “sente” vive un processo di relazione, interpretazione, comprensione di ciò che accade dentro e fuori di sé; i primi passi di questo processo lo vedono impegnato nel tentativo di definire e delimitare il suo confine, di difendere ed affermare il suo diritto ad esistere come entità definita e separata.
Ma quando il proprio diritto ad esserci è consolidato, quando l’affermazione di sé è sufficientemente compiuta (questo nell’arco di una vita/manifestazione o nello spettro di innumerevoli manifestazioni) che cosa accade?
Quando l’ansia del proprio esserci si stempra, quando le domande si placano e la propria centralità passa in second’ordine, che cosa affiora?
Quello che c’è sempre stato ma che mai abbiamo visto e vissuto perché troppo impegnati nella manifestazione di noi, nel vivere quella tensione a divenire: affiora la vita!
E che cosa è la vita?
Uno scorrere di fatti: un pensiero è un fatto, un’emozione è un fatto, un’azione è un fatto, che siano nostri o dell’altro, o della natura. La vita accade come fatto che ora nasce e ora muore, ora nasce e ora muore.
Ogni volta che un fatto nasce e si presenta alla percezione (nasce proprio perché viene percepito) è nuovo, mai prima accaduto, ma la mente lo interpreta alla luce di ciò che ha già vissuto; lo giudica e lo connette ad altri fatti che appartengono al suo vissuto.
Quel fatto diviene soltanto un fatto tra i tanti, in una successione lunghissima di fatti più o meno coerenti tra loro.
Quando la persona si placa nella sua ricerca di affermazione, definizione e senso, può cominciare ad aprire gli occhi sui singoli fatti che le si presentano, senza avere la necessità di indagare, spiegare, connettere fatto a fatto.
Ma quando un pensiero, un’emozione, un’azione sono vissuti per quel che sono, quando non portano con sé un passato e non si proiettano in un futuro, che cosa diventano? Diventano fatti, qualcosa che accade adesso e subito lascia il posto a qualcos’altro che accade adesso e il precedente è già scomparso. Costantemente, inarrestabilemente il nuovo sorge alla percezione e scalza e sostituisce il vecchio che se non è trattenuto dal “voler ricordare” e dal “voler ricondurre a sé”, subito non è più. La realtà del presente è sempre nuova se non viene attribuita ad un soggetto ma viene lasciata alla vita.
Quanto è profonda la realtà, la natura di un fatto? Quanto può essere percepito di un evento presente, quanto si dischiude alla fruizione, comprensione, contemplazione?
La realtà è un processo di svelamento: l’osservazione, la meditazione e la contemplazione sono gli strumenti dello svelamento.
La persona identificata nei suoi processi coglie la realtà attraverso i sensi fisici, attraverso il sentire emotivo, attraverso la capacità cognitiva.
Più la persona impara a disidentificarsi dai suoi processi, più emerge un’altra comprensione della realtà basata sull’intuizione e su di un “sentire” che non è legato alla sfera emotiva.
Non è corretto parlare di profondità della realtà, è invece corretto parlare di profondità dello sguardo sulla realtà: il reale può essere compenetrato fino a livelli inimmaginabili di esperienza.
Può essere compenetrato o ci compenetra? Siamo noi che penetriamo nelle viscere della realtà oppure, nel momento in cui ci disponiamo al presente sapendo che è l’unica realtà che esiste e lo osserviamo, lo consideriamo come il rilevante, la vita che accade, lì, in quel gesto, apre un varco nella mente sempre protesa e ci offre la possibilità del sorgere della visione contemplativa?
Quella visione ci compenetra, giunge a noi, non possiamo evocarla. Ma il termine giunge è riduttivo, quella realtà è sempre stata lì, ora testimonia il suo essere: “Sono sempre stata qui e tu non mi hai mai visto, ho sempre parlato del mio esserci e tu eri soltanto attento a definirmi e a comprendermi!”
Quando noi ci disponiamo al presente senza aspettativa e giudizio, senza connetterlo a ciò che è stato e sarà, quel presente si manifesta a noi in maniera tanto più grande quanto più noi ci abbandoniamo ad esso.
Più è profonda la resa dell’osservatore al fatto che accade (pensiero, emozione o azione), più l’osservatore è disposto a farsi investire, a lasciare che la vita si manifesti a lui, più la vita lo invade, lo compenetra, lo impregna del suo essere altro, mistero inconoscibile, sacralità, stupore, infinita profondità e vastità.
Quando sei davanti a qualcuno che ti porta il suo mondo interiore ed esteriore, ti impatti con tanti “fatti” che l’altro porta e con altrettanti “fatti” che sorgono nel tuo interiore.
Tutto questo è vita che si manifesta, è ciò che definiamo “ la realtà che canta se stessa”.
E’ quello, oggettivamente: realtà del pensiero, dell’emozione, dell’azione.
Quella realtà, se la interpreti, la giudichi, diventa altro da ciò che è; diventa interpretazione, non è più un fatto e basta, ma un fatto interpretato, connotato personalmente: non è più realtà.
Ma se non la interpreti essa è se stessa, priva di connotazione, è quello che è, quello che è, in un attimo eterno.
Percepire, osservare, arrendersi ad un fatto nel suo essere ciò che è, attiva il “presentarsi” della vita, l’esplodere della vita, lo straripare della vita in quanto forza in atto in quel momento presente, eterno: è un evento possibile perché l’osservatore si è ritratto; non emettendo giudizio, non coltivando aspettativa è diventato il “percettore”, colui che non introduce interpretazione.
Che cosa significa che la vita esplode?
Significa che la realtà è sovrabbondante di senso, di significato, di pienezza, di pregnanza: la realtà nel suo essere piccolo insignificante fatto, quando non è connotata diventa così pregnante da risultare quasi insopportabile, da costringerci a distogliere lo sguardo perché troppo grande e vasta per la nostra capacità di recepirla; il veicolo, l’osservatore, il percettore, possono risultare non adeguati al flusso che li investe.
E che cosa accade quando, giorno dopo giorno, ora dopo ora, tu vieni sempre di più invaso dalla realtà, quando cioè ti metti in quella condizione in cui, al tuo osservare, la realtà giunge senza impedimento, senza filtro?
Accade che la realtà si fa spazio e piega la mente, piega l’emozione, piega il corpo e piega l’essere tutto intero quando lo attraversa, quando lo colpisce, quando lo impatta.
La realtà attraversa l’essere e lo disaggrega, lo trasforma da un lato, lo scompone e dissolve dall’altro.
L’essere che viene attraversato dalla vita che gli si presenta di fronte, perde inesorabilmente la propria connotazione d’individuo, perde la propria separatezza, fondamento della propria individualità.
L’essere attraversato scompare nella autointerpretazione che lo definisce; l’attraversato non è più in grado di unire le tessere del puzzle che un tempo pensava lo costituissero. Vede frammenti, vede aspetti, vede emozioni, pensieri, azioni, ma non riesce a dire “sono miei!”
L’essere perde questa capacità di dire:” C’è un qualcuno con un corpo, un sentire, un pensare e questo ha un nome”; perde la capacità, tutta artefatta ed illusoria, di tenere assieme un qualcosa che mai è stato assieme ma che, dentro al processo di interpretazione e nella identificazione con esso, secerneva quel senso di esserci come qualcuno.
C’è un corpo, c’è un sentire, c’è un pensare ma non c’è chi si attribuisce tutto questo. Il corpo è solo corpo; il sentire è solo sentire; il pensare è solo pensare.
Sono fatti che accadono, sono della vita, appartengono alla vita non a qualcuno che li riconduce a sé.
Ecco allora le condizioni per il dilagare della vita: tutto è vita in atto, che si compie, che si manifesta e nel farlo, è senza confine, senza delimitazione. Non è l’apparire delle forme che sostanzia la separazione, è il sentire della personalità o dell’osservatore che genera l’esperienza della frammentazione e della dualità.
In quella sequenza di fatti che si manifestano, ogni fatto è compiuto in sé, ciascun fatto canta la natura dell’Assoluto. Nessun fatto è frammento, ciascun fatto è l’Assoluto in atto.
Tutti i fatti sono Assoluto in atto e sono compiuti in sé senza connessione tra fatto e fatto: l’atto del connettere i fatti genera la realtà illusoria della mente, crea il film dell’esistenza così come l’uomo lo interpreta.
L’unitarietà del reale è esperienza inconfutabile: tutto è ciò che è, ogni singolo fatto è compiuto in sé, è Totalità ed Unità in atto.
Quell’esperienza che noi definiamo illuminazione è il processo, in alcuni lungo, in altri breve, in alcuni consapevole, in altri inconsapevole, di questo “presentarsi” della realtà e di questo scomparire dell’atto di interpretarla.
Questa esperienza non può essere descritta come vuoto o come non-essere: questa è l’esperienza della vita che canta se stessa e, quando questo accade, non c’è qualcuno che dice: “C’è la vita e io non ci sono più!”
Quell’io è stato integrato e trasmutato e dissolto; quello che era un “io” ora è la “vita che canta se stessa”.
Non c’è più frammentazione, separazione: ora c’è la vita.
Se la questione non è quanto noi possiamo compenetrare e comprendere la realtà ma è, come dicevamo prima, quanto la realtà con il singolo fatto presente ci impatta e ci attraversa, allora è chiaro che parlare di illuminazione come di un evento definito non ha senso.
Si può parlare della realtà che oggi mi si presenta così e mi attraversa; domani mi si presenta in altro modo e mi attraversa; giorno dopo giorno lei si presenta e quello che definivo “io” scompare, travolto, dissolto.
C’è un tempo in cui quella dissoluzione è completa? Sarebbe come a dire: “C’è un giorno in cui l’Assoluto è in piena, totale manifestazione? Tutti i giorni, tutti gli attimi, in ogni “fatto”!
Posso sapere, posso valutare, posso misurare questo presentarsi della realtà, questo impattare, questo attraversare? Posso sapere e vedere quanti residui di mente rimangono dopo l’impatto, dopo miliardi di impatti?
Non c’è risposta a queste domande e non credo che ci sia soddisfazione per i misuratori di illuminazione. C’è la possibilità di osservare la vita che si presenta nelle nostre esistenze e non bussa, non bussa più: al gesto del suo bussare solo tu sapevi se la stanza risuonava in assenza di qualunque ingombro e alla fine, in fondo, non sapevi nemmeno questo perché tu eri così piccolo e insignificante che proprio non ti ponevi il problema se c’eri ancora o se non c’eri più.
Solstizio d’inverno 2008
1-Ci rivolgiamo a quelle persone che si approcciano ad una via spirituale e questo discorso può avere un senso per loro proprio perché si stanno approcciando: per altre persone, in un’altra stagione del loro sentire, che precede o segue la fase dell’approccio, questo discorso non è attinente.
Conoscenza, consapevolezza, comprensione
Tratto dal volume “La farfalla” del Cerchio Ifior, pagine 259-260
Il cammino che compie l’individuo nel corso del suo processo evolutivo va dallo stadio della inconsapevolezza ad uno stadio di sentire. Nell’arrivare a questo estremo, a questo opposto, l’individuo – incarnandosi più volte nel mondo fisico – ha bisogno di effettuare una sorta di processo interiore per arrivare ad abbandonare la sua inconsapevolezza e raggiungere il proprio sentire.
Questo processo è costituito essenzialmente da delle tappe, ovvero segue determinate regole necessarie per arrivare, per gradi, a costituire un po’ alla volta questo famoso sentire.
La prima tappa è quella della conoscenza, ovvero l’individuo – facendo esperienze nel mondo fisico – arriva a conoscere attraverso i sensi, attraverso le emozioni, attraverso i pensieri quelli che sono gli stimoli che gli vengono sottoposti dall’esistenza.
Intendiamoci però: questa è veramente e puramente una conoscenza dello stimolo, conoscenza come presenza, come realtà dello stimolo, senza comprendere quelle che sono le cause, gli effetti e senza andare un pochino oltre alla semplice conoscenza.
La seconda tappa di questo processo è quella che noi denominiamo consapevolezza, ovvero il rendersi conto che questi stimoli non soltanto esistono, ma influiscono sull’individuo in questione. Ho fatto l’esempio dell’individuo che si rende conto che prima esiste il sentimento dell’invidia e che diventa consapevole, in un secondo momento, che questa invidia costituisce non soltanto un problema per gli altri, ma che magari costituisce un problema anche per se stesso, e questo indipendentemente dal fatto che egli accetti la constatazione che l’invidia appartenga anche a lui.
Con il passare del tempo, delle incarnazioni, degli stimoli che l’esistenza procura, l’individuo – sempre fermandoci all’esempio dell’invidia – accetterà un po’ alla volta che anch’egli è un essere invidioso; accettandolo riuscirà a guardare questa sua invidia con maggiore serenità, riuscirà ad osservare se stesso nei momenti in cui questa invidia si estrinseca e, quindi, da questa sua osservazione più o meno conscia, arriverà a comprendere i perchè della propria invidia.
Ecco così la comprensione dei propri fattori interiori quale terza tappa per raggiungere il sentire.
Allorchè questa tappa è raggiunta e si consegue la comprensione di un fattore qualunque, pressochè automaticamente questa comprensione si trascrive in quello che è il corpo akasico, il corpo della coscienza, formando un piccolo nucleo di sentire che si unirà agli altri eventuali nuclei già presenti in questo corpo akasico.
Ovvero, per rendere un’immagine a cui voi siete abituati, il corpo akasico dell’individuo struttererà un’altra parte della sua materia in modo organico; parte di materia che formerà un disegno già più complesso, più strutturato, se altri nuclei di sentire saranno stati raggiunti dalla compresnsione di altri fattori, di altri elementi.
Nel corso dell’evoluzione, questo processo viene compiuto più volte, non è che si compia un’intero ciclo evolutivo per comprendere un fattore. Ovvero, in continuazione l’individuo, incarnandosi, andando avanti nel suo cammino incarnativo, conosce, diventa consapevole, raggiunge il sentire, magari anche contemporaneamente, ovvero: contemporaneamente può conoscere un fattore, può essere consapevole di un altro fattore, può comprendere un altro fattore ancora, e quindi trascrivere questo fattore (nel corpo akasico).
L’evoluzione dell’uomo: da ego ad amore, da conoscenza di sé a contemplazione
Nel sentiero raramente parliamo di evoluzione; ci focalizziamo sull’essere, sull’adesso, su quello che la vita ci presenta. Quello che accade ci trasforma, lo sappiamo, ma non poniamo l’accento sulla nostra trasformazione quanto sull’arrendersi alla vita. Perché?
Stare nella logica della trasformazione è un continuo valutare, misurare, parametrare il percorso: è un protrarsi verso un obbiettivo confidando sul proprio slancio volitivo.
Stare nell’abbandono è un darsi poca importanza, un rimettersi a un qualcosa di più vasto, un dimenticarsi di sé.
Si impara ad arrendersi ed è naturale che ci siano tanti passaggi, una successione di stati, di difficoltà, di momenti bui, di piccole o grandi consolazioni. L’arte dell’arrendersi si dipana nel tempo, quindi potremmo dire che c’è un evolvere della propria capacità di arrendersi, che sempre di più si affina e si sofistica, diventa sottile, vede le mille, piccole, impercettibili resistenze fino all’affermarsi di un’estrema duttilità e al sciogliersi nell’esperienza della contemplazione.
Ti proponiamo, di seguito, la lettura di un testo di Kempis (Cerchio Firenze 77) sull’evoluzione dell’individuo; sono linguaggi diversi da quelli che usiamo ma parlano dello stesso percorso: la persona che passo dopo passo porta a compimento la propria manifestazione e la trascende, fin quando inizia ad essere risucchiata nel grande mare dell’essere e sempre meno è incline al divenire. Sempre di più il suo vivere diventa un arrendersi, un perdersi, uno scomparire in una vastità.
Da ego ad amore: conoscenza di sé, consapevolezza, meditazione, contemplazione: questo è il processo.
Fasi dell’evoluzione individuale
L’uomo abbraccia degli ideali ed a questi si vota: Non importa che siano giusti o che rispondano all’etica comune: sono suoi ideali e per quelli, in maniera diversa, vive. Da ciò, ha diverse esperienze in ordine alle quali modifica i suoi ideali e la sua vita. E’ questa proprio una tipica caratteristica dell’evoluzione: evolvere per l’uomo significa passare da un minimo ad un massimo, svolgere, ampliare, accrescere il proprio “sentire”. Ed è logico, quindi, che la strada di questa evoluzione sia proprio così concepita: una tappa dopo l’altra, un ideale morale che si raggiunge, un altro che ci viene prospettato. Sembra facile e breve a dirsi, ma voi sapete quanto questo costi, quanto significhi di interna riflessione e d’esterna azione. L’uomo che noi vediamo, dal punto di vista del “sentire”, è ancora una piccola creatura in confronto aol destino al quale è chiamato. Egli è un essere ai primi movimenti di “sentire”, per il quale non è sufficiente meditare, riflettere con la mente per evolvere. Ciò che egli pensa, l’ideale che egli concepisce ed intravede, deve tradursi in natura interiore, attraverso ad azioni nella vita del mondo fisico.
Tutto ciò, ripeto, non è è che una prima fase di evoluzione di quell’essere che un giorno, superato il divenire, si riconoscerà nell’Assoluto.
Noi abbiamo fissato delle fasi nell’evoluzione di questo essere che abbiamo chiamato “individuo”. Durante la prima di esse egli anima nel piano fisico forme di vita inferiori all’umana; durante questa fase si organizzano i corpi, gli strumenti che gli serviranno nella fase successiva. Si forma il corpo astrale che gli da la percezione delle sensazioni, emozioni, desideri; il corpo mentale che gli insegna a ricordare le esperienze vissute, a cercare di ripeterle o a prevenirle.
Nella seconda fase di evoluzione l’individuo anima forme umane; durante questa, servendosi degli strumenti che si è formato nella trasmigrazione nelle vite inferiori all’umana, egli ha delle esperienze che formano la sua coscienza, quella che noi abbiamo chiamata coscienza individuale. Naturalmente la completa costruzione di essa occupa l’intero arco delle molteplici incarnazioni di un individuo come uomo ed il modo come si costituisce è quello che prima abbiamo accennato.
Coscienza individuale costituita significa press’a poco avere fatto proprio, perché divenuto intimo “sentire”, l’insegnamento dell’altruismo, dell’amore al prossimo, epilogo del quale il senso del proprio dovere rappresenta la prima tappa.(….)
A questo punto l’individuo è interamente costituito tanto che ha coscienza di sé, ma nello stesso tempo comprende di non essere il centro dell’universo; egli non è che una goccia in un infinito mare. (…)
Noi abbiamo visto che la coscienza individuale costituita dà un profondo senso del dovere, un essere altruista, amare il prossimo nostro come se stessi; che cosa significa invece “coscienza cosmica”?
Significa sentire in termini cosmici; sentire il Cosmo come un “tutto” del quale l’individuo fa parte in maniera viva. Significa non solo essere convinti di far parte del Cosmo, ma vivere di questa partecipazione, sentirsi sangue di questo Cosmo; partecipare in modo attivo ed inequivocabile alla vita del Cosmo; vederla nella sua eterna esistenza e nel suo mai trascorrere. Questo è il significato che si può dire con parole umane.
Ma -ecco la vostra domanda- come si perviene a questa coscienza cosmica?
Voi sapete che il Cosmo mai trascorre, ma che è l’individuo che ha l’illusione di trascorrere perché inserito in una gamma di “sentire “. Ed allora, quando sperimenta il “sentire” che corrisponde alla coscienza individuale costituita, tocca una tappa che prelude ad una fase del tutto diversa: immedesimazione coi “sentire” degli altri.(…)
Così quando l’individuo è pervenuto a costituire la sua coscienza individuale, deve pervenire a leggere il senso della storia cosmica, e ciò significa vivere, compenetrare, scorrere come sangue nelle vene del cosmo al quale appartiene. “Sentire” non già come ha “sentito” fino ad allora attraverso ai suoi veicoli; ma “sentire” di coscienza costituita da tutti i “sentire” del Cosmo. Dall’alto verso il basso: non più dal basso verso l’alto. Questa è la terza fase dell’evoluzione individuale. Ma la meta finale non è ancora toccata. Lo sarà quando con lo stesso processo” sentirà” tutti i cosmi, perché l’individuo è chiamato ad avere una “coscienza assoluta”, a “sentire” tutti i Cosmi, il “tutto” cioè l’Assoluto stesso, attraverso ad analogo processo: dall’alto verso il basso. Come ultimo episodio di questo vivere e partecipare, è la “coscienza assoluta”, è Dio stesso, è il cessare di ogni scorrere che illusoriamente si può percepire. E’ l’Eterno Presente, è l’Infinita Presenza. E’ il Tutto, l’Assoluto.
Kempis, Fasi dell’evoluzione individuale, Tratto da: Cerchio Firenze 77, Oltre l’illusione, Edizioni Mediterranee, pagg.253-255
Un viaggio incontro a se stessi senza discepoli e senza maestri
Il fine del sentiero è fornire alla persona gli strumenti per conoscersi e trascendersi: questo può realizzarsi più agevolmente se la persona non è lasciata sola e se viene accompagnata in questo processo. Nel sentiero all’insegnamento corrisponde una pratica di accompagnamento.
La persona, naturalmente se lo vuole, è seguita in tutto il suo processo: dalla costruzione degli alfabeti della conoscenza di sé, al vivere la vita come gioco, alla dimenticanza del proprio esserci, all’abbandono verso l’esperienza che sorge dalla meditazione e dalla contemplazione.
Non si tratta quindi di applicare un insegnamento, è qualcosa di più articolato: l’accompagnatore, il buon amico, è specchio della dimensione interiore dell’accompagnato, ed è colui che suggerisce, ad ogni passo, ad ogni sfida, uno sguardo nuovo, una interpretazione più vasta del processo che sta accadendo. E’ anche colui che vive la realizzazione di una libertà in sé e questa sostiene e alimenta il rapporto. E’ colui che può condurre oltre l’identificazione perché conosce la non identificazione. Il sentiero è innanzitutto questo rapporto vivo, intimo e profondo in cui la persona non è lasciata sola. Su questa piattaforma di relazione viene poi sviluppata tutta l’elaborazione dell’insegnamento, la sua declinazione e articolazione che prende forma nei gruppi e nelle meditazioni.
Il nostro sforzo è quello di tracciare una via non del discepolato ma della condivisione, dove ognuno dei protagonisti porta sé e la dimenticanza di sé, l’esserci come persona e il contemplare il presente; dove ciascuno vive la sua trasformazione senza limite in virtù dell’incontro con l’altro, nella ripetitività e ferialità di un piccolo quotidiano che non ha alcun carattere di eccezionalità.
Non c’è sequela nel sentiero, c’è solo l’essere ricondotti a sé, senza scampo e le uniche certezze sono rappresentate dalla possibilità di risiedere dentro sé stessi, dentro l’esperienza della meditazione come sguardo limpido sulla realtà e dentro quel frutto che sempre porta con sé, in varia misura, che è la contemplazione.
La conoscenza di sé fondamento della via spirituale, radice della contemplazione
Questo è il fondamento della via interiore. Qualunque cosa noi possiamo dire o fare, ha un senso se siamo passati e se passiamo, ogni giorno, attraverso la cruna dell’ago della conoscenza di noi stessi. Se l’essere della nostra mente, della nostra emozione, della nostra azione e della nostra natura profonda, conscia e inconscia, si apre allo sguardo senza paura, senza rimozione e nascondimento; se “vediamo” noi stessi, nella misura in cui questo è possibile a ciascuno, allora stiamo appoggiando su solide fondamenta: ogni altro passo lungo la via spirituale ha bisogno di questo, lo presuppone e lo alimenta.
La conoscenza di sé è ciò che conduce a meditazione e contemplazione ed è anche ciò che da esse è generato.
Il sentiero: consapevolezza, disconnessione, contemplazione
Il sentiero contemplativo è una piccola via alla libertà interiore attraverso il quotidiano insignificante.
Il sentiero è semplice, fornisce gli strumenti per conoscere la mente e attraverso la consapevolezza, il distacco, la disconnessione, conduce la persona ad un abbandono di fondo. Da quel lasciar andare sorge qualcosa di più vasto della persona stessa, qualcosa che porta con sé una tenerezza nuova e uno stupore per la vita che, quando è vista nella sua autenticità senza il filtro della mente che distorce, è qualcosa di veramente semplice. Allora, e solo allora, appare con evidenza che ogni gesto, ogni parola, ogni emozione portano con sé una sacralità. La contemplazione è la libertà che si afferma, è l’essere ricondotti alla realtà ultima, alla realtà delle cose, a ciò che è. Più la contemplazione sorge, più crea spazio attorno a sé; è come se quel sorgere mal si conciliasse con tutta l’identificazione, l’attaccarsi alle emozioni, ai pensieri, alle azioni; quando sorge crea spazio e più sorge più si fa largo. Allora, più ti addentri in questo processo, più la contemplazione diventa presente nella tua vita: sorge, sorge, sorge senza che ti sforzi; stai camminando, parlando, ascoltando, stai facendo qualunque cosa e lei sorge.
Ma è aldilà di te, aldilà della tua volontà, aldilà del tuo governo. Tu potresti desiderala, chiamarla, pregarla e non viene; non è sotto al tuo dominio. La realtà si mostra nella sua intima natura, nel suo essere ciò che è quando vuole, non quando tu lo pretendi o lo desideri.
Per chi inizia a frequentare l’Eremo dal silenzio
Qui, nell’Eremo dal silenzio, vivono delle persone che, in estrema semplicità, dedicano la loro esistenza all’esperienza della conoscenza di sé e della meditazione e contemplazione intese come vita: qui non vengono proposte attività varie nel campo dello spirituale, questo non è neppure un centro di meditazione, è un’altra cosa, un luogo di vita nell’interiore.
Qui trovi un insegnamento che abbiamo chiamato: “Il Sentiero contemplativo”.
E’ un percorso incontro alla propria natura e alla libertà dal condizionamento: è un andare verso la conoscenza e la trascendenza, la piena manifestazione e la piena dimenticanza di sé.
Il Sentiero contemplativo viene proposto attraverso queste modalità:
-incontri individuali
-gruppi di approfondimento e seminari
-esperienze di meditazione e contemplazione
Per approssimarti al Sentiero ti consigliamo di leggere:
-il libro: Quel viaggio incontro a sé chiamato vita
-il nostro sito web: www.contemplazione.it
Alcune indicazioni pratiche:
-leggi questo post
-se vieni a trovarci, considera di rispettare la riservatezza delle persone che vivono nell’eremo;
-la partecipazione a una qualunque delle modalità del sentiero è possibile solo su iscrizione;
-non siamo organizzati per l’ospitalità: le persone che vengono da lontano possono pernottare in un B/B vicino a noi. Per mangiare ci sono trattorie in paese e lungo la costa.
Aspetti economici della nostra attività
La nostra pratica, ciò che offriamo, non ha finalità economiche: non diamo il nostro tempo, e quel poco che abbiamo compreso, per ricavarne un guadagno.
Nulla è richiesto alle persone se non il rimborso delle eventuali spese sostenute.
Eventuali contributi che le persone volessero lasciare, perché questo gli suggerisce la coscienza, è nella loro libertà e responsabilità.
Nel tempo si sono stabilite delle consuetudini tra i frequentatori abituali dell’eremo, dei gruppi, del Sentiero in genere: le persone, per loro libera decisione, ricambiamo con qualche ora di lavoro volontario, forme di baratto, contributi informali di varia natura.