Meditazioni quotidiane 5.1

 

 


Fai per l’altro senza aspettarti nulla in cambio;
non dare per ricevere;
sia il tuo interesse per l’altro qualcosa
che da solo basta per la tua felicità;
se davvero lo ami, sii vicino all’altro
qualunque cosa 
pensi o faccia,
perché il vero amore non ha bisogno
di essere corrisposto e,
quando tu ti aspetti di ricevere qualcosa,
allora stai attento a quello che
pensi,
perché già lì potresti trovarti in faccia
al tuo egoismo mascherato d’amore.
Scifo


 

 


La tua vita avrà un senso, figlio mio,
quando riuscirai a tendere un filo continuo
che collegherà la tua coscienza e la tua vita.
La tua vita avrà un senso, figlio mio,
quando non subirai quello che stai vivendo
ma quello che stai vivendo ti servirà come stimolo
per cercare di comprendere quello che veramente vuoi.
La tua vita avrà un senso, figlio mio,
quando riuscirai a trasformare la sofferenza
in una fonte di comprensione e, quindi, di felicità.
La tua vita avrà un senso, figlio mio,
quando proverai rispetto anche verso chi
non sa rispettarti.
La tua vita avrà un senso, figlio mio,
quando saprai essere giusto giudice di te stesso
e saprai non condannarti senza
remissione.
La tua vita avrà un senso, figlio mio,
quando ciò che è del mondo sarà per te
un mezzo e non un fine.
La tua vita avrà un senso, figlio mio,
quando dirai di amare qualcuno
e non saranno le tue stesse azioni
a
dimostrare il contrario.
La tua vita avrà un senso, figlio mio,
quando, accorgendoti di essere egoista,
non fingerai davanti a te e al mondo
di essere l’uomo più altruista della Terra.
La tua vita avrà un senso, figlio mio,
non quando piangerai la morte
di un lontano sconosciuto
ma quando ti renderai conto dell’insensibilità
che hai regalato 
a chi ti era più vicino
e cercherai di non commettere più lo stesso errore.
La tua vita avrà un senso, figlio mio,
quando farai parte della società del mondo
ma seguirai non le sue regole
bensì quelle della tua coscienza.
La tua vita avrà un senso, figlio mio,
quando non ci sarà più bisogno
delle parole di una fonte esterna a te
per comprendere ciò che è giusto e ciò che non lo è.
La tua vita avrà un senso, figlio mio,
quando non avrai più bisogno di un Dio
per dare credibilità e senso alla tua vita.
Moti


 

 


Figlio mio, io ho ascoltato, come sempre faccio
– e di questo sii certo – le tue parole.
Non vi è dubbio alcuno che se qualcuno
deve essere identificato come l’unico,
il vero responsabile di ciò che esiste
non possa essere che io,
in quanto tutto ciò che esiste mi appartiene
e in tutto ciò che esiste io mi riconosco,
replica in grande di quella piccola immagine che tu sei.
Io sono il quadro e il pittore,
sono il pennello e la vernice che si deposita sul quadro,
sono colui che dà gioia ma dà anche sofferenza,
sono colui che ti mostra la via per allontanarti da te stesso
ma che contemporaneamente ti indica la strada maestra
per arrivare da me,
sono colui che porta in una mano il petalo
di un fiore
e nell’altra il seme di un dolore,
sono colui insomma che tutto crea e tutto rende così com’è
e non è possibile che, in quanto tale, io non comprenda
i tuoi problemi, non comprenda le tue parole, le tue
domande,
le tue richieste.
Ciò che non vorrei, figlio mio,
è che tu interiormente non capissi ciò che i miei figli ti dicono
e che dalle loro parole ricavassi l’errata impressione
che tutto ciò che stai vivendo non potesse essere 
a te attribuito.
Se così fosse, l’intero Disegno non avrebbe alcun senso
e resterebbe semplicemente un’immagine statica e ferma,
soddisfatta in se stessa e senza alcuna reale necessità.
E’ vero, senza ombra di dubbio, che ogni pennellata
che io ho dato deve essere per forza di cose là dove io l’ho posta,
è vero senza ombra di dubbio che ogni piccolo filo del quadro
deve essere sovrapposto ad ogni altro in quel particolare modo
altrimenti il quadro perderebbe significato,
ma in questo apparentemente rigido schema vi è qualcosa
che tu non hai ancora compreso bene:
quel qualcosa che ti rende libero pur essendo prigioniero
delle mille catene dei fili che io ho
creato.
E allorché, figlio mio,
tu ti renderai conto che il personaggio che è nel quadro,
che in questo momento rappresenti, non sei tu;
allorché ti renderai conto che chi ti sta accanto è un altro personaggio,
ma non è detto che egli stia 
veramente soffrendo;
allorché ti renderai conto che soltanto uscendo dal quadro
per rientrarvi in un altro modo, diverso e migliore,
tu crescerai;
fino a quel momento, figlio mio,
tu ti sentirai costretto, condizionato, impotente, adirato,
ma da quel momento in poi capirai veramente la grandezza
del Disegno e ti inserirai in esso senza più alcun tormento
poiché anche tu scoprirai di essere non soltanto un creato
ma anche un creatore.
La pace sia con te, figlio mio, al più presto possibile.
Moti


 

 


Figlio mio, tu sarai in armonia con gli altri
quando veramente riuscirai a comprendere
che gli altri non sono altri che te stesso;
quando finalmente al tuo interno riuscirai a sentire
che il problema, l’errore, la tristezza, la gioia di colui
che ti sta accanto non esiste soltanto per quella persona
ma esiste lì, in quell’attimo della tua vita,
perché è anche a te che deve servire;
e quel dolore e quella tristezza, quella gioia,
quella confusione e quel tormento hanno il duplice scopo
di costruire un ponte tra di voi affinché l’esperienza di uno
possa essere frutto di esperienza anche per l’altro.


 

 


Tu avrai raggiunto, toccato, l’armonia
allorché anche quelli che percepisci come «difetti»
da parte degli altri saranno da te accettati,
rendendoti conto che gli altri, a loro volta,
hanno il gravoso compito di accettare quelli
che sono i «tuoi» difetti;
e che se uno dei due non incomincia a muovere il primo passo
per essere più magnanimo verso l’altro, ben difficilmente
si arriverà a trovare quel punto di equilibrio
che noi abbiamo definito «armonia»,
che non è fatto di staticità, non è fatto di restare fermi
sulle proprie posizioni,
ma è fatto di comprendere i bisogni degli altri
senza tacere dei propri,
è fatto di cercare di soddisfare le proprie esigenze evolutive
tenendo conto però che anche quelle degli altri
hanno le loro precedenze, le loro priorità.
Non si tratta, quindi, figli nostri, di uniformarvi agli altri,
ma di diventare complementari agli altri,
in modo tale che ogni vostro legame con coloro che vi circondano
diventi un fattore di armonia all’interno del Grande Disegno che,
in se stesso, per il fatto stesso che appartiene a ciò che è
e che, quindi, è in perfetta armonia e in equilibrio con se stesso,
non può essere definito altro che la grande prima armonia
dell’intero esistente.
Moti


 

 


Figlio mio, figlio mio amatissimo che così spesso ti senti triste,
deluso, abbandonato, tradito, tormentato, vilipeso, torturato,
rattristato,
io ti guardo, ti osservo e mi
chiedo se forse non sono stato crudele con te
nell’inserirti in questa vita che sembra
farti così tanto soffrire;
poi, guardo ogni tua sofferenza, ogni tuo momento drammatico
e osservo che veramente ogni attimo che tu vivi è per te una fonte
di grande ricompensa, perché ogni attimo di sofferenza, di dolore,
di tristezza, di dramma che tu attraversi ti regala una briciola
di comprensione con la quale lentamente, un po’ alla volta
ma con 
sicurezza, tu ti incammini lungo la strada che ti porta
sempre più vicino a me,
figlio mio;
ed io, io sono sempre lì in fondo che ti tendo le mie mani
– a te come a qualsiasi altro tuo fratello –
e non aspetto altro che il momento in cui tu potrai afferrarle.
Cosa posso fare per te che già non abbia fatto dandoti tutto ciò che hai:
dalla gioia più intensa al dolore più triste?
Posso soltanto continuare a inviarti, attimo dopo attimo,
le mie vibrazioni d’amore;
e so che tu, anche se non sembra, riesci a percepirle
e sono proprio esse che ti danno la forza di continuare,
anche nei momenti più bui della tua vita.
E allora, figlio mio, alza lo sguardo non verso di me
ma verso quella vibrazione, quel movimento sconosciuto
che senti dentro la tua coscienza e che a me ti richiama;
cercalo, catturalo, fallo tuo, stringilo tra le dita
e vedrai che un po’ alla volta la vita stessa cambierà
la sua qualità e tu con essa.
La pace, figlio mio, sia con te. Ti amo.
Anonimo


 

 


Chi vuole troppo e subito senza saper gioire del poco nel tempo
è come l’avaro che accumula ricchezze di cui, poi, non saprà che fare.
Chi presume di aver compreso tutto mentre il Tutto si dipana
non ha quanto meno compreso che il tutto che ha osservato
è solo una porzione infinitesima della Verità
e che se non ha compreso l’Umiltà difficilmente comprenderà l’Amore.
Chi non ferma il suo procedere per tendere la mano
a chi non ha il suo passo è come se lasciasse indietro una parte di se stesso
e chi è diviso interiormente, per quanto velocemente corra,
non riuscirà mai a lasciare indietro le 
sue cose irrisolte.
Chi giudica la capacità di comprensione degli altri
dimostra di aver compreso ben poco se non si dimostra in grado di mettere
la sua comprensione a disposizione di chi può non aver compreso.
Chi ha fretta di comprendere nuoce alla sua possibilità di comprensione
perché il comprendere non è una questione di lotta contro il tempo,
bensì di raggiungimento di quell’unico, preciso momento
in cui si è in grado di comprendere.
E niente e nessuno lo può far arrivare prima che il tempo giusto sia maturo.
Scifo


 

 


Se il coniglio si fermasse a chiedersi perché l’aquila
che sta volteggiando sopra di lui lo spaventa,
la sua vita sarebbe lunga come un 
battito d’ali.
Se l’uomo si fermasse a chiedersi perché sta piangendo o sta ridendo,
fermerebbe le sue lacrime o interromperebbe la propria risata
e avrebbe perso l’occasione per ridere o piangere fino in fondo.
La struttura dell’esistenza dà al coniglio la paura per arrivare
a non essere più un coniglio
e all’uomo il pianto o il riso per arrivare 
alla fine
del suo essere uomo.
Per questo motivo, coniglio, devi vivere la tua paura.
Per questo motivo, uomo, devi ridere o piangere.
Rodolfo


 

 


Figlio mio, io ti ho collocato nel Disegno
affinché tu seguissi le linee che io ho tracciato per te;
queste linee ti possono apparire delle catene
che non si possono spezzare,
possono apparire come dei binari che costringono il tuo modo
di essere su percorsi che, magari, tu non percorreresti così volentieri,
eppure, nel creare questo Grande Disegno, in esso
io ho messo tutto
ciò che tu sei:
ho messo la tua passione, le tue paure, i tuoi momenti di generosità,
i tuoi attimi di tensione, le tue incertezze, i tuoi dubbi, i tuoi perché,
il tuo sentirti solo, il tuo sentirti portato ad aiutare gli altri,
il tuo desiderare amore, il tuo desiderare di ricevere amore.
Ti auguro, figlio, di riuscire veramente a sentire tuo il Disegno
che ho creato per te.
Moti


 

 


La mia Verità appartiene a tutti coloro che la sanno riconoscere ma,
nel fluire del tempo, appartiene a tutti coloro che da me sono sgorgati.
Che padre sarei se ciò che ho e che so lo nascondessi per condividerlo
soltanto con
i figli che più mi si sono avvicinati?
Ogni volta che il primo raggio di sole sorge
nel più recondito angolo del mondo una creatura
viene iniziata della più grande iniziazione,
quella che le schiude la porta che conduce verso di me.
Ogni volta che l’ultimo raggio di sole del giorno si spegne
oltre il frastagliato orizzonte tutto ciò che sparisce sembra divenire occulto
per chi non sa che la legge naturale compie un ciclico cammino
e che ciò che oggi appare occulto domani rivivrà con rinnovato splendore.
La mia magia non ha sosta e ogni essere mi aiuta ad operarla vivendo,
procreando, operando, sperando, amando perché non vi
è nulla
che non sia magico in ciò che io ho
creato.
Porgi al tuo fratello tutta la Verità che conosci,
perché essa non ti appartiene ma esiste per essere condivisa,
dona al tuo fratello una piccola, incommensurabile magia:
il tuo sorriso.
Anonimo


 

 


Figlio mio, se io ti ho dato la possibilità di osservare la realtà
che ti circonda e tessere su di lei una parte di te stesso,
rendendola il più comprensibile possibile al tuo modo di essere,
questo è stato fatto affinché tu, un po’ alla 
volta,
arrivassi a renderti conto che la realtà che ti circonda
non è a te estranea, ma è una parte di te.
Certamente, con la mente tu potresti arrivare a filosofeggiare
e tradurre il tuo filosofeggiare in un atteggiamento che, apparentemente,
diventa indifferenza nei confronti della vita, della realtà
e di ciò che accade agli altri.
Ma, figlio mio, figlia mia, figli miei, non vi dimenticate
che non è la vostra mente, non sono i concetti della filosofia
che attraversano le vostre teste quello che guida la vostra esistenza;
ciò che guida la vostra esistenza è ciò che è nella vostra coscienza,
e ciò che è nella vostra coscienza va al di là dei concetti filosofici;
quindi non accadrà mai che voi vediate un vostro fratello che sta piangendo
e che quel pianto, malgrado qualunque filosofia possa essere arrivata
alle vostre orecchie,
alle vostre menti, malgrado essa, che voi non piangiate
o non reagiate alla sofferenza di chi vi sta accanto.
Ricordate che anche l’apparente disinteresse alla fin fine è una reazione e se,
in un momento di tristezza, per una creatura che vi
sta a fianco
voi dimostrate indifferenza, essa
 rivelerà alla vostra coscienza,
al vostro sentire, cosa non avete ancora compreso,
fornendole dei frutti tali per cui, alla successiva occasione,
quando voi vi troverete accanto un fratello che soffre
non sarete più capaci di non interagire e condividere con lui,
cercando di alleviare una parte della sua sofferenza.
Se così non fosse, nulla di quanto io ho creato avrebbe un senso
e in me non esiste nulla che non abbia il senso più vero
e pieno che possa esistere.
Moti


 

 


Cerca di fare, figlio,
ciò che così difficilmente fai:
cerca di osservare i tuoi momenti di felicità transitoria
e di farli diventare preziosi,
cerca di capitalizzarli dentro di te e di farli diventare
dei semi 
dai quali farne sbocciare molti altri,
cerca di non dimenticarti di questi semi
che in gran quantità l’esistenza invece ti regala,
cerca di tenerli dentro di te
e di far sì che essi si uniscano, alla fine,
in un concerto meraviglioso
che soltanto tu, con la tua sensibilità,
ma più che altro con la tua comprensione,
puoi veramente riuscire a dirigere.
Moti


 

 


Quand’è che avrete compreso la vita,
quand’è che avrete compreso l’Amore?
Sarà quando sarete accanto a chi piange
e riuscirete a sorridere.
Sarà quando sarete accanto a chi è illogico
e gli darete logicità.
Sarà quando sarete accanto a chi sta soffrendo
e gli darete disponibilità.
Sarà quando sarete accanto a chi vi rifiuta
e vi mostrerete pronti a donare.
Sarà quando gli altri vi toglieranno
e voi lascerete che tolgano,
e tutto questo non per far sì che gli altri
siano come voi pensate che essi debbano essere,
ma per diventare per essi quella parte di realtà
che è lì per dimostrare loro
come il contrario di ciò che essi sono esiste
e potrebbe anche essere 
la soluzione giusta per loro.
In quel momento, senza altri secondi fini,
voi avrete compreso la vita e avrete compreso I’Amore.
Anonimo


 

 


Tu avrai capito la vita non quando farai il tuo dovere
in mezzo agli uomini, ma quando lo farai nella solitudine .
Non quando, pur raggiunta la notorietà,
potrai avere una condotta esemplare agli occhi degli uomini
ma quando l’avrai e nessuno lo saprà, neppure tu stesso.
Non quando tu farai il bene e ne vedrai gli effetti,
ma quando lo farai e non ti interesserà avere gratitudine,
né conoscere l’esito del tuo operato.
Non quando tu potrai aiutare efficacemente e disinteressatamente,
ma quando aiuterai pur sapendo che il tuo aiuto a nessuno serve,
neppure a te stesso.
Non quando tu ti sentirai responsabile
di tutto ciò che fanno i tuoi simili,
ma quando conserverai intatto il senso della tua responsabilità
pur sapendo d’essere l’unico uomo al mondo.
Non quando tu avrai compreso che tutti gli esseri
hanno gli stessi tuoi diritti,
ma quando tratterai l’essere più umile della terra
come se fosse colui che ha nelle sue mani le tue sorti.
Non quando tu amerai i tuoi simili,
ma quando tu stesso sarai i tuoi simili e l’amore.
Kempis


 

 


Vieni con la luce e ti sarà data la chiave che farà conoscere a te,
anziano, l’anziano degli anziani, l’anziano dei giorni,
l’inconoscibile.

Se giusta è la tua vittoria,
piano sarà il tuo sentiero
ed i divini attributi forza saranno in te.

Tale è la legge dal principio alla fine.
Di poi il grande riposo,
riposo che si estende a tutto il creato,
il riposo del Redentore.
Kempis

 

Come avviene una comprensione, un ampliamento del sentire

Supponiamo che uno tra voi, leggendo i giornali, guardando la televisione, parlando con gli altri, scontrandosi e incontrandosi con le altre persone, sappia che esiste, che so io, l’invidia. Il sapere che esiste l’invidia può essere un fatto che non tocca minimamente l’individuo o meglio, lo tocca soltanto a livello di conoscenza: l’individuo in questione sa, conosce, che tra gli esseri umani esiste l’invidia. Ecco, questa è la conoscenza, tanto che l’individuo potrebbe affermare secondo quella successione che prima ho presentato «io conosco l’esistenza dell’invidia».
Però col passare delle esperienze, dei giorni, del tempo, ecco che l’individuo ad un certo punto s’accorge che questa invidia, che sapeva esistere negli altri, esiste in realtà anche in lui stesso, in quanto in certe occasioni si sente invidioso; e s’accorge che questa invidia gli procura un problema di qualche tipo.

continua..

Conoscenza, consapevolezza, comprensione nel ciclo delle vite

d-30x30Conoscenza, consapevolezza, comprensione nel ciclo delle vite. Dizionario del

Formato A4 per la stampa, 9 pagine.

Riparliamo per rendere più chiaro il discorso di coscienza e di consapevolezza visto che questo tema ha creato non indifferenti problemi nell’animo di alcuni di voi, e cerchiamo di fare brevemente un riassunto di quanto è stato affermato precedentemente.
Abbiamo detto che la coscienza è identificabile con il sentire.
La coscienza è identificabile dunque con il corpo akasico completamente strutturato. La consapevolezza è invece qualcosa di molto, molto diverso. Infatti la consapevolezza è la conoscenza di determinate verità indipendentemente dal fatto che queste verità vengano poi dall’individuo che ha quella consapevolezza accettate o meno.
Ma vi faccio un esempio: noi siano venuti qua per anni e anni a parlarvi di piano mentale e di piano astrale, ed ognuno di voi conosce l’esistenza di questi piani; tuttavia non avendo e non potendo avere una prova accettabile a livello razionale della realtà di questi piani di esistenza, non riuscite completamente ad accettarli.
Il fatto di essere a conoscenza di questa realtà è identificabile con la consapevolezza, la quale dunque, ripeto, è la conoscenza di determinate realtà indipendentemente dall’accettarle o meno.
Qualcuno di voi, razionale o meno, potrebbe obiettare che la consapevolezza è un fatto strettamente e squisitamente mentale, in quanto legato alla conoscenza. Ma io vi dico che non è così in quanto la consapevolezza vera e propria è anche legata ad un attività sensoria. Si può affermare, senza ombra di dubbio, senza timore di essere contestati, che la prima vera forma di consapevolezza è legata strettamente alla sensazione. Come già precedentemente vi è stato detto, avevamo affermato che il minerale ha una sua consapevolezza, in quanto egli inserito in un determinato ambiente fisico è consapevole di esistere. Questo significa che il minerale, con i suoi rudimentali apparati sensori, è in grado di ricevere da questi suoi stessi apparati sensori un certo grado di consapevolezza. Consapevolezza che logicamente, proprio in base ai discorsi che vi sono stati fatti fino ad ieri, tende ad ampliarsi via via che l’individualità si evolve, via via che l’individualità passa dunque dal regno minerale al regno vegetale, al regno animale, per arrivare al regno umano (anche se dire «regno umano» è qualcosa di facilmente contestabile).
Ma voi sapete anche che via via che l’individualità si sposta da un piano di esistenza ad un altro (intendendo per piano di esistenza in questo ambito, il regno della natura in cui è inserito), i corpi che esistono sugli altri piani si strutturano, migliorano le loro funzioni e quindi, in qualche modo, influiscono proprio sull’ambiente fisico. Questo significa che, se nel regno minerale l’individualità è costituita semplicemente dalla sua apparizione nel mondo fisico, nel mondo vegetale esiste già un qualche cosa di più strutturato a livello astrale, così come nel regno animale esiste già un qualche cosa di maggiormente strutturato sul piano mentale, così come nel regno umano esiste qualcosa di più strutturato nel piano akasico. Questo significa ancora che la consapevolezza incomincia a «sentire», a subire, ad essere diretta nel suo modo di essere, di esistere, anche dagli altri piani di esistenza, piani di esistenza che, però, proprio per essere tali, sono governati, dominati, indirizzati da quella che è la coscienza.
La consapevolezza dunque, a livello sensorio, esiste in tutti i regni della natura: nel minerale, il quale è strettamente legato ai suoi sensi fisici; nel regno vegetale il quale è ancora legato ai suoi sensi fisici; nel regno animale il quale è ancora legato ai suoi sensi fisici e così pure nel regno umano che è ancora legato ai suoi sensi fisici.

L’interesse per l’altro, l’amore oltre sé, la gratuità

Fai per l’altro senza aspettarti nulla in cambio;
non dare per ricevere;
sia il tuo interesse per l’altro qualcosa
che da solo basta per la tua felicità;
se davvero lo ami, sii vicino all’altro
qualunque cosa 
pensi o faccia,
perché il vero amore non ha bisogno
di essere corrisposto e,
quando tu ti aspetti di ricevere qualcosa,
allora stai attento a quello che
pensi,
perché già lì potresti trovarti in faccia
al tuo egoismo mascherato d’amore.
Scifo

continua..

L’impossibilità di giudicare: alcune ragioni

I corpi dell’individuo incarnato, come ormai dovreste sapere, non vengono costruiti lasciando al caso o alla natura e ai suoi processi fisiologici il compito di formarli, ma hanno uno stretto legame sia con il percorso evolutivo compiuto nel tempo dall’individualità che si incarna, sia con i suoi bisogni di sperimentare il mondo fisico per acquisire quelle piccole o grandi comprensioni che il suo corpo della coscienza non è ancora riuscito a sistemare al suo interno nel corso del suo incessante tentativo di adeguamento alle norme con cui la Vibrazione Prima ha pervaso il Cosmo in cui l’individuo incarnato si trova a essere inserito.

continua..

L’evoluzione della coscienza e del sentire

d-30x30Evoluzione della coscienza. Dizionario del

 

– Evoluzione della coscienza
I piani d’esistenza
Lo stato di coscienza
La coscienza di esistere e di essere
Il sentire

Formato A4 per la stampa, 11 pagine.

Il concetto di «evoluzione della coscienza» può essere assimilato a quello di evoluzione della razza, intendendosi con esso il cammino che ogni individuo compie nel corso delle incarnazioni umane per raggiungere il massimo «sentire».
Raggiunto il massimo «sentire», la massima evoluzione che si può ottenere dal peregrinare nel mondo fisico, l’individuo abbandonerà la ruota delle nascite e delle morti. Andrea

Evoluzione… evoluzione della forma, evoluzione della materia, evoluzione dell’autocoscienza… che cosa significano queste tre affermazioni?
Con evoluzione della forma, si intende il passaggio dalla forma più semplice di vita, quindi la forma minerale, a quella umana per poi arrivare alla super umana. Quindi l’evoluzione della forma significa che l’individuo che si incarna per la prima volta in un minerale, tende poi a costruire a poco a poco i suoi corpi sugli altri piani di esistenza passando da una forma di vita molto semplice, come può essere quella del cristallo, ad una forma di vita più complessa come quella vegetale, da questa poi a quella animale fino ad arrivare alla soglia della coscienza e di conseguenza ad incarnarsi come uomo.
Con evoluzione della materia si intende, invece, lo strutturarsi dei vari corpi siti sui diversi piani di esistenza dell’individualità.
Supponiamo che due individui si incarnino contemporaneamente, in una forma minerale: uno si incarna mettiamo in Africa, dove fa un gran caldo, l’altro in Islanda dove fa un gran freddo. Questi due individui pur essendo «nati» contemporaneamente, pur avendo gli stessi tipi di esperienze (in quanto, come ben potete immaginare, la forma minerale ha un numero limitato di esperienze) cominciano ad evolvere ed a costruirsi un embrione di corpo astrale che già ha delle piccole differenze tra il primo individuo e il secondo.
Dopo che hanno raggiunto la massima evoluzione nel regno minerale, essi passeranno nel regno vegetale ed avranno così nuovi stimoli che saranno utili all’evoluzione dei loro corpi. È chiaro che gli stimoli provenienti dall’esterno, dati principalmente dalle condizioni climatiche, saranno totalmente diversi per quei due ipotetici individui incarnati in Africa e in Islanda, cosicché la formazione degli altri corpi sarà a sua volta leggermente diversa nella sua struttura.
Questa larvata differenziazione diverrà sempre maggiore via via che quegli individui si incarneranno nei regni superiori.
Ed ecco che nel momento in cui essi si incarneranno come uomini, nel momento in cui cioè avranno terminato il loro ciclo di incarnazioni minerali, vegetali ed animali, essi saranno in qualche modo diversi, perché il loro corpo astrale ed il loro corpo mentale si saranno strutturati sulla base di esperienze differenti, anche se molto simili tra loro.
Saranno quindi queste prime differenze che porteranno poi queste individualità, nel momento in cui saranno uomini, ad avere comportamenti diversi di fronte a situazioni simili, e questo poi, in fondo in fondo, non è altro che una frantumazione della Realtà Assoluta, che in questo modo dà corpo a comportamenti diversi per giungere alla fine alla totale unione. Vito

Noi siamo concordi con l insegnamento che parla dell’evoluzione dell’individuo attraverso varie forme e non soltanto attraverso la forma umana.
Noi asseriamo, infatti, che ciò che oggi è un uomo, prima di essere un uomo era un animale, prima ancora di essere un animale era un vegetale e prima ancora di essere un vegetale era un minerale. Ecco, questo a ritroso è il cammino evolutivo di ognuno di voi.
Se potessimo seguire la vostra linea evolutiva all’indietro nel tempo arriveremmo ad un punto in cui la vostra individualità, esprimentesi ancora in un modo molto rudimentale, non era né in un uomo, né in un animale, né in una pianta bensì in un minerale, in qualche cosa che voi, solitamente, siete abituati a considerare completamente inerte e privo di vita. Tuttavia noi affermiamo anche che ogni essere, ogni creatura, ogni pianta, ogni cosa non è costituita solamente da materia fisica ma è costituita anche di materia di altri piani di esistenza.
Così potrei affermare che quel vostro Io minerale di tantissimo tempo fa non era costituito semplicemente di materia fisica ma aveva già in sé e attorno a sé una certa parte di materia astrale, di materia mentale e via e via e via, soltanto che la differenza tra il vostro Io minerale di allora (se così lo si può chiamare, e guardate che questa è soltanto una parola per esprimere non una realtà ma per far comprendere un concetto) ed il vostro Io di adesso è tale per una diversità peculiare che non riguarda tanto il tipo di materia fisica ma riguarda proprio una caratteristica che li diversifica sui vari piani di esistenza.
Qual è questa caratteristica? Questa caratteristica è semplicemente il modo in cui la materia che compone gli altri corpi dell’individuo astrale, mentale e akasico che stiamo esaminando è organizzata, è strutturata, è funzionale.
Intendo, con questo mio panegirico, farvi capire che un minerale pur possedendo ad esempio un suo corpo astrale ha la materia di questo corpo astrale informe e disorganizzata, ancora in via di formazione e ancora poco strutturata mentre, invece, la materia del corpo astrale di un essere umano ha già una struttura abbastanza uniforme e complessa che le permette di funzionare in modo adeguato.
Questo cosa comporta?
Comporta che il minerale, non avendo il veicolo strutturato in modo adeguato a poter recepire le sensazioni, a poter esprimere le sensazioni, ha una vita che è apparentemente inerte mentre l essere umano che ha i veicoli molto più formati e molto più adatti ad esprimere e trasmettere sensazioni ed emozioni, ha la possibilità di trasmettere anche attraverso la gestualità, attraverso la materia del suo corpo fisico, queste sue emozioni, queste sue sensazioni.
Tutto questo discorso è alquanto complesso; per illustrare meglio quello che io vi ho detto questa sera vi abbiamo fatto pervenire il seguente grafico:

Noi abbiamo parlato fino a questo punto, per semplicità, di pochi piani di esistenza. Voi sapete che questi piani, solitamente vengono nominati in numero di sette, tuttavia noi ci siamo limitati ad accennare al piano fisico, all’astrale, al mentale, al piano akasico, e ai piani spirituali in generale.
Quindi supponiamo per il momento e per semplicità che esistano solamente cinque piani, e dividiamo quindi questa specie di quadrato in cinque parti diverse, ognuno rappresentante un piano.
Partiamo dal minerale. Il minerale ha un certa forma all’interno del piano fisico, tuttavia ha una sua corrispondente forma – per quanto rudimentale – che necessariamente esiste per permettere alle vibrazioni che lo collegano alla realtà dell’Assoluto di poter circolare alimentando la spinta del ciclo evolutivo. Come dicevo, tuttavia, questa materia degli altri piani di esistenza non è ancora abbastanza organizzata per poter far sentire, rendere consapevole il minerale di ciò che accade negli altri piani di esistenza. La sua percezione, la sua consapevolezza è quindi limitata quasi totalmente al piano fisico, anche se incomincia, sotto gli impulsi dell’ambiente, a reagire agli stimoli e a crearsi una sua certa consapevolezza interiore di ciò che succede a livello emozionale, incomincia cioè a organizzare molto lentamente la sua materia astrale, che prima era totalmente disorganizzata.
Ecco quindi per riassumere: la consapevolezza del minerale è tutta nel piano fisico ed incomincia a costituirsi anche sul piano astrale.
Passiamo adesso alla forma vegetale.
Il vegetale, a sua volta, ha una forma nel piano fisico, però la sua sensibilità è molto maggiore rispetto a quella del minerale proprio perché attraverso gli stimoli vissuti sotto la forma minerale, un po’ alla volta, la sua materia astrale si è andata organizzando e la sua consapevolezza, questa volta, è molto più avanzata all’interno del piano astrale anche se resta, però, sempre nell’ambito del piano astrale. Voi vi stupireste se riusciste a percepire, a comprendere, in realtà, quanto ogni vegetale abbia una sensibilità spiccata e forte, non molto diversa, in realtà, da quella dell’uomo. La maggiore differenza risiede nel fatto che alla pianta è molto difficile poterla esprimere in modo comprensibile all’essere umano.
Eccoci ora alla forma animale.
Dopo essere passata attraverso la forma minerale e quella vegetale, la materia astrale con cui l’individualità si ricopre formando un nuovo corpo astrale ha una migliore organizzazione e la consapevolezza della creatura non è più soltanto di tipo fisico, ma è ormai totalmente di tipo astrale, quindi emotivo, ed incomincia a formarsi anche sul piano mentale.
Questa figura rappresenta il grado di consapevolezza raggiungibile attraverso le «incarnazioni» nei tre regni della natura. Come si vede, nel regno minerale la consapevolezza è tutta concentrata sul piano fisico, mentre nel regno vegetale essa comincia ad ampliarsi e ad espandersi anche sul piano astrale; nel regno animale oltre a consolidarsi totalmente nel piano astrale si espande nel piano mentale, mentre nell’uomo (anch’egli facente parte del regno animale, ma considerato quale animale superiore) la consapevolezza sui tre piani (fisico, astrale e mentale) è totale e inizia la sua espansione verso i piani superiori cominciando, logicamente dal piano akasico. Naturalmente la figura riportata rappresenta solo una schematizzazione (approssimativa ed incompleta) avente il solo scopo di facilitare la comprensione mentale di quanto stiamo dicendo.
Ecco, quindi, che nell’animale, un po’ alla volta, e grazie agli stimoli che riceve, si va formando anche la consapevolezza a livello mentale Ricordate che questo discorso apparentemente può sembrare inficiato dal fatto che noi abbiamo affermato più di una volta che l Io dell’individuo cambia da incarnazione ad incarnazione. Certo, questo è vero, ma questo non deve far supporre che si ricominci da capo ad ogni incarnazione: in realtà l esperienza vissuta (che sarebbe il limite di consapevolezza raggiunta nel corso delle incarnazioni) si va a trascrivere all’interno del corpo akasico e a ogni nuova incarnazione l’individuo riparte da questa consapevolezza, cosicché la sua consapevolezza via via cresce.
Contemporaneamente al grado di consapevolezza acquisito si ha la costituzione dei corpi sugli altri piani di esistenza. Il minerale ha il corpo completamente strutturato soltanto a livello di piano fisico, mentre la materia del piano astrale comincia ad organizzarsi; questa organizzazione continua anche per quello che riguarda i vegetali che intanto iniziano ad organizzare anche la materia del piano mentale; nel regno animale il corpo astrale è ormai strutturato e si va organizzando la materia del piano mentale che darà poi origine al corpo mentale. A sua volta l uomo avendo i tre corpi inferiori ormai ben organizzati inizierà a dare una forma via già più organica anche alla materia del corpo akasico.
E arriviamo, infine, a parlare di quella «bestia» che, solitamente è l uomo! Il discorso è del tutto analogo a quelli che ho fatto fino a questo momento.
Infatti, se nel caso dell’incarnazione animale la consapevolezza dell’individuo era arrivata al piano mentale, nel corso della vita umana questa consapevolezza mentale diventa via via sempre migliore sino, alla fine, a sconfinare nel piano akasico, dove la consapevolezza diviene gradatamente sempre più strutturata, di pari passo con l’aumento di strutturazione del suo sentire. Scifo

Al suo primo apparire nel mondo fisico dunque l’individualità si trova immersa nella materia sotto forma di minerale; attraverso questa esperienza come minerale l’individualità comincia a strutturare il corpo successivo. Ora però, è bene precisare che non è che ogni minerale sarà poi un uomo, ma sarà un uomo quell’individualità che attraverso quel minerale ha strutturato i suoi altri corpi. Voglio dire, con questo, che quando l’individualità si è «incarnata» in un cristallo e, attraverso le proprie sensazioni, avrà strutturato a sufficienza il proprio corpo astrale, si allontanerà dalla forma minerale per continuare la sua evoluzione attraverso una materia più adatta alle sue esigenze evolutive e che, in questo specifico caso, sarà nel regno vegetale.
Lo stesso fenomeno si verificherà, poi, nel transito incarnativo all’interno del mondo vegetale: attraverso varie esperienze, sperimentando fino in fondo la vita di sensazione (caldo, freddo, umidità, siccità) l’individualità «incarnata strutturerà sempre meglio il proprio veicolo astrale al punto da essere pronta per l’incarnazione animale. Anche in tal caso è chiaro che l’individualità godrà delle esperienze di più vegetali contemporaneamente sicché non è che ogni vegetale sarà in un prossimo futuro un uomo.
È chiaro che tale evoluzione è molto lenta ed è conseguenza logica il fatto che debbano esistere, in questi due regni, numerose incarnazioni, così come è altrettanto logico il fatto che l’individualità si trovi nella necessità di dover esperire attraverso diversi veicoli fisici contemporaneamente.
Passata al regno animale, dapprima come animale inferiore, poi via via sempre più vicina all’uomo, l’individualità inizierà, attraverso a queste nuove esperienze, a strutturare anche il proprio corpo mentale, e questo lo potete verificare personalmente vedendo come, ad esempio, due cani, nelle stesse condizioni esterne e sottoposti agli stessi stimoli abbiano delle reazioni differenti. Questo è dovuto al corpo mentale che si sta strutturando, e il corpo mentale è diverso da individuo a individuo.
Il processo evolutivo continua in questo modo fino a quando l’individualità non è pronta per arrivare alle incarnazioni umane.
Tutto questo significa che se si uccide una zanzara (o un qualsiasi altro animale inferiore) non si fa altro che interrompere in parte l’esperienza di quella individualità, così pure accade per la pianta che viene abbattuta o che muore per gli agenti atmosferici. Quando questo esperire viene interrotto momentaneamente, l’individualità (totalmente inconsapevole) si ritira nel piano akasico dal quale viene poi riproiettata verso nuove esperienze necessarie alla sua evoluzione. Nulla di differente quindi da quello che è il cammino dell’uomo. Vito

«La cercan qui, la cercan là, dove si trovi nessuno lo sa…» diceva una filastrocca dei tempi trascorsi.
Per venire a tempi più moderni, la ricerca potrebbe venire indicata, anche se all’epoca la frase era usata più in termini satirico-politici, cantando: «Io cerco la Titina, la cerco e non la trovo…».
«Cosa sta dicendo questa sera Scifo? È forse possibile che anche sul piano d’evoluzione ad un certo punto ci sia qualche cosa di analogo alle nostre sinapsi e che improvvisamente, per chi sa quale motivo, qualche rotella gli sia saltata?».
Il mio è un tentativo di iniziare un discorso in un modo un poco meno monotono del solito.
Ma a che cosa si riferiva questo mio inizio strampalato? Si riferiva alla ricerca che da più anni andiamo indicando, allorché vi parliamo dell’Io, e di come dovete cercarlo, osservarlo per riuscire ad andare oltre.
Prima, però, di entrare nel merito, vorrei un attimo osservare nell’ottica della serata questo Io, vorrei cioè andare alla ricerca dell’Io, lungo il cammino evolutivo di un individualità e percorrendo le tappe dell’evoluzione individuale, per vedere se in queste tappe l’Io può venire riconosciuto nella prima ondata di evoluzione e si trova presente già all’interno del regno minerale.
Bene, creature, non mi sembra necessario spendere moltissime parole per dire che non è possibile trovare tracce dell’Io nell’individuo incarnato a questo stadio evolutivo; voi sapete, infatti, che l’Io è la risultante delle reazioni dei corpi fisico, astrale e mentale dell’individuo, scaturente dall’affrontare le esperienze della vita all’interno del piano fisico.
Ora, chiaramente, è evidente dalla tabella che vi ho presentato su questo argomento, che l’individuo incarnato nel regno minerale possiede solamente un corpo astrale molto rudimentale, organizzato, cioè, soltanto in minima parte, anche se chiaramente si va strutturando sempre meglio via via che le incarnazioni si susseguono.
Se fosse possibile tradurre in modo ben comprensibile ciò che passa per la pietrosa «testa» del minerale, questo sarebbe sotto forma di «caldo», «freddo», «pioggia», «vento», e via e via e via, quindi semplicemente come delle constatazioni di qualche cosa che accade senza, in fondo, né ragionamento, né percezione emotiva, e quindi, ripeto, che a questo stadio evolutivo dell’individuo non vi è e non vi può essere un Io così come voi lo avete inteso da quando siamo venuti a parlare tra voi.
Come conseguenza logica e inconfutabile, lo stesso discorso, quasi pari pari, può essere portato per l’individuo incarnato allo stadio vegetale; in quanto questo individuo ha sì un corpo astrale più strutturato di quello che aveva nel corso delle molteplici incarnazioni minerali, però se fosse possibile riportarvi come pensieri ciò che passa per la mente alla clorofilla del vegetale, voi potreste avvertire «sento caldo», «sento freddo», «sento pioggia», «sento vento», e via e via e via. Quindi anche in questo stadio l Io non esiste e non può esistere. Quelli tra di voi che più amano gli animali, tendono quasi sempre ad antropomorfizzarli, a vederli non come animali, ma come prolungamenti di esseri umani, a volte addirittura come prolungamenti di se stessi, scambiando spesso il comportamento indicativo tipico degli animali con una sorta di personalità; in realtà, anche per quello che riguarda l’individuo incarnato all’interno del mondo animale, si può affermare che non esiste un Io; questo anche se il corpo astrale, in questo caso, è abbastanza ben organizzato e strutturato, il corpo mentale comincia soltanto allora ad essere strutturato, è soltanto la prima fase di strutturazione, e quindi l’Io non è ancora formato, ma vi è il primo larvato percepire, la prima differenza tra io e non-io.
Se voi, infatti, poteste entrare nella mente dell’animale potreste sentire i suoi pensieri come: «io ho fame», «io ho sete», «io ho freddo», «io ho caldo», l Io c è già, ma si tratta ancora solo di una percezione molto larvata della differenza fra se stessi e gli altri.
Tuttavia, ripeto, anche per quello che riguarda l incarnazione all’interno del mondo animale, non è possibile parlare di un vero e proprio Io.
L’Io vero e proprio, invece esiste, compare allorché l’individuo giunge all’incarnazione umana; l’individuo che giunge alla incarnazione umana, infatti possiede un corpo astrale, ormai molto ben strutturato, un corpo mentale, a sua volta organizzato in modo più o meno uniforme e complesso, quindi gli scambi tra questi due corpi e il corpo fisico sono continui e tali da permettere di fare una distinzione, da permettere di avere coscienza della separazione tra se stesso e il mondo al di fuori di se stesso. Permette, cioè, di rendersi conto che egli è, e il mondo intorno a lui è ma in modo diverso da lui stesso. Scifo

Dalle cose che vi sono state dette, si capisce che l’individualità parte da una condizione di non-Io per ritrovare, scoprire l’Io, per ritornare infine ad una nuova condizione di non-Io; ma se la prima condizione era di totale incoscienza, la seconda, meta dell’evoluzione stessa, è di totale coscienza.
Cosicché quando noi vi parliamo di costituzione dell’autocoscienza, intendiamo parlarvi del superamento, sì, dell’Io, dell’identificarsi, certamente, con tutti gli altri fratelli, del sentire tutti gli altri fratelli uguali a se stessi, ma in totale consapevolezza.
Quando si raggiunge questa condizione, e in questo modo il corpo akasico è totalmente costituito, l’individuo non ha più necessità di incarnarsi, abbandona, come si è soliti dire, la ruota delle nascite e delle morti, ma non è detto che l’evoluzione non continui.
Infatti colui che ha sperimentato attraverso le varie vite, ed ha conquistato la propria consapevolezza ritrovando la vera essenza del suo stesso essere, continua la sua evoluzione su altri piani; piani che noi, genericamente, definiamo piani spirituali.
Questa nuova forma di evoluzione lo porterà, inevitabilmente all’unione con il Tutto, all’identificazione con Dio, identificazione che non significa totale annullamento, perché l’individuo che si unifica a Dio, che entra in comunicazione con Dio, è consapevole di ciò che è stato, è totalmente consapevole di ciò che sono stati i suoi fratelli, tuttavia riesce a sentirli come se fossero lui stesso. Fabius

 

I piani di esistenza

Quando noi veniamo a parlarvi degli altri piani di esistenza, tiriamo fuori, di volta in volta, termini quali piano astrale, piano mentale, piano akasico e via e via e via, aggiungendo poi paroloni su paroloni per spiegarvi quello che intendiamo dire. L’errore che solitamente tutti coloro che ascoltano finiscono col commettere è quello di prendere i termini che noi usiamo come degli schemi rigidi, fissi, in cui la realtà, deve essere per forza di cose, incasellata.
Invece, creature, la situazione è ben diversa: noi usiamo una denominazione particolare semplicemente per fornire a tutti voi un supporto mentale, quindi anche linguistico, per poter portare avanti il filo logico di un discorso, ma dovete sempre cercare di tenere ben presente che questi supporti mentali sono soltanto dei termini di comodo per aiutare a comprendere qualche cosa che è molto al di fuori della normale realtà fisica in cui voi conducete le vostre esistenze.
Non vi è quindi, come potrebbe pensare qualcuno di voi, un salto brusco tra il piano astrale e il piano mentale, o tra il piano mentale e il piano akasico; specialmente per quanto riguarda la materia che compone questi piani, il passaggio da un piano all’altro è quasi imprecisabile, attraverso i concetti, attraverso le parole.
Lo stesso discorso vale per quello che riguarda la Realtà, noi cerchiamo, abbiamo cercato, e cercheremo di farvi avere una visione della Realtà diversa da quella cui voi siete abituati solitamente, e per far questo è necessario – poiché ci rivolgiamo a delle menti abituate a recepire una logica formata di parole e di concetti – che vi presentiamo ciò che vi vogliamo dire attraverso le parole e i concetti.
Queste parole e questi concetti, tuttavia, sono necessariamente relativi, proprio perché rivolti a persone che vivono in un mondo, direi, quasi totalmente relativo.
Sono quindi un altro schema, un altro modo per fornirvi una visione sempre relativa della realtà, visione che può essere forse più larga di quella che ognuno di voi possiede normalmente, ma che tuttavia resta sempre relativa.
«Cosa succede, però, per coloro che vi vengono a parlare dagli altri piani di esistenza?» voi vi chiederete «Anche costoro posseggono una visione della Realtà relativa, oppure c è qualcuno tra tutti questi Maestri che parla avendo una conoscenza della Realtà assoluta?».
Bene, io vi posso assicurare, creature, che fino a quando un individualità non si riunisce all’Assoluto, la sua visione della realtà non può essere altro che relativa, a qualunque piano essa appartenga.
Certamente potrà essere sempre più ampia a mano a mano che procede nell’evoluzione, certamente accade come nel famoso esempio per cui a mano a mano che si sale su una montagna l orizzonte, la visuale si allarga e quindi anche la visione della Realtà diventa più ampia; tuttavia diventa sempre più ampia ma non ne abbraccia la totalità.
Infatti, la Realtà Assoluta, deve essere infinita, totale e si può avere soltanto allorché si rientra coscientemente e totalmente a far parte dell’Assoluto.
Fino a quel momento, creature, non si può avere altro che una visione relativa e, quindi, più o meno limitata.
Concludendo questo mio parlare non posso fare altro, perciò, che affermare che anche quello che ho appena detto fino a questo momento è una visione mia, relativa, a qualunque piano io appartenga e quindi non è una Verità Assoluta! Scifo

Il punto principale sta nel fatto che allorché vi è un incarnazione come vita minerale, non vi è ancora veramente un individualità ma si può considerare una massa di più individualità fuse assieme e quasi indistinte che si uniscono in qualche modo a della materia minerale dalla quale ricevono le prime percezioni, le prime sensazioni.
Voi sapete che da queste percezioni, da queste sensazioni derivanti principalmente dagli scontri con gli agenti atmosferici, provengono delle vibrazioni che tendono a organizzare la materia astrale di queste individualità in gruppo.
Allorché questa materia astrale incomincia ad essere un poco meno informe e ad avere un organizzazione maggiore, l’individualità di gruppo o «anima gruppo», come a volte viene chiamata, incomincia ad avere dei sensi astrali più sviluppati, avverte inconsapevolmente la necessità di poter esprimere questi nuovi sensi attraverso dei mezzi fisici più idonei ad esprimere tutte le sue capacità, a mutarle in meglio, a cambiarle grazie a nuovi mezzi fisici sempre più idonei.
Ecco, quindi, che quest’ «anima gruppo» sposta la propria attenzione, per modo di dire, dalla forma minerale a quella vegetale, ad una forma, cioè, più complessa e che, quindi, può fornirle una massa diversa di percezioni e di sensazioni, una massa più adeguata alle necessità evolutive dell’individualità e che si va via affinando, organizzando e strutturando. Lo stesso processo avviene anche per quello che riguarda il passaggio alla vita animale. Fino a questo punto si parla, quindi, di «anima gruppo».
Ma, dopo un certo numero di vite animali, la materia astrale è ormai organizzata in modo abbastanza complesso e si incomincia ad avere anche una certa strutturazione ed organizzazione di quella che è la materia mentale di questa individualità.
Ecco allora che anche la forma animale risulta troppo semplice e limitata come dotazione di mezzi espressivi necessari al percorso evolutivo dell’individuo. Si accresce, così, il senso di separatività, di Io e non-Io, che porta al frazionamento dell’anima gruppo» la quale così si scinde e incomincia il suo cammino evolutivo attraverso veicoli fisici diversi, veicoli fisici che proprio per la loro maggiore capacità di ricevere percezioni, per il loro maggiore potenziale mentale offrono maggiori possibilità di esprimere l’evoluzione che le individualità facenti parti dell’anima gruppo hanno ormai raggiunto.
Il processo evolutivo dell’individualità continua, così, attraverso l’incarnazione in una sola forma per tutto il periodo in cui l’individuo si incarna come essere umano.
Accade infine, a un certo punto, che anche il veicolo umano non basta più al sentire, alla coscienza dell’individuo che si sta evolvendo, poiché ha raggiunto una strutturazione del suo corpo akasico, della sua coscienza, tale per cui il corpo umano non gli permette più di esprimere la sua evoluzione e quindi di raggiungere nuovi gradi, nuovi avanzamenti evolutivi.
Ecco che vi è allora il famoso abbandono della ruota delle nascite e delle morti, ecco che terminano anche le incarnazioni umane e l entità continua il suo cammino in altre forme, in altri modi di cui non è il caso di parlare adesso. Moti

Al di là del fatto che la vostra scienza è ancora molto lontana dall’avere una visione unitaria di quella che è la Realtà ma tende, ora come ora, a vedere la Realtà frazionata a seconda dei campi di cui si interessa, direi che ciò che noi andiamo dicendo si inserisce perfettamente nel discorso scientifico, anche se forse, sarebbe meglio dire più giustamente che ciò che dice la scienza umana si incastra e collima con ciò che noi andiamo insegnando da più tempo.
L’apparente contrasto, l’apparente dicotomia che si può ravvisare tra le due concezioni consta soltanto nel fatto che la scienza si ferma ad osservare, ad esempio, la costituzione dell’individuo pensando che tutto ciò che costituisce l’individuo avvenga attraverso ferree leggi la cui causa principale è una causa fisica.
In realtà ciò che costituisce l’individuo è sì creato da leggi ben precise e non casuali, tuttavia la causa non nasce dal piano fisico bensì dagli altri piani di esistenza.
Per quello che riguarda la costituzione del corpo fisico, la causa principale viene dal corpo akasico dell’individuo: infatti è il corpo akasico che invia gli impulsi verso la famiglia in cui l’individuo deve nascere, che fa sì che determinati fattori genetici combacino, affinché l’individuo che deve nascere abbia quel determinato corpo e non un altro; è il corpo akasico con i suoi bisogni di nuova comprensione che condiziona la scelta dell’ambiente più adatto alle esigenze evolutive all’individuo che deve nascere. Scifo

 

Lo stato di coscienza

Per evoluzione della coscienza, o meglio dell’autocoscienza, si intende il cammino che l’individualità compie nell’ambito delle incarnazioni umane per raggiungere il massimo sentire per quello che riguarda questa fase dell’evoluzione e quindi abbandonare – una volta raggiunto, appunto, il punto massimo – la ruota delle nascite e delle morti.
In passato, abbiamo definito Il sentire come uno stato di coscienza.
Va da sé – dopo aver dato questa definizione – che esistano vari gradi di stato di coscienza differenti. E va da sé ancora il fatto che si passi da uno stato di coscienza inferiore per giungere ad uno stato di coscienza superiore.
Il massimo grado di uno stato di coscienza più ampio, lo stato di coscienza Assoluto, ovviamente è Dio. Nel mondo della materia, nel mondo delle illusioni, questo stato di coscienza virtualmente si fraziona dando origine a molteplici stati di coscienza relativi.
Poiché lo scopo del nostro parlare è quello di completare il quadro riguardante l’argomento dell’evoluzione, limitiamoci per il momento a seguire la crescita del sentire parallelamente alla crescita dell’individuo, al suo passaggio, quindi, alle sue varie vite, alle sue evoluzioni.
E per rendere le cose più semplici, indichiamo zero lo stato di coscienza che ha l’individuo alla sua prima incarnazione umana, e indichiamo dieci lo stato di coscienza necessario per abbandonare la ruota delle nascite e delle morti.
A questo punto è logico (e mi sembra anche abbastanza chiaro) il fatto che l’evoluzione ad altro non serva che a favorire, ad aumentare di grado il proprio sentire, così come è chiaro che le incarnazioni servono a creare le esperienze, le situazioni per cui questo stato di sentire possa ingrandirsi. E fin qua è tutto semplice e abbastanza evidente.
Le cose, invece, cominciano a complicarsi quando si fanno affermazioni come quella che sto per fare: noi vi abbiamo parlato della comunione degli esseri, vi abbiamo detto che ad un certo punto dell’evoluzione gli individui si sentono tutti fratelli, si sentono uniti, in comunione con tutti gli altri. E vi abbiamo sempre detto che questo stato particolare si raggiunge quando il corpo akasico è totalmente strutturato, quando l’individuo, quindi, non ha più bisogno di incarnarsi nel mondo della materia per sperimentare.
Io vi dico che la comunione degli esseri esiste fin dal primo momento in cui l’individualità si incarna nella forma umana visto che ci limitiamo soltanto a questo momento particolare.
Questo perché, miei cari, esiste anche la comunione del sentire. Infatti, due esseri che abbiano la stessa evoluzione, che abbiano quindi raggiunto lo stesso grado di sentire, sono in armonia, sono in comunione tra di loro, si sentono, stanno bene insieme e via e via e via.
Ma facciamo ancora un esempio, anche perché vi è qualche cosa di più. Chi ha raggiunto un determinato stato di sentire non solo è in armonia con l’individuo che ha il suo stesso sentire, ma è in armonia anche con coloro che hanno un sentire inferiore al suo. Mi spiegherò meglio: se, ad esempio, il figlio E. avesse raggiunto un grado di sentire cinque, questo significherebbe che egli è in armonia con tutti gli individui che hanno raggiunto un grado di sentire cinque, con gli individui che hanno raggiunto un grado di sentire quattro, con quelli che hanno un grado tre, due, uno, zero. Tuttavia il figlio E. non si sentirebbe totalmente in armonia con un figlio che avesse raggiunto un grado di sentire sei, anche se l’individuo con un sentire di grado di sei si sentirebbe in armonia persino con lui.
Ma c è ancora di più.
E logico che per raggiungere un determinato grado di sentire – supponiamo sempre il cinque – si debba passare attraverso un determinato numero di esperienze; e mettiamo, per ipotesi, che per raggiungere questo determinato grado di sentire si debba passare attraverso il comprendere che non si deve uccidere, uno dei principi morali fondamentali.
Ora, può accadere che due individui arrivino ad un sentire cinque imparando questo principio morale del non uccidere attraverso a esperienze diverse.
Facciamo ancora un esempio: può accadere che Tizio arrivi al grado di sentire cinque passando attraverso a una serie di incarnazioni in cui, per esperienza, per imparare questo principio morale, si trovi costretto a dover uccidere degli individui magari a lui estranei, affettivamente estranei, mentre l’individuo Caio, arriva allo stesso sentire passando attraverso a delle incarnazioni in cui si trova costretto – per ragioni evolutive – a dover uccidere, che so, un padre, una madre, un figlio, una persona, comunque, verso la quale prova un particolare sentimento.
Ora, mi pare abbastanza evidente che vi sia una certa differenza tra le due esperienze, anche se il concetto basilare può essere compreso allo stesso modo. Quando questi due individui avranno entrambi sentire cinque, potrà accadere che l’individuo Tizio, potrà far sua l esperienza dell’individuo Caio e non sarà quindi più a lui necessario passare attraverso l esperienza di uccidere una persona cara, perché vibrando ed essendo in armonia con il sentire dell’individuo Caio, trarrà da lui tutta l esperienza, tutte le sfaccettature di questa piccola differenza di concetto. Questo significa che quando noi vi diciamo che non è strettamente necessario passare attraverso l esperienza diretta, diciamo qualcosa di vero: significa che una volta acquisito il principio morale di base, tutte le sfaccettature, tutte le sfumature, di questo stesso concetto possono essere acquisite attraverso un esperienza indiretta come è stato nell’esempio che vi ho appena fatto.
Quando, poi, si raggiunge il sentire più alto, quello che abbiamo definito all’inizio con il numero dieci, allora l’individuo è in armonia con tutti gli esseri, e non solo con gli esseri che esistono contemporaneamente a lui, ma con tutti coloro che sono esistiti e che esisteranno. Quindi per ritornare a Scifo e riallacciarsi ancora ai nostri cari amici atlantidei, vi posso dire che l’individuo che raggiunge il sentire dieci è in armonia con quelli che sono stati gli atlantidei oppure i lemuriani. Infatti, sebbene sia gli atlantidei che i lemuriani non siano più presenti nel mondo della materia, non abbiano quindi più una presenza fisica, essi sono vivi più che mai nell’individuo che ha raggiunto il massimo grado di sentire.
Non solo, vi dirò ancora di più: se, ad esempio, il nostro carissimo fratello Scifo, proprio come Scifo, quand’era incarnato come Scifo, quindi circa quarantamila anni fa, aveva raggiunto – facciamo per ipotesi – un sentire numero nove, egli può essere vivo, anzi egli è vivo – oggi come oggi – nell’ individuo che ha il suo stesso grado di sentire e non solo, se questo individuo fosse in grado, avesse la capacità di mettersi in contatto con questo sentire potrebbe trarre tutte le esperienze che Scifo ha avuto, esperienze che – ricordate – tra razza e razza sono differenti. E quindi, in questo modo, potrebbe rendere ancora più ampio, rendere ancora più perfetto, quello che egli ha raggiunto. Vito

Ragionando su quanto ha detto il fratello Vito poc’anzi, si può comprendere che vi sono alcune conclusioni da poter trarre da tutto il ragionamento riguardo al sentire.
Infatti, se è vero che il cammino evolutivo di ogni razza va avanti attraverso linee diverse da razza a razza è altrettanto vero che il punto di arrivo, il punto di sentire dieci, come è stato definito prima, è sempre lo stesso.
Questo sta a significare, logicamente, che la verità su cui si sta indagando attraverso il continuo incarnarsi, attraverso l’evoluzione della razza, è una verità comune a tutte le razze che si incarnano. E quella cioè che forma il substrato su cui ogni razza, pur attraverso cammini ed esperienze in qualche modo diversi, muove il proprio evolversi.
Un altro concetto derivante da quanto detto prima da Vito può essere il fatto che le verità acquisite da una razza, attraverso la comunione dei sentire, attraverso il contatto tra sentire simili tra razze diverse, può provocare determinate condizioni di flusso di cognizioni, di sensazioni, di scoperte da una razza all’altra. Ecco così che verità raggiunte – per esempio – dalla razza atlantidea possono essere recepite, incontrate e scoperte anche da individui appartenenti alla razza successiva.
Questo spiega in parte ciò che dicevo una volta, ovvero il fatto che osservando i concetti esoterici, i simboli magici e via e via e via, che appartengono alla razza attuale, si possono trovare delle analogie con il linguaggio atlantideo di cui abbiamo parlato tempo fa. E questo (ora dopo i discorsi fatti si può comprendere meglio) avviene non soltanto perché vi è stata una certa fascia temporale di contemporaneità tra razza atlantidea e razza attuale, ma anche perché elementi di coscienza, di comprensione ottenuti dalla razza atlantidea, sono stati recepiti da particolari individui che hanno raggiunto lo stesso stato di coscienza. Scifo

 

La coscienza di esistere e di essere

 Non dovete mai pensare di essere un centro staccato dagli altri centri che, con voi, sperimentano e sono.
Io sono un centro di coscienza, certamente sì, ma i limiti della mia coscienza, i suoi confini non sono così definiti come io posso pensare. Ciò che stabilisce questi confini, questi limiti è rappresentato soltanto dal mio egoismo, in quanto questo centro di coscienza che io adesso rappresento, è soltanto parte di un Tutto che comprende questo centro mio attuale e gli altri che verranno.
L’evoluzione del sentirsi di essere, di esistere è soltanto l illusorietà di un momento di passaggio, passaggio che non esiste soltanto su quel piano che noi chiamiamo materia fisica, ma che è concatenato strettamente con quelle altre sfaccettature di voi stessi che voi conoscete come piano astrale, piano mentale e piano akasico.
I legami che collegano il vostro essere fisico al vostro essere astrale, mentale e poi anche akasico sono talmente stretti che, se così non fosse, non vi sentireste responsabili e comunque vivi nel mondo della materia che vi accompagna nella vostra esperienza. Ciò che voi vedete, fate, recepite, sentite, seguite è soltanto una commistione di impulsi che vi provengono dai quattro piani che costituiscono la parte fondamentale della vostra rappresentazione. Baba

Quindi, per poter veramente comprendere la vostra realtà, per poter veramente comprendere ciò che voi siete, per poter veramente comprendere le nostre parole, è necessario riuscire prima di tutto a comprendere (e non soltanto con la vostra mente, con i vostri pensieri, con i vostri ragionamenti, con la vostra logica, ma con tutti voi stessi), che non siete una parte staccata da tutto il resto.
Quante volte, quante volte nel corso delle vostre vite, vi è capitato di sentirvi uniti a qualcuno o a qualcosa?
Quand’eravate appena nati la vostra coscienza di esistere era ancora limitata alle piccole percezioni sensoriali che avevate, ai momenti di fame, alle carezze che ricevevate, ai suoni, all’alternarsi della luce e del buio, del sonno e della veglia: già allora sentivate, senza quasi rendervene conto, che eravate parte, per lo meno, di una persona che vi prendeva tra le braccia, vi cullava, soddisfaceva i vostri bisogni, e vi dava in qualche modo piacere, abbandonandovi ad essa fiduciosamente, pronti a ricevere e a prendere.
Col passare del tempo, col passare delle esperienze all’interno del piano fisico, col passare dei momenti belli e brutti che ognuno di voi ha vissuto, quante volte vi è capitato di sentirvi un tutto unico non soltanto con altre persone, ma addirittura con degli ambienti, con degli oggetti, magari a voi cari, e tali che suscitavano in voi il desiderio di averli sempre con voi, quasi come se fossero una parte di voi di cui non potete fare a meno?
E quante volte, vi abbiamo visti, figli, nel corso delle vostre vite, innamorarvi; e quante volte, avete pensato, avete detto di non poter fare a meno di un altra persona, e di sentire quell’altra persona come una parte di voi stessi? Spesso, queste parole, erano soltanto un illusione, spesso erano più un volerlo credere, che una realtà dei fatti.
Ciò che avete avvertito è la sensazione di appartenere a tutto ciò che vi circonda che cerca di affiorare in voi, e che cerca di farvi sentire in comunione, partecipi quanto meno di un altra persona e del suo affetto. E quelli, poi, che nel corso della loro esistenza hanno avuto dei figli, sempre hanno avuto l’attimo in cui si sono sentiti, come genitori, un tutt’uno con i propri figli, e questo al di là della riconoscenza o meno dei figli, al di là dell’egoismo che così spesso i giovani manifestano.
E ancora una volta, ripeto, anche questi legami, così forti, così stretti, così duraturi a volte, sono un manifestarsi di ciò che la vostra più intima coscienza sa già, ovvero che voi non siete una parte staccata dalla realtà e dal Tutto, ma che – in realtà – fili invisibili, che non si possono spezzare, vi uniscono con tutto ciò che vi circonda, dagli animali agli oggetti, alle persone, all’Assoluto stesso.
Scopo dell’evoluzione, tra le altre cose, è anche quello di ritrovare questo senso perduto di appartenere al Tutto, e di essere un tutt’uno con gli altri. Questo è, in realtà, ciò che noi vogliamo dire quando parliamo di amare gli altri come voi stessi e di sentire tutti gli altri come fratelli. Moti

 

Il sentire

In questi anni di incontri serrati, creature, vi siete, di volta in volta, lasciati catturare dai nuovi concetti che vi abbiamo presentato e che, per qualche motivo a voi interiore (che so, forse un bisogno di sentirvi importanti perché trattavate grandi temi o perché al corrente di insegnamenti non sempre alla portata di tutti… ) segnavano nel vostro partecipare alle riunioni una sorta di succedersi di fasi, ora esaltanti, ora deprimenti seguendo la vostra facilità o difficoltà di comprendere i concetti e di teorizzare su di essi.
Ecco così la fase del karma, affascinante concetto che permette al povero di trovare una giustificazione alla sua miseria, al sofferente di trovare un perché alla sua sofferenza, al tormentato di scorgere una consolazione ai suoi tormenti e via e via e via.
Ecco i piani di esistenza con quelle meraviglie che essi sembrano portare in sé, tanto simili a favole magiche: chi sta al loro interno sembra poter esaudire ogni desiderio più recondito, ogni speranza più disattesa sul piano fisico, ogni curiosità inappagata, ogni conoscenza mai svelata, rendendoli ai vostri occhi un analogo del Paese delle meraviglie in cui voi, Alici desiderose di essere stupefatte, potevate sognare di arrivare, prima o poi, ad immergervi.
Il concetto di intenzione vi ha poi spalancato la strada verso una nuova fase trovandovi pronti (nella vostra conclamata ansia di conoscere voi stessi più profondamente) a scavare nelle intenzioni degli altri e, qualche rara volta e con brevissime puntate, persino (audacemente, secondo voi!) nelle vostre intenzioni, lottando con tutto il vostro coraggio contro voi stessi riuscendo, alla fin fine, a scalfire solamente la superficie della vostra intenzionalità, quella scomoda ma accettabile, quella non nascosta ma solo velata, in modo da far vedere a voi stessi e agli altri che avevate l audacia e la forza di rivelarvi agli occhi vostri e altrui.
Si sono poi succedute altre fasi. La fase della vibrazione, accettata e discussa con scioltezza forse perché, apparentemente, innocua.
La fase del condizionamento, affrontata con gioia, almeno all’inizio, in quanto vi dava la possibilità di scaricare all’esterno la responsabilità di ciò che siete, che dite e che fate… fino a fermarvi di colpo allorché capivate che la responsabilità continuava ad essere, sempre e comunque, la vostra, dal momento che per poter essere condizionati si deve permettere che ciò che è esterno esplichi la sua attività condizionatrice.
Siete, poi, inciampati nella fase della libertà e del libero arbitrio, perdendovi in essa ed uscendone frastornati, incapaci di svincolarvi da tutti i preconcetti, le frasi fatte, i luoghi comuni, le morali, le concezioni, le ideologie che avevate immagazzinato nel corso della vostra vita (e, se è per questo, anche nel corso delle vite precedenti), e che, se, da un lato vi facevano dei fautori convinti dell’esistenza di un libero arbitrio individuale, dall’altro, sotto sotto, cozzavano contro il pensiero, sepolto nel vostro Io più nascosto, che se il libero arbitrio non esisteva voi non avevate (ancora una volta!) colpe, né tanto meno responsabilità per ciò che siete, ciò che dite, ciò che fate.
Non c è mai stata, invece, creature mie, una fase del sentire.
Certo, sul sentire avete discusso, anche se non molto, tuttavia ciò non ha lasciato in voi grandi conseguenze. Come mai? Forse perché del sentire avevate già letto in altri luoghi? Forse per presunzione ritenendolo un concetto facile da comprendere? Forse perché non vi dava la possibilità di giustificarvi, di depenalizzarvi, di concettualizzare, di teorizzare o anche, soltanto, di sognare?
Eppure il sentire è, per voi che dovete superare la famosa ruota delle nascite e delle morti, un concetto basilare, unico, necessario e insostituibile, senza il quale tutti gli altri concetti finiscono con il perdere ogni forza ed ogni valore!
Come dite, creature? Ah: affermate di averlo compreso, questo sentire? Di averlo assimilato e di aver trovato che non vi è poi molto da capire su di esso? Come mai, allora, accade che quando un ospite vi chiede delle spiegazioni in merito non siete quasi mai in grado di darne una accettabile e, cosa ancora più rara, comprensibile?
Il fatto è che non avete compreso che superficialmente ciò che è il sentire, e qual è la sua essenziale, insostituibile funzione.
Ma immaginiamo, per un momento, quasi per gioco, di renderlo una cosa viva e di potergli chiedere direttamente di parlarci di sé.
Ecco, forse, ciò che egli ci direbbe:

Io sono una creatura di Dio, come voi.
Come voi non nasco perfetto
e in grado di muovermi con sicurezza nelle regioni in cui vivo.
Nasco bambino con tutte le mie incomprensioni,
come un bimbo penso di aver capito e mi comporto di conseguenza
ma basta una piccola azione sbagliata per farmi rendere conto
che ciò che avevo capito era solo frainteso e non era giusto.
Ad ogni esperienza rinasco a me stesso più ampio, più consapevole, più vero,
ad ogni esperienza abbraccio una nuova parte di me stesso e, in questo modo,
una nuova parte della Realtà di cui anche io, come voi,
faccio parte via via più consapevole.
So quale sia il mio destino: abbracciare per intero me stesso
e verso questo fine sono attratto e spinto da qualcosa che è vivo al di sopra di me
ma che, nel contempo, 
mi permea e indirizza tutto me stesso.
Io cerco di afferrare questa entità che, senza capirne il perché,
amo di un amore intrinseco a me, 
ma così forte da muovere ogni mia azione
alla ricerca di espandere me stesso 
nella speranza di arrivare a fondermi,
finalmente, con l’oggetto del mio amore.
Non piango se sbaglio,
non mi abbatto se fallisco,
non mi sento frustrato se non riesco,
non mi vergogno se non capisco,
non mi adiro se non trovo subito la soluzione
ma sono sempre pronto a rinnovare me stesso,
a trarre frutti dai miei sbagli,
a rendere utili i miei fallimenti,
a lottare contro ciò che mi frustra,
a cercare di comprendere ciò che sembra sfuggirmi,
a provare mille soluzioni diverse
fino a quando non troverò quella giusta.
E so che solo allorché sarò pienamente maturo
e tutto il mio essere sarà fuso in un equilibrata e funzionale entità
io troverò la gioia di unirmi con quell’Amore sconosciuto ma potente,
dolce ma tiranno,
forte ma delicato,
costante ma immenso,
che in continuazione mi chiama a Sé
e che costituisce il vero perché della mia esistenza.

Creature, serenità a voi.
Scifo

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume terzo, parte seconda, Edizione privata

Indice del Dizionario del Cerchio Ifior

 

 

Meditazioni quotidiane 4.2

 

 


Se vedi un tuo fratello che sbaglia
aiutalo a non sbagliare più offrendogli il tuo amore,
e se il tuo amore verrà rifiutato
non accada mai che tu lo getti via,
ma conservalo dentro di te nella speranza
che chi l’ha rifiutato oggi
sia capace domani di richiedertelo.
Moti


 

 


Siate come la terra,
umili come la terra che si lascia continuamente calpestare
dai piedi
degli uomini eppure, continuamente,
offre loro erbe, frutti, e tutto ciò che può loro offrire,
senza rifiutarsi di dare quello che può

solo perché viene umiliata dai piedi
e dalle azioni dell’umanità intera.
Moti


 

 


Qual è la via dell’umiltà, figlio che compi la tua ricerca?
Se un tuo fratello ride di te non ti offendere,
ma guarda te stesso e il tuo modo d’essere:
senza dubbio troverai un motivo valido per unirti alla sua risata.
Se un tuo fratello dimostra freddezza nei tuoi confronti
non ti stupire di questo, ma cerca invece in te il motivo
per cui susciti in lui
indifferenza invece che amore.
Se un tuo fratello ti giudica stupido non risentirti:
se ti osserverai attentamente troverai di certo qualche tuo atto
che tu stesso definiresti stupido.
Se un tuo fratello ti ritiene ignorante non inalberarti,
perché sai benissimo che per ogni cosa che conosci
ve ne sono almeno altre mille di cui non sai assolutamente nulla.
Se un tuo fratello piange per te non deriderlo, non compatirlo,
non soffrire assieme a lui,
ma cerca invece di mutare in te quel qualcosa che gli permette
di attribuire a te l’origine di
lacrime che sono solamente sue.
Fa tutto questo sinceramente, fratello,
riesci a fare tutto questo sentitamente, sorella,
e non avrai più necessità di fare sforzi per essere umile,
e avrai trovato, finalmente, la strada dell’umiltà.
Viola


 

 


Tu che hai lignaggio elevato, blasone e onori, va’ in umiltà.
Tu che hai il tuo sapere come solo patrimonio personale, va’ in umiltà.
Tu che possiedi beni terreni e ori e ricchezze, va’ in umiltà.
Tu che hai un nome insigne all’interno degli uomini insigni, va’ in umiltà.
Tu che hai una mano magica che ritrae l’immaginazione e dipinge la realtà,
va’ in umiltà.
Tu che hai il dono della fantasia che ti fa creare fatti e idee dal tuo intimo,
va’ in umiltà.
Tu che hai capacità arcane e possibilità rare, va’ in umiltà.
Tu che hai in te la fede profonda raggiunta con la tua mente, va’ in umiltà,
perché tutto quello che hai, che conosci, che crei, che credi, che trovi in te,
non ti appartiene più di quanto ti appartenga il corpo che ti riveste,
più di quanto ti appartengano le parole che usi,
gli onori che ti vengono tributati,
le immagini che riproduci o interpreti,
l’occulto che sfiori e il Dio in cui credi.
Va’ in umiltà, perché tu sei l’uomo e sei lo spirito,
sei il naturale e il sovrannaturale,
ma tutto ciò che sei non è tuo:
è un dono dell’Altissimo che ti concede di essere ciò che sei
e di disporne come meglio credi;
e il modo migliore in cui puoi disporne
è quello di farlo con una profonda, sincera umiltà.
Moti


 

 


Figlio mio, è il momento di cambiare qualcosa,
è il momento di imparare a camminare
veramente senza più essere tenuto per mano,
è il momento del ripensamento, della riflessione,
della meditazione per comprendere che tu non sei qua
per godere delle cose della materia,
per godere degli ori, dei brillanti,
degli oggetti più o meno belli che la mente umana ha creato,
ma è il momento per incominciare a credere che c’è qualcosa di più
che giace al tuo interno, qualcosa che ti unisce, inevitabilmente,
a tutti gli altri, anche a quelli meno simpatici,
anche a quei figli che, in cuor tuo, eviteresti di incontrare,
anche a quei fratelli a cui, spesso e volentieri,
per una ragione sciocca e banale, volti le spalle.
E’ il momento di comprendere che ciò che ti circonda
è fatto anche per te e se, magari,
io ti ho fatto perdere
momentaneamente un affetto caro,
ti sto dimostrando che quel fiore,
quella stella, unica che brilla in cielo, è tua,
così come essa appartiene a tutti gli altri tuoi fratelli.
E’ il momento in cui, figlio mio, devi cercare di sforzarti di capire
che soltanto sorridendo agli altri,
che soltanto essendo disponibile nei confronti di tutti gli altri
riuscirai veramente a scavalcare, a superare la sofferenza,
anche quando questa sofferenza porta il nome «morte».
Viola


 

 


Pace a te, figlio, pace a te, figlio e fratello,
benvenuto, figlio mio amatissimo, benvenuto tra noi!
Io ero qui ad aspettarti,
ero qui che ti tendevo le braccia per accoglierti sul mio seno,
per farti sentire quell’affetto da cui così spesso,
nel mondo fisico, fuggivi,
quell’affetto che i tuoi sensi limitati, il tuo correre affannoso,
il tuo egoismo, ti impedivano di fermarti ad ascoltare.
Figlio mio, fratello mio, amico mio, compagno, sono qui per te,
abbandona quell’aria smarrita, staccati da quel corpo che ormai, per te,
non ha più alcun significato,
accetta con gioia, con felicità, il fatto 
che la morte del tuo corpo fisico
vuole ancora dire vita, che non sei morto, ma sopravvivi.
Sopravvivere, figlio mio, al di là di quella che è la materia fisica,
ritrovarti in un mondo meraviglioso, sconosciuto, diverso,
ma altrettanto bello e intenso di quello che hai appena lasciato:
qua tu ritrovi accanto a me il paradiso perduto,
tutto ciò che puoi desiderare e volere adesso potrà essere tuo,
fino a quando non sarai sazio dei tuoi desideri, delle tue passioni,
e allora un’altra terra sconosciuta, figlio mio, ti attenderà,
ed anche su quella sponda io sarò con gli altri ad attenderti
per prenderti per mano.
Figlio mio, quando io riuscivo a farmi ascoltare da te
ti dicevo che la morte non esiste,
ti dicevo che quella che tu consideravi essere la vita
in realtà era solo una piccola porzione della verità,
ti dicevo che tu non credevi, 
non riuscivi a credere veramente
nella mia esistenza e che avresti potuto credere
veramente
soltanto allorché tu mi avessi
raggiunto.
Figlio mio, ora mi sei accanto,
ora puoi comprendere che ciò che ti dicevo era la verità,
ora puoi comprendere che, quando io ti parlavo rassicurandoti sul mio amore,
non pronunciavo soltanto parole dette per il gusto di illuderti.
Sono qui, figlio mio, per aiutarti a vivere ancora, e ancora,
e ancora
esperienze sconosciute, diverse, inaspettate, indescrivibili,
inesprimibili, travolgenti, dolcissime, perché anche qui,
in questa lunga vita che ti attende, nulla avviene per caso.
Anche qui, come nella Terra che hai appena abbandonato e che ancora,
con rimpianto, 
pensi sia la tua patria, la tua dimora,
anche qui, figlio mio amatissimo, tutto ciò che ti
accadrà sarà ancora,
sempre e soltanto, per
il tuo vero bene.
Figlio mio, dammi ora la tua mano e seguimi nella terra dei sogni:
io ti accompagnerò lungo il tuo sopravvivere.
Moti


 

 


Io vorrei vedere le mie creature felici,
io vorrei che i miei figli avessero, nel corso delle loro esistenze,
attimi di vera unione con me e vorrei che riuscissero a sentire
veramente la mia presenza.
Io vorrei che fossero liberi,
liberi da ogni
costrizione che loro stessi si creano,
liberi
dal dolore nel quale molto spesso tendono a crogiolarsi,
a giocare con un senso quasi masochistico e sadico che crea,
per se stessi e per gli altri, nuova sofferenza.
Io vorrei vederli liberi e sicuri nel loro camminare
perché io non dimentico nessuno,
e anche se la mia voce non sempre giunge,
io vorrei che i miei figli avessero la certezza
che io sono sempre accanto a loro, anzi, sono dentro di loro,
e quindi è chiaramente impossibile il poterli abbandonare.
Io vorrei che le mie creature diventassero degli uomini maturi,
riuscissero a camminare con la testa alta,
riuscissero a non soffrire per delle piccole cose,
riuscissero a minimizzare gli avvenimenti della vita
nell’esistenza che conducono.
Io vorrei vederli sempre sorridenti
e andare incontro alla vita con la certezza di poter fare tanto
per poter dare aiuto a tutti gli altri fratelli,
ricordandosi del’amore con cui li amo,
ricordando che sono completamente uguali, identici,
per nulla differenti dai loro fratelli
e che non si può dunque attuare una selezione,
non si può scegliere il migliore o dire qual è il peggiore,
perché non vi può essere comparazione,
in quanto le mie creature sono veramente tutte uguali
poiché io sono dentro di loro.
Io vorrei ancora, e chissà quanto tempo ancora aspetterò,
udire le mie creature non più
alla ricerca di futili cose
che scompaiono
assieme alla scomparsa del corpo fisico,
ma vorrei vederli alla ricerca di qualcosa di diverso
che li aiutasse ancora a crescere.
Io vorrei vedere le mie creature tenersi per mano
e insieme andare incontro al domani
con la certezza di avermi dentro di loro.
Michel


 

 


E quando avrai compreso che le parole che io mando a te
non devono restare soltanto delle semplici parole.

E quando avrai compreso che nelle parole che io mando a te
non v’è soltanto un significato, ma migliaia di significati
che tu potrai scoprire.

Quando avrai compreso tutto questo, figlio mio amatissimo,
potrai finalmente alzare gli occhi e cercarmi,
e potrai pure star certo che allora mi troverai!
Florian


 

 


E io sarò Maestro per te, figlio mio.
Tu mi starai accanto ed io ti starò accanto,
tu desidererai ed io vedrò i tuoi desideri,
tu amerai e io gioirò del tuo amore,
tu soffrirai e io cercherò di lenire la tua sofferenza
allorquando mi sarà possibile farlo,
tu chiederai ed io – se potrò – ti darò,
tu pretenderai ed io – se potrò – ti darò,
tu implorerai, ed io – se potrò – ti darò,
tu ti aspetterai da me sempre dolcezza e amore
e io – se potrò – dolcezza e amore ti darò,
ma non aspettarti ciò che io non posso darti, figlio.
Se io sono qua per esserti Maestro,
e tu sei qua per essermi discepolo, spesso inconsapevole,
non attenderti che io risolva i tuoi
affanni,
poiché, se così facessi, non sarei un buon Maestro.
Non attenderti che io ti indichi una sola direzione in cui andare,
perché altrimenti 
costringerei la tua strada in una sola via
mentre tu hai il diritto di vedere davanti a te spiegarsi l’intera realtà.
Non aspettarti che io sorrida sempre:
il sorriso può essere utile e bello quando, dentro di te,
a sua volta splende un sorriso;
ma nel momento in cui tu il tuo sorriso lo tieni nascosto
e stretto in un pugno, 
in quel momento io, come Maestro,
non potrò far altro che mostrarti a mia volta il pugno,
affinché tu impari dalla mia mano 
come le mani si possono
e si debbono aprire.
Non aspettarti che io ti possa dire sempre la verità completa, totale,
in quanto la verità completa e totale la potrai raggiungere soltanto allorché
sarai pronto ad accettarla, 
altrimenti ne faresti un cattivo uso.
Non aspettarti che altri credano in me
soltanto perché tu magari in me hai fiducia;
se io sono tuo Maestro questo non significa che altri debbano accettarmi
come loro
Maestro.
Non aspettarti che io faccia per te cose meravigliose:
la cosa più meravigliosa che io posso farti è quella di insegnarti
ad affrontare la vita, ad accettarla, a viverla e a portare avanti il tuo cammino
accorgendoti che non esisti tu solo, ma che vivi e fai esperienza
insieme a tanti fratelli come te.
Non aspettarti che io ti porti al cospetto dell’Assoluto:
soltanto tu, figlio mio, soltanto tu puoi incamminarti lungo quella strada
e percorrere quel cammino.
Non aspettarti, insomma, da me nulla di ciò che non ti aspetteresti
da chiunque altro.
Se è vero che la mia evoluzione è maggiore della tua
(e non può essere altrimenti, se no io non potrei esserti Maestro)
tu non puoi veramente comprendermi,
tu non puoi sapere il perché del mio comportamento,
tu non puoi capire perché, magari, quando ti aspetti dolcezza
io ti porgo indifferenza,
quando tu ti aspetti ira io ti do affetto.
Il fatto è, figlio mio, che mentre tu non sai,
non sai ancora ciò di cui hai veramente bisogno,
i tuoi bisogni sono per me, dal momento in cui sono tuo Maestro,
la cosa più importante che nell’universo possa esistere,
la cosa intorno alla quale ruota tutta la Realtà che ci vede uniti, io e te,
in questa danza dolcissima che cerca di portarci verso il compimento della tua opera,
piccolo tassello di quel mosaico che l’Assoluto ha dipinto nell’Eternità.
Moti


 

 


E poi, e poi, e poi, figlio mio, se tu la felicità, la vera felicità,
non riesci ancora a sentirla,
a raggiungerla, cosa fare allora,
cosa fare per non essere infelice, ché l’infelicità quella sì, ahimè
così spesso tu prendi tra le mani e te 
la tieni a fianco!?
Cerca di fare, figlio, ciò che cosi difficilmente fai:
cerca di osservare i tuoi momenti di felicità transitoria
e di farli diventare preziosi,
cerca di capitalizzarli dentro di te e di farli diventare dei semi
dai quali farne sbocciare molti altri,
cerca di non dimenticarti di questi semi che in gran quantità
l’esistenza invece ti regala,
cerca di tenerli dentro di te e di far sì che essi si uniscano, alla fine,
in un concerto meraviglioso che soltanto tu, con la tua sensibilità,
ma più che altro con la tua comprensione,
puoi veramente riuscire a dirigere.
La pace sia con tutti voi, figli.
Moti


 

 


Figlio mio, io ti ho posto sul mondo,
affinché tu potessi andare incontro a te stesso,
e nell’andare incontro a te stesso muoverti
verso di me.
Ma tu, distratto dalle lusinghe della vita,
cerchi di percorrere strade sulle quali trovi ostacoli
contro i quali finisci col cozzare
andando incontro alla sofferenza,
e allora quando ti ritrovi di fronte alla sofferenza,
in quel momento ti ricordi di me, chiedi il mio aiuto,
chiedi che io in qualche modo
intervenga per far sì che tu riesca
a cambiare la qualità della tua vita.
Ma io non posso farlo, figlio mio,
non posso farlo più di quanto già lo abbia fatto nel momento in cui
ti ho posto sulla strada quell’ostacolo che ti ha procurato sofferenza;
ed è perché ti amo, come pochi padri riescono ad amare i propri figli,
che ho disseminato tutte le tue strade di ostacoli.
Non è stato per fermare il tuo cammino,
per rendere più difficile il tuo procedere,
ma è stato affinché ogni ostacolo ti facesse comprendere
che tu hai la forza di superare qualsiasi cosa,
ti facesse comprendere che non
esiste un dolore così grande
che non possa essere da te trasformato in qualcosa di positivo
per te stesso e per gli altri,
ti facesse comprendere che, se tu vuoi veramente raggiungermi,
niente e nessuno riuscirà mai a
fermare il tuo cammino.
La pace sia con, te figlio mio, con amore.
Moti


 

 


Figlio mio che insegui la Verità,
scolpisci nel tuo cuore queste parole
affinché essa non ti sfugga tra le dita,
inafferrabile come l’acqua del mare o il soffio del vento:
sia la tua vista sempre acuta e attenta,
mai abbagliata dal lampo o distratta dal tuono;
sia il tuo desiderio sempre giusto
affinché ti sia da sprone e non da catena;
sia la tua mente sempre pronta
a cogliere la differenza tra il lupo e il cane;
sia la tua anima sempre disposta
a trasformare se stessa nell’assaporare la vita.
Sarà così che non dovrai più rincorrere la Verità
ma sarà la Verità stessa a venirti incontro.
Baba


 

 


Non è la tua capacità di produrre meraviglie che ti rende grande,
non è la tua capacità di stupire che ti rende importante,
non è la tua capacità di essere portavoce della Verità che ti rende unico.
La tua grandezza, la tua importanza, la tua unicità, figlio nostro,
risiedono nella tua capacità di saper uscire indenne dal giardino degli incanti
mantenendo intatto il tuo senso della realtà,
preservando il tuo saper donare compassione e partecipazione agli altri,
conservando la tua umanità come un dono prezioso da offrire agli altri.
Baba


 

 


Tu, creatura, chi sei?
Tu sei ciò che dai agli altri.
Tu sei la compassione che sai donare a chi sta soffrendo.
Tu sei la dolcezza che trasmetti a chi è amareggiato.
Tu sei il sorriso che porgi a chi è infelice.
Tu sei tutto quello che di te agli altri arriva.
Tu sei.
Tu, da solo, non sei nulla, creatura.
Tu sei.
Tu sei gli altri, oltre che te stesso.
Tu sei.
Tu sei in me, figlio mio.
Tu Sei.
Scifo


 

 


Ti amo per le tue paure.
Ti amo, figlio mio, per il tuo pianto egoistico.
Ti amo perché sei un iceberg.
Ti amo perché stai piangendo, figlia mia.
Ti amo anche quando ti vedo incapace nel prendere
delle decisioni importanti per te e per chi ti sta accanto.
Ti amo quando vedo che soffri e sembri fare della sofferenza
l’unica ragione della tua vita.
Ti amo quando ti vedo vacillare sotto le sferzate della vita
e non riesci a trovare in te la forza per fronteggiarle
pur sapendo di possedere questa forza.
A
mo le tue difficoltà, amo quando ti senti sola,
e vorrei farti capire che non lo sei, e vorrei poterti dire:
«Tu non sarai mai solo» così come mai solo sarà un qualsiasi individuo,
non solo chi ha scelto di percorrere un certo tipo di strada,
ma qualsiasi individuo in questa vita.
Ti amo quando non vuoi ascoltarmi.
Ti amo quando sei così ostinato da voler continuare
a perseverare nei tuoi errori.
È vero, i miei amici latini dicevano «repetita juvant»
ma non sempre gli errori portano a buone soluzioni,
soprattutto quando sono reiterati.
Ti amo quando mi rivolgi invece un pensiero d’affetto,
quando sei tranquillo e sereno con te stesso,
quando sembri aver compreso che
è inutile dibattersi
come un pesce all’amo perché la vita è così e va affrontata,
giorno dopo giorno, accettando quello che porta ma, soprattutto,
cercando di capire cosa può avere insegnato,
cosa può insegnare ciò che ha portato.
Ti amo quando ascolti e riascolti le mie parole
e le interpreti in tutte le maniere tranne in quella giusta.
Ti amo anche quando mi rivolgi un pensiero malizioso
e cerchi di interpretare magari una piccola frase
– da me o da altri fratelli detta – senza voler vedere il vero significato,
quando fai finta di non capire qual era l’indicazione che volevamo darti.
Ti amo quando ti rendi conto che più di una volta nelle nostre parole
ci sarebbero quelle indicazioni per rendere meno dolorose
e sofferenti le vostre decisioni, le vostre scelte.
Ti amo quando, insomma, non solo chiudi un occhio ma li chiudi tutti e due,
ci metti il prosciutto davanti, o quello che ti pare,
e proprio non vuoi osservare la realtà.
Ti amo sempre e comunque, figlio mio,
anche perché, in fondo, ogni volta che ti osservo
non faccio altro che rivedere ciò che sono stato prima di te.
Michel

Meditazioni quotidiane 4.1


Padre mio,
io vivo i miei giorni come un
cerbiatto pauroso del buio;
e nella notte mi avvio lungo le strade della mia città
ed in
ogni angolo buio credo di scorgere creature
che vogliono farmi soffrire, farmi del male.
Vado a lavorare: intorno a me mi sembra di vedere soltanto
persone pronte ad approfittare di ogni mio errore,
di ogni mia debolezza, pronte a sopraffarmi
soltanto se mi distraggo
un attimo.
Mi guardo allo specchio e gli occhi che vedo così tante volte,
Padre mio, non mi sembrano neppure i miei occhi;
sembrano quelli di uno sconosciuto,
che dallo specchio mi guardano malevoli e che io non comprendo;
la loro luce mi sembra estranea;
ciò che cercano di dirmi, sembra volermi danneggiare.
E allora chiudo gli occhi, i miei occhi e non so se l’altra figura
davanti a me, invece, continua ad osservarmi con la stessa aria
maliziosa, maligna.
Quando riapro gli occhi, Padre mio,
mi sta ancora a guardare;
ed io non so più che cosa fare, dove fuggire, perché so che,
anche se mi allontano, domani, dopo domani, fra tre giorni,
fra un mese, fra un anno, per tutta la vita, prima o poi,
dallo specchio lo stesso viso mi guarderà;
ed in me nascerà ancora la stessa paura, la stessa disperazione,
lo stesso
dolore.
Padre mio, come posso sfuggire a tutto questo?
Anonimo

Figlio mio, non vi è molto da dire su ciò che tu mi chiedi.
Non chiudere gli occhi di fronte a quell’immagine;
non evitare di vivere la tua città,
perché se tutti gli uomini
le evitassero,
le città diventerebbero morte;
invece hanno bisogno di vita per vivere, per diventare sempre migliori.
Non sentirti in affanno allorché sei sul lavoro, perché tu,
la tua famiglia, la tua città, il tuo mondo, ha bisogno che proprio tu,
in prima persona, riesca ad essere un lavoratore coscienzioso,
riesca con l’esempio a dimostrare agli altri che si può vivere,
lavorare ed operare nella società senza essere in contrasto
con le regole morali interiori conosciute e condivise.
Non distogliere lo sguardo dallo specchio;
fissa i tuoi occhi in quegli occhi, che paiono malevoli;
cerca di penetrare in essi ed andare al di là di ciò che tu proietti
su quell’immagine;
cerca di essere consapevole che ciò che non vuoi vedere ti appartiene
e che soltanto tu puoi impedirgli di farti del male,
conoscendo, comprendendo, riuscendo ad eliminare
tutti i motivi di sofferenza.
Se riuscirai a farlo, se riuscirai a non essere più un cerbiatto
spaventato da te stesso,
senza dubbio riuscirai anche a lavorare con felicità, con gioia;
riuscirai anche a girare per le strade sorridendo a coloro che incontri;
riuscirai anche a trovare un sorriso allorché osservi te stesso allo specchio.
Non aspettarti che sia il mondo a cambiare per te;
devi essere tu, figlio mio, a cambiare per il mondo.
Moti



Padre mio,
basterebbe una Tua sola parola per farmi sentire meno solo,
meno abbandonato, più forte di fronte alle avversità, più unito a Te.
Anonimo

Figlio mio, pensi davvero che una mia parola
possa farti sentire meno solo, meno abbandonato,
più forte di fronte alle avversità, più unito a Me?
Ti ho già dato tutte le parole di cui avevi bisogno e,
se non ti sono bastate, come potrebbe ora, una mia nuova parola
riuscire
là dove le mie altre parole non sono riuscite?
Lo so che sei un uomo,
e che le tue richieste sono mosse dal tuo tentativo di ottenere,
facendoti umile e vittima ai tuoi stessi occhi,
qualcosa di più di quanto hai già avuto,
perché avverti la mia presunta mancanza come un diritto
che ti è stato tolto.
Ma io non posso che dirti ancora una volta che tu ti senti solo
perché non sai stare
veramente con te stesso,
che tu ti senti abbandonato perché non ti senti più il figlio prediletto,
che tu ti senti debole di fronte alle avversità perché non hai che te stesso
per affrontarle e risolverle,
che tu non ti senti del tutto unito a Me perché non credi davvero,
con tutto te stesso, alla mia esistenza.
Ti domandi se il tempo trascorso è stato buono,
chi può risponderti se non te stesso?
Io non posso che darti dei parametri con cui misurarti,
con cui confrontarti, ma sei tu il
solo che possa dare risposta
certa a ciò che chiedi.
Sarà stato un tempo buono:
se avrai trovato del tempo per osservare te stesso,
invece che posare il tuo sguardo,
sempre,
sulle lusinghe della vita materiale;
se avrai trovato del tempo da dedicare agli altri,
invece che addurre a tua scusante la mancanza di tempo per farlo;
se sarai riuscito, almeno qualche volta,
a fare dei tuoi sensi di colpa lo stimolo per modificare il tuo modo
di essere invece che farli diventare la fabbrica di altri sensi di
colpa,
sempre più opprimenti;
se avrai detto meno «ti voglio bene » ma avrai dimostrato di più
coi fatti la verità
dei tuoi sentimenti;
se avrai saputo prendere su te stesso la responsabilità dei tuoi errori
senza cercare
in continuazione il modo per attribuirla agli altri
o alle circostanze o alla vita in generale;
se non ti sarai sentito sopraffatto dalle nuove responsabilità
che l’esistenza ti ha proposto ma sarai riuscito a integrarle nella tua vita
assieme alle altre responsabilità che, comunque sia, sempre ti appartengono;
se avrai saputo essere un genitore attento e comprensivo,
dolce ma severo, aperto ma
disponibile,
pronto a correggere ma anche
ad ammettere i propri errori,
rendendo la
tua esperienza non un sentiero che i tuoi figli
dovranno percorrere per forza allo stesso tuo modo,
ma un’indicazione su come tu sei riuscito a tracciarlo per te stesso;
se avrai saputo essere un figlio indipendente ma affettuoso,
capace di partecipare ma anche di seguire la propria strada,
che ha saputo comunicare le proprie esigenze senza
dimenticarsi
o prevaricare quelle degli altri,
a cui non è stato necessario chiedere nel momento del bisogno
e il suo dare è stato spontaneo e sentito,
e la rinuncia non ha lasciato insormontabili rimpianti;
se non avrai fatto incaute promesse sull’onda dell’entusiasmo
per dimenticarle non appena l’entusiasmo si spegneva;
se avrai lavorato per il piacere di farlo e di sentirti utile;
se avrai trovato, anche nei momenti più difficili,
la capacità di trovare qualcosa di
positivo;
se nella malattia avrai saputo trovare lo stimolo
per guarire interiormente;
se di fronte alla morte non ti sarai sentito morire dentro;
se avrai fatto qualcosa per gli altri consapevole di non averlo fatto
per altruismo ma per un tuo bisogno personale che, combinazione,
corrispondeva alla necessità di qualcun altro;
se non avrai condotto oltre il lecito la tua vita sulla scia delle tue illusioni;
se le tue parole non saranno stati semplici fonemi emessi per apparire,
ma lo specchio del tuo sentire;
se le tue emozioni avranno fatto capire a chi ti ama ciò che provi
veramente e non riesci, magari, ad esprimere;
se i tuoi pensieri saranno stati tesi alla ricerca dei tuoi veri perché
più che alla ricerca della felicità, perché non esiste vera felicità se
non si è consapevoli di quello che davvero si desidera;
se, infine, avrai compreso fino in fondo almeno una piccola verità
su te stesso che non avevi mai sospettato.
Eliminando tutti quei «se »figlio mio,
non
avrai reso il tuo tempo più o meno buono ma, senza alcun dubbio,
lo avrai reso degno di essere vissuto.
Se così non è stato, figlio mio, adoperati – per amor tuo – nel far sì
che lo sia il tempo che hai davanti e che stai incominciando a vivere.
Che la pace sia con te e con tutti gli uomini.
I tuoi fratelli



C’è un tempo per vivere
e un tempo per morire,
c’è un tempo per gioire
e un tempo per piangere,
c’è un tempo per abbracciare
e un tempo per allontanare,
un tempo per stringere
e un tempo per lasciare,
c’è un tempo per tutto,
ma non lasciate che il tempo vi scivoli addosso
in modo tale che voi possiate poi dire
che il vostro tempo è stato vissuto invano.
Florian



Ma in definitiva, Padre mio, esisti o non esisti?
Quel Dio che a volte invoco dentro
di me,
specialmente nei momenti in cui più ho bisogno di aiuto,
ha una sua realtà, una sua esistenza o è soltanto
l’espressione di un mio bisogno,
la raffigurazione mentale di ciò che io vorrei?
Moti

Figlio mio, tu mi hai dato centinaia di nomi diversi,
tu mi hai attribuito la capacità e la possibilità di decidere
il bene o il male per intere nazioni facendomi un Dio degli eserciti,
tu mi hai ricoperto di oro e di offerte;
tu hai fatto di me un’immagine che occhieggia la realtà dell’umanità
incarnata da quadri, statue, palazzi marmorei, chiese, basiliche;
tu mi hai posto in tutti i posti dove io, in realtà, meno sono.
Certo che esisto, figlio mio,
ed esisto dentro di te perché io sono te, così come tu sei me
e mai potremo essere separati.
Scifo



Padre, Padre mio, mi rivolgo a Te
perché sono convinto che nessun altro, in questo momento,
possa fornirmi esauriente risposta ad una domanda
che non mi appartiene in modo particolare,
ma che appartiene ai miei fratelli che ancora peregrinano
nel mondo della materia.
Io li ho osservati e tuttora li osservo, e vedo, e sento nei loro cuori,
un malcelato timore
di una nuova guerra.
Io mi faccio partecipe di questo loro sentimento
e mi prendo il diritto di farmi loro portavoce.
Che significato può avere, Padre nostro, alle soglie del Duemila,
una guerra che porterebbe con sé soltanto distruzioni e morte?
Certo, si diceva una volta, la guerra è una lezione che gli uomini
non imparano mai
abbastanza e, forse, a quasi cinquantanni
da un conflitto particolarmente doloroso,
l’uomo può aver dimenticato quelle tragedie;
tuttavia la coscienza di ognuno di quei fratelli si ribella
all’idea di un nuovo conflitto.
Ti prego, Padre, Tu che permetti questi incontri,
che ci offri la possibilità di sentire,
in qualche modo, la Tua voce, dai una risposta,
affinché i timori si possano trasformare, ancora una volta,
come soltanto Tu sai fare, in serenità.
Viola

Figlio mio, la tua voce è giunta a me, assieme a quella di migliaia,
di milioni di altri figli, che in queste ore tormentate e tormentose
per tanti, si pongono angosciati lo stesso dilemma,
spaventati da uno spettro che si
ricordano o che hanno sentito raccontare
più e più volte e che, proprio per questo, temono.
Se io, figlio mio, dovessi rispondere a un altro dei miei figli,
la mia risposta, certamente, sarebbe diversa da quella che a te,
amatissimo figlio, posso dare.
Ma a te, mio caro, che hai seguito per mesi, per anni gli insegnamenti
che arrivano attraverso le barriere dei vari piani,
a te non posso far altro che ricordare ciò che questi insegnamenti ti hanno dato:
tutto ciò che accade, che è accaduto e che accadrà, accade sempre e soltanto
per fare il tuo bene;
anche le più immani tragedie, anche le più grandi catastrofi,
i più dolorosi dolori avvengono non per far soffrire, bensì per far crescere.
In realtà l’ultima grande guerra che ha sconvolto questo pianeta
e che viene tramandata come guerra mondiale,
molto meglio sarebbe se venisse tramandata come guerra personale,
in quanto essa è stata la guerra di ognuno degli individui
che hanno partecipato, con se stessi e con la propria coscienza.
Infatti, tu, figlio, che sai quanto il sentire di ogni individuo sia diverso dall’altro,
quanto la realtà che ogni individuo percepisce è diversa da quella che il suo fratello,
anche il più vicino, il più simile a lui, percepisce,
tu puoi comprendere quanto lo stesso avvenimento possa avere significato
e influenze diverse per persone diverse.
Ecco così che la traccia, apparentemente identica, che attraversa tutta l’umanità,
si scompone in migliaia di altre piccole tracce
che hanno in sé i germi di sentire diversi.
Lo so, tu vorresti, adesso, una risposta precisa:
un sì o un no, se gli avvenimenti che temi si verificheranno davvero
oppure se vi è una speranza che prima o poi, anche all’ultimo minuto,
prevalga quel buon senso, quel sentire, quell’amore che, vi è stato detto,
giace all’interno di ognuno di voi.
Ma non esiste, figlio mio, una risposta che sia un sì o un no a questa domanda,
in quanto, proprio in virtù di quanto tu sai, di quanto per molto tempo
è stato cercato di insegnarti, vi sarà un sì per una parte di umanità,
un no per un’altra parte perché vi sarà ancora chi avrà bisogno
di attraversare un conflitto,
ma vi sarà anche chi non avrà questo bisogno.
Questo è così difficile, figlio mio, da comprendere!
Certo, ti sento parlare spesso di quelle famose varianti
che ti sono state ipotizzate
e tu annaspi dentro di te per cercare
di comprendere con la tua mente, eppure è proprio in virtù
di questo frazionarsi della realtà
per adeguarsi al sentire dell’individualità
di ognuno di voi, che esiste una logica e un perché in tutto ciò che vi circonda.
Così, se tu dalla guerra avrai bisogno di comprendere
ciò che non riesci a comprendere ebbene tu, figlio, tu in prima persona,
vivrai una qualche guerra, mentre tu, figlio, che da una guerra non potrai trarre
nulla di nuovo per la tua coscienza, non attraverserai questa esperienza.
Non era questo che ti aspettavi da me,
figlio mio, ma come posso darti sempre ciò che vuoi?
A te mando in continuazione, principalmente, ciò di cui hai bisogno e tu,
figlio mio, hai bisogno di crescere, e crescere significa comprendere,
comprendere significa allargare il tuo sentire,
e allargare il tuo sentire significa unirti agli altri,
e unirti agli altri significa, alla fine, unirti a me.
Infinite sono le strade che portano a me
ed ognuna, nel corso della tua evoluzione,
tu la percorrerai.
Pace a te, figlio mio amatissimo.
Moti



Padre, Padre mio, io sto cercando risposte
e trovo solo domande.
Mi sono interrogato sulla vita e mi sono
chiesto: «Chi è che è vivo?»
Forse il mio corpo fisico è vivo?
Forse è vivo il mio Io?
Forse è viva la mia coscienza?
Forse, forse, forse.
E a forza di domande sono giunto alla conclusione
che solo Tu, Padre mio, sei vivo.
E io, Padre mio, mio amatissimo Padre,
io mi sono interrogato su me stesso, sulla realtà, su ciò che io sono,
su ciò che potrei essere, su ciò che sarò, su qual è la mia coscienza,
la parte conscia di me, se è il mio corpo fisico che è conscio,
se è il mio Io che è conscio, se lo è
la mia coscienza.
Se, se, se.
E alla fine – anche un po’ stanco – mi sono detto che in fondo
forse (anzi, senz’altro)
la risposta è che soltanto Tu, Padre mio,
sei cosciente.
Anonimo

Figlio carissimo, figlio mio carissimo,
sei ancora ben lontano dall’aver compreso!
Infatti, io non sono vivo,
io non sono cosciente:
semplicemente, figlio, Io Sono!
Scifo



Padre mio, al di là di ogni filosofia,
al di là di ogni parola, resta un unico fatto,
per me importante, primario, indimenticabile,
terrificante, esacerbante, inevitabile,
insopportabile: io sto soffrendo.
Mille e mille religioni nell’intero susseguirsi dei secoli
hanno agitato davanti a i miei occhi il miraggio di un Paradiso
dove la sofferenza non trova posto e il mio desiderio più grande
è quello di riuscire a raggiungerlo, ma è così difficile.
E’ così difficile, Padre mio, non soltanto penetrarvi
ma anche solo trovare la porta
per farlo,
e anche quando si è riusciti a individuare
quella che potrebbe essere la porta giusta,
riuscire ad aprirla appare un ostacolo insormontabile.
Aiutami, Padre mio, dammi le chiavi del Paradiso,
affinché io possa scrollarmi dalle spalle l’immane peso
della mia continua
sofferenza.
Baba

Figlio mio, il Paradiso non è là dove molti lo cercano:
esso non risiede nell’alto dei cieli,
né nelle grandi praterie e tanto meno su un monte
così alto da sfidare le nuvole.
Esso è così a portata di mano per chiunque voglia raggiungerlo
che sfugge all’attenzione del ricercatore
in quanto esso non è un dove né un quando,
ma è una condizione interiore 
che già esiste,
nascosta e non riconosciuta 
nel più riposto anfratto
dell’anima di ogni uomo.
Io ti ho dato ogni cosa per raggiungerlo
attraversando le molte porte che ostacolano il tuo faticoso procedere
e per ogni porta già ti ho dato la chiave:
la paura della morte sarà sconfitta dalla gioia di vivere,
il timore di guardarsi dentro sarà superato dall’audacia di scrutare se stessi,
l’egoismo dell’Io più incatenato sarà dissolto da un solo atto di vero altruismo,
l’avidità di possedere e possedere ancora sarà trasformata dal saper donare
metà di ciò che si possiede a chi non ha nulla,
il senso del potere verrà modificato dall’uso giusto che del potere può essere fatto,
la presunzione potrà essere sconfitta da ogni piccolo atto di umiltà,
l’odio potrà essere cancellato da un unico attimo di vero amore,
il rimpianto per ciò che si è perso potrà essere rimpiazzato
dalla consapevolezza di ciò che si ha avuto,
la tristezza potrà essere annullata da un sorriso fatto con vera partecipazione,
il dolore vedrà la sua sconfitta
non appena 
ne riconoscerai e accetterai la necessarietà.
Ogni porta ti è stata svelata, ogni chiave ti è stata data.
Devi solo trovare il coraggio di aprire ogni soglia e il Paradiso sarà tuo.
Per sempre.
Ananda



Figlio mio, tu non stai attraversando onde,
tu non stai solcando mari,
tu non stai
viaggiando in posti sconosciuti e attraverso
realtà che ti sfuggono in continuazione.
Il tuo lungo percorso, il tuo lungo peregrinare
attraverso ciò che da me
proviene,
in realtà non è altro che un
continuo muoverti
all’interno di te stesso.
Ogni posto che vedi è il tuo posto.
Ogni affetto che hai è il tuo affetto.
Ogni vita che vivi è la tua vita ed è il tuo modo di vivere.
Non hai bisogno di cercare la tua isola,
figlio mio, non ti sei mai mosso dal suo suolo.
Moti



Hei, tu, piccolo uomo!
Hei, tu, piccolo uomo, sballottato tra i flutti dell’esistenza..
Sì, sto parlando con te, non allungare la mano verso il tuo vicino,
non è a lui che
mi rivolgo, è a te!
A te personalmente!
E non ti girare indietro, per piacere, sto guardando te!
E’ a te che mi rivolgo;
a te, che hai sempre desiderato avere un rapporto con me,
un rapporto privilegiato con me!
Sono 26 anni che hai un rapporto privilegiato con me
(e devo dire che non hai neanche pensato a fare una festa!)
Ma perché ti guardi intorno con aria smarrita?
Non è questo che desideravi?
Non desideravi forse, finalmente, avere una risposta dal tuo Dio?
Come? Cosa stai dicendo? Ah, il tono!
Capisco: tu sei di quelli che si fermano al tono di chi sta parlando
e magari non ascoltano neanche una parola di quello che viene detto!
Ho capito.
Va be’, cercherò di cambiare il tono, può darsi che questo ti aiuti.
Figlio mio, ti va bene così?
No, neanche questo.
Ma cos’è che ti turba? Non sei convinto di parlare con Dio?
Ah, vedo, vedo: stai esaminando tutte le ipotesi
che potrebbero venirti in mente.
Ascoltami, figlio.
Io che ti parlo sono il tuo Dio, ma non sono il dio degli eserciti,
non
sono il dio del giorno né il dio della notte,
non sono il dio del bene né il dio del male;
se vuoi pensare a me, pensami come il dio della vita
e mi penserai nel modo più vicino in cui tu possa definirmi.
Ascoltami, figlio;
ascoltami, se vuoi, su
questa strana cosa che ti sta succedendo.
Stai pensando: «E se non fosse Dio?
Se questa voce che sto sentendo fosse, che so io,
la voce della mia coscienza?
No, no, per carità, lasciamo stare la coscienza perché,
quando si tira in ballo la coscienza,
si sa da dove si parte ma non si sa mai dove si arriva!
Può essere pericoloso!
Potrebbe essere un’allucinazione!
Vediamo: un’allucinazione da volontà di potenza
dovuta a traumi infantili, magari
di origine sessuale.
No, lasciamo questo agli psicanalisti!
Ma, allora, se non trovo risposta?
Se tu non trovi risposta, potrebbe anche essere davvero
che chi ti sta parlando sia Dio!
Non era così che t’aspettavi la cosa, vero?
Eppure, vedi, figlio mio carissimo,
sono millenni che io, in una maniera o nell’altra ti parlo;
certamente tu non sempre mi stai ad ascoltare,
e qualche volta ho dovuto ricorrere a dei mezzi un po’ drastici
per attirare la tua attenzione: ho incendiato dei rovi,
ho suonato
delle trombe, ho fatto cadere addirittura mura di città,
però bisogna dire che l’attenzione l’ho attirata!
Tuttavia non sei mai riuscito a trattenere la tua attenzione
per lungo tempo su di me.
Certo, ti sei creata un’immagine di Dio.
«L’immagine di Dio – dicono i dotti – è tendenzialmente antropomorfica;
questo significa che è anche antropocentrica!», ovvero che tu nel tempo,
nei secoli, hai cercato di farti un’immagine di Dio a somiglianza di te stesso;
pensando, evidentemente, che io sono te.
No, hai ragione, non ti va bene, preferisci dire così:
«.. pensando, evidentemente, che tu sei me!»
Forse è quello che ti manca: la concezione della fusione dei due termini:
non esiste 
«io sono te» o «tu sei me»,
esiste
«Noi due siamo Uno»!
Questo, nel tempo, figlio mio, dovrai imparare veramente a comprendere;
e lo comprenderai soltanto quando lo sentirai veramente dentro di te.
Anonimo



Nel corso della tua vita, figlio mio, tu ricordi.
Tu ricordi di fare colazione al mattino,
tu ricordi di chiedere l’affetto di chi ti sta accanto,
tu ricordi i torti che ti sono stati fatti,
tu ricordi i lavori che stai facendo
o che non sei riuscito a compiere,
tu ricordi i momenti che hai perduto,
tu ricordi gli amori che non hai vissuto,
tu ricordi le sensazioni che non hai incontrato,
tu ricordi i libri che non hai letto,
tu ricordi le cose che non hai appreso.
Fratello mio, caro fratello,
ricordati anche di essere felice, qualche volta.
Anonimo



Se tu non fossi come sei,
io non avrei nulla da dirti ma mi ritirerei nella quiete
del mio stato 
perfezionando con calma e pazienza
la più piccola assonanza del mio essere.
Se tu non fossi così come sei,
potresti essere anche peggio ed allora non avrei nulla da
dirti
perché !e mie parole suonerebbero alle tue orecchie
prive di senso e, per questo,
le rifiuteresti.
Se tu non fossi come sei,
magari saresti migliore,
forse così migliore da non avere bisogno di me
oppure migliore solo quel tanto
da indurmi a ricercare
nuovi concetti, nuove
idee, nuove parole da regalarti.
Ma tu sei come sei,
ed il tuo essere così mi avvince a te per sorreggerti,
abbracciarti,
infonderti iniziativa, rinfocolare domande,
stimolare la tua fantasia e le tue idee,
far gareggiare il tuo amore e il tuo egoismo
nella speranza che, finalmente,
ti abbandoni al giusto vincitore in modo definitivo.
Non puoi sfuggirmi perché sono dentro di te,
non puoi ignorarmi perché tutto ti riconduce a me,
non puoi tradirmi perché non ho nulla da perdere,
non puoi odiarmi perché non sai darmi un volto,
non puoi fare altro che desiderarmi e cercarmi, e,
inconsapevolmente, tendere a me
come il fiume verso i! mare.
Viola



Figlio mio, se anche io ho posto lungo il tuo cammino lo sconforto,
se anche io, figlio mio, ho posto sul tuo cammino la disperazione,
se anche io ho posto sul tuo cammino il dolore,
la sofferenza più esacerbante, figlio mio,
sta’ certo che se mi vorrai ascoltare mi sentirai,
che se veramente mi vorrai cercare mi troverai,
ovunque e sempre, purché tu riesca a imparare
ad avere fiducia in me.
Viola



Figlio mio, ciò che io intendo per ricerca è forse
più giustamente denominabile come
«riscoperta»:
riscoperta di te stesso, del tuo vero «Sé»,
di ciò che dentro a te giace,
sepolto ma non silenzioso,
sommerso ma intransigente,
sfuggente eppure concreto quanto e forse più
di ciò che le tue mani ora stringono,
ora afferrano, ora percuotono, ora accarezzano.
I tuoi drammi e le tue felicità sono sue conseguenze.
Le tue lacrime e i tuoi sorrisi sono sue manifestazioni.
Arriva a Lui e tristezza e gioia avranno un nuovo senso,
così che la tua vita avrà colori 
e forme nuove,
più intensi, più limpidi,
più reali.
Non credere a chi vuole importi l’idea che la materialità
è sinonimo di peccato,
o che la spiritualità è sinonimo di paradiso,
perché ogni cosa che esiste,
esiste perché è necessaria ad aiutarti nel tuo cammino.
Così dì a colui che cerca di costringerti a seguire le sue idee
monolitiche 
che materia e spirito sono separate solo
per chi nulla ha ancora compreso.
Se credi in un Dio, pensa che l’espressione
«Tutto mi parla di Te» è vera fino
alle sue estreme conseguenze.
Se non credi in Dio, sii fiero di te stesso
e certo di essere nel giusto se conduci la tua vita amando
te stesso e gli altri perché così senti di fare,
e non per obblighi morali, sociali o di tradizione.
E sappi, infine, che non ha importanza che tu sia convinto
di stare ricercando: prima o poi, e comunque,
nell’ombra qualcosa troverai che ti trasformerà,
perché sarai pronto ad
essere diverso.
E allora saprai, senza ombra di dubbio,
che la tua ricerca sarà arrivata alla fine.
Moti



Figlio mio, io ti osservo nel corso della tua ricerca,
ti vedo fermarti nelle tue giornate
cercare insistentemente un perché,
cercare
in te i motivi, le cause di ciò che stai vivendo,
di ciò che ti succede, di ciò che ti colpisce, che ti addolora,
che ti frantuma, che ti rattrista in continuazione.
Ti vedo volgere gli occhi intorno a te e chiederti perché
quella persona non ti ama, perché non ti aiuta,
perché si rifiuta di tenderti una mano,
perché non ti sente suo fratello.
Ti vedo ascoltare ciò che gli altri dicono,
e soffrire perché nelle loro parole non riesci ad avvertire
ciò che vorresti avvertire,
non riesci ad avvertire amore, tenerezza, dolcezza.
Poi osservo la tua mente e osservo te,
all’interno della tua mente,
allorché esamini attentamente le azioni degli altri,
le esamini e ti erigi a giudice, a critico,
ti erigi a scopritore della realtà altrui, della Verità altrui,
pensando di trovare così dei motivi in loro
che possano scusare ciò che tu hai compiuto,
che possano permetterti di dire:
«Io ho fatto il mio possibile, ma in realtà la verità
è che
sono gli altri a sbagliare».
Figlio mio, chiudi i tuoi occhi,
figlio mio, tappati le orecchie,
figlio mio, fa’ tacere la mente rivolta all’esterno
e osserva te stesso:
se davvero vuoi trovare la Verità non cercarla al di fuori di te,
perché io là non l’ho posta.
Là vi sono le verità altrui, ma le verità altrui, figlio mio,
per te sono irraggiungibili,
non sono altro che proiezioni dei tuoi bisogni,
dei tuoi desideri,
dei tuoi pensieri, delle tue passioni.
Ciò che invece, figlio mio, per te è raggiungibile, osservabile,
conoscibile, comprensibile, assimilabile, verificabile
è la tua realtà interiore;
ed è lì, figlio mio, che io ho posto la
Verità che tu puoi scoprire.
Non aver timore, non aver timore di te stesso
ed osservati fino in fondo:
se davvero è la
Verità quella che vai cercando,
nel tuo più profondo essere, senza dubbio, la troverai.
Scifo



Io sono la purezza cristallina del miele
e il ronzio delle api.
Io sono il palpitare di vita delle lucciole
e lo stormire delle fronde.
Io sono il gioco di un bimbo
e la mano
tremante di un vecchio.
Io sono il vostro lavoro,
la vostra casa
e i vostri cari.
Io sono la primavera, l’estate,
l’autunno
e l’inverno.
Io sono la vita che è in voi,
le parole degli uomini e quelle dei maestri,
sono la preghiera accorata
e il silenzio misterioso,
sono l’azione improvvisa
e il sentirsi ostacolati,
sono il raggio di Sole e l’ombra della notte,
sono la vita e sono la morte.
Io sono il dolore,
che vi fa agognare la gioia.
Io sono la malattia,
che vi fa apprezzare
la cura di voi stessi.
Io sono l’odio,
che vi aiuta a comprendere 
che è l’Amore
ciò che andate cercando.
Io sono l’avversità,
che vi insegna ad essere forti in voi stessi.
Io sono il contrasto,
che vi induce a cercare
la serenità interiore.
Io sono la paura,
che vi spinge a trovare
il coraggio
per affrontare voi e gli altri.
Io sono la noia,
che vi fa desiderare
di non ristagnare.
Io sono la rabbia,
che vi costringe a mostrare
i vostri veri sentimenti.
E sono il rifiuto,
che vi fa capire come ci si può sentire ad essere rifiutati,
e sono l‘Amore,
che continuamente 
vi chiama e vi ricorda
che è l‘Amore
che governa il Creato,
e sono anche la passione che incendia i vostri sensi,
sono la delusione che sferza il vostro orgoglio,
sono la menzogna e la sincerità,
la violenza e la dolcezza,
l’avidità e la generosità,
l’egoismo e l’altruismo.
Io sono il canto che tutto pervade e fa vibrare,
perché Io sono la voce instancabile del Tutto
che canta la sua armonia senza interruzione e senza posa,
forte nella sua certezza che, prima o poi,
sarete capaci di udirla e di unirvi al suo canto.
Fratelli, sorelle, siate sempre presenti a voi stessi e all’Amore.
Viola

L’ambiente: fisico, astrale, mentale, akasico

d-30x30L’ambiente: fisico, astrale, mentale, akasico. Dizionario del

Terra, acqua, aria, fuoco…
Devo dire che gli antichi, anche se non possedevano le meraviglie tecnologiche che voi oggi possedete e quelle che ancora verranno, certamente non erano degli sciocchi e il loro pensiero che la realtà che potevano osservare si basasse su questi quattro elementi proveniva da conoscenze arrivate da molto lontano, tuttavia con una loro logica che le preservava abbastanza intatte all’interno della sapienza antica e che io questa sera ho riportato tra di voi come punto da cui partire per esaminare l’aspetto ambientale della realtà in cui l’individuo compie la sua evoluzione.
Al di là dei tantissimi significati che a quelle quattro parole sono stati dati – spesso giusti, spesso meno giusti, spesso addirittura fantasiosi – quello che mi preme sottolineare questa sera è che ritroviamo ancora una volta il numero 4, il che vi può far pensare che – tutto sommato – quei 4 elementi possono essere il simbolo dei piani più vicini alla vostra realtà, ovvero il piano fisico, il piano astrale, il piano mentale e, naturalmente, il piano akasico. Infatti, se si volesse scegliere – ad esempio un elemento per simboleggiare il piano fisico, quale miglior elemento potrebbe essere scelto che la terra!
Senza la terra, creature, il piano fisico non esisterebbe, così come voi lo conoscete; non esisterebbe la grande quantità di mondi; non esisterebbe, quindi, un ambiente fisico sul quale l’individuo possa compiere, attraverso le varie fasi che attraversa, la sua evoluzione.
Per certi versi anche la scelta dell’acqua come simbolo del piano astrale trova una sua giustificazione simbolica: l’acqua, infatti, in qualche modo maschera la realtà; è qualcosa che impregna la terra e ne entra a far parte, e può passare anche inosservata; può essere uno specchio di quella che è la realtà fisica, ma nel contempo possiede delle qualità che sfuggono allorché cerchi di raccoglierla tra le dita, di portarla alla tua razionalità. Può servire da specchio per osservare ma anche da specchio per deformare; e possiede la capacità di mutare abbastanza facilmente caratteristiche a seconda dell’ambiente fisico in cui viene a trovarsi: ora può diventare solida, ora può essere liquida, ora può addirittura volatilizzarsi come se fosse un gas.
Queste sono le qualità che, in qualche modo, possono anche essere riconosciute nel piano astrale; infatti voi sapete che la materia del piano astrale è una materia molto pronta a trasformarsi, attimo dopo attimo, sotto la spinta dei desideri e delle emozioni; voi sapete che il piano astrale – e lo provate quotidianamente voi stessi personalmente – travolge i vostri sensi, travolge il vostro modo di vivere la realtà fisica, travolge addirittura la vostra razionalità, deformando spesso e volentieri ciò che voi riuscite a percepire di quello che state attraversando.
E’ anche evidente che l’aria è un buon simbolo per il piano mentale. Infatti, il pensiero non si vede; il pensiero in realtà non si riesce ad afferrare, eppure – come l’aria – è necessario per mettere in moto i meccanismi della vostra razionalizzazione; è necessario per far sì che, attraverso il pensiero, si arrivi ad influenzare la realtà con le azioni, e questo attraverso qualcosa di invisibile, irraggiungibile e apparentemente – per la vostra percezione – inesistente.
Se voi non sapeste di possedere il pensiero, se non foste consapevoli di pensare, come potreste rendervi conto che il pensiero esiste? E la vostra stessa consapevolezza di pensare, alla fin fine, poi, da cosa nasce? Se ricordate, tempo fa avevo detto – più o meno scherzosamente – che il cervello potrebbe essere situato nel dito di un piede invece che nella testa, eppure voi percepite che così non è e sapete, sentite, che il pensiero, le sue vibrazioni, nascono proprio – o per lo meno arrivano al piano fisico, in cui voi siete – attraverso la parte alta del capo, cioè del vostro corpo fisico.
E quale simbolo migliore, poi, per il piano akasico (il piano della coscienza) del fuoco?! Il fuoco, che nostro Fratello Labrys ha così spesso usato per parlare di ciò che attiene la coscienza dell’individuo; il fuoco, che illumina l’essere; il fuoco, che con i suoi movimenti, e quindi con le sue vibrazioni, fa sì da creare i presupposti per un’azione motivata all’interno del piano di esistenza; il fuoco, senza il quale non esisterebbe la realtà come voi la conoscete; infatti, il fuoco è calore e senza il calore vorrebbe dire che non vi è interazione tra le particelle che compongono la realtà e, se non vi fosse interazione tra queste particelle, la realtà si disgregherebbe; quindi è evidente che il calore, come vibrazione e come fuoco, può essere preso come simbolo di quella realtà della coscienza, di quella realtà del piano akasico, che appartiene a tutta una razza; e non soltanto a tutta una razza ma a tutta la necessità della realtà per fondare la sua esistenza e per far sì che, attraverso i suoi movimenti, venga a dipanarsi un po’ alla volta tutto ciò che voi conoscete come percepibile fisicamente, emotivamente, mentalmente, storicamente, socialmente, e via e via e via …
Una delle domande possibili da farsi per quanto riguarda l’ambiente è questa: l’ambiente esisterebbe lo stesso, se mancasse una di queste componenti? La risposta mi sembra ovvia: potrebbe anche esistere un ambiente, però sarebbe un ambiente amorfo, disorganizzato; in cui, quindi, la vita e l’evoluzione non potrebbero trovare gli elementi per costruire il Grande Disegno dell’Assoluto.
Ma quanti sono gli ambienti? Certo, voi avete parlato di ambiente familiare, di ambiente di lavoro, di ambiente associativo, e potreste parlare di tantissimi altri ambienti, quelli che voi avete definito – se non vado errato – «microambienti»; però, se dovessimo parlare di tutti gli ambienti, veramente ci sarebbe la necessità di alzare ancora la media della vita di ognuno di voi! Io direi che, per semplificare – si fa per dire, naturalmente – le cose, conviene forse partire, sulla base di quanto detto prima, da quelli che possono essere considerati i quattro ambienti principali: l’ambiente fisico, l’ambiente astrale, l’ambiente mentale e, naturalmente, l’ambiente akasico. Siete d’accordo? Vedrete che così forse sarà un pochino più semplice, anche perché voi potreste dire: «Esiste però un ambiente sociale» ad esempio «un ambiente sociale molto importante perché in qualche modo condiziona gli individui che compongono la società» e su questo avrei già qualcosa da dire perché forse può essere che sono gli individui che in qualche modo condizionano l’ambiente sociale, ma lasciamo stare questo discorso per il momento.
Io posso essere d’accordo con voi; certamente vi è un ambiente sociale, certamente vi sono dei condizionamenti da una parte o dall’altra che sono importanti, però, se ci pensate bene, l’ambiente sociale che cos’è, in fondo?
L’ambiente sociale non è altro che la risultante dell’ambiente fisico, dell’ambiente astrale, dell’ambiente mentale e dell’ambiente akasico; non è un ambiente che ha una sua esistenza di per se stesso, è un ambiente che scaturisce dal modo in cui gli individui si trovano inseriti nei quattro ambienti che abbiamo preso come punto di partenza. Quindi, parlando degli ambienti di partenza, si arriverà necessariamente a comprendere anche quelli che sono gli ambienti che derivano da questi quattro ambienti principali. Siete d’accordo?
L’ambiente sociale ha una sua esistenza soltanto in relazione agli altri ambienti; e non soltanto, ma è anche in relazione – e qua sono consapevole che ci complichiamo la vita – con quelli che sono gli archetipi.
Ma ritorniamo ai nostri quattro ambienti di partenza.
Abbiamo visto che per ottenere che una razza evolva è necessario che la razza, fin dal suo primo incarnarsi, trovi l’ambiente fisico adatto per potersi incarnare. Abbiamo anche visto che questo ambiente fisico è necessario che si trasformi per adattarsi alle mutate necessità evolutive degli individui; abbiamo visto come la vibrazione – se non vado errato – «prima», che dà il via alla partenza di un cosmo sia alla base della formazione della materia del piano fisico, dando già quegli elementi tali per cui ci sia una base solida su cui l’ambiente fisico possa costruirsi in determinate direzioni anziché in altre; in direzioni cioè che siano utili alla razza che si deve incarnare; quindi in modo tale che la materia del piano fisico abbia a sua volta un’evoluzione, un mutamento, un cambiamento che la porti gradatamente ad essere in condizione di poter offrire ciò che abbisogna all’evoluzione della razza.
Ora, ho sentito uno tra voi, proprio questa sera, parlare di un punto che di solito coloro che negano i discorsi che qui o da altre parti vengono fatti citano spesso: «Se, come dite voi, – cioè noi – questa è la terza razza che si incarna, se ogni razza si incarna per 50.000 anni circa e le razze si sovrappongono, questo significa, a soldoni, che l’essere umano, sul pianeta, è presente all’incirca soltanto da 140.000 anni. Giusto? Perdonatemi gli spiccioli! Ma allora, quei reperti ritrovati più di una volta di esseri umani risalenti – che so io – a trecentomila, cinquecentomila, un milione di anni fa (e qua le datazioni poi si sprecano, sempre per l’esattezza e la ripetibilità della scienza!) che senso hanno? I conti non quadrano, quindi ciò che voi dite sono soltanto panzane». Tutto sommato, fossi uno di costoro, la penserei come loro. Voi no? No? Bene, allora, visto che hai detto «noi no», allora spiega perché!
Secondo me, il punto importante su cui va posto l’accento è: quelle creature erano esseri umani o no?
Facciamo la parte del Piero Angela: «A me sembra, però, caro signor Scifo …» Togliamo il «caro», che se no è troppo confidenziale! «Signor Scifo …» No, togliamo anche il «signor»: «A me sembra, Scifo, a me sembra, che accanto a questi reperti sia stata trovata una messe di manufatti, il che significa che erano in grado di manipolare oggetti, di costruire, di creare, quindi avevano tutti gli attributi che anche un essere umano attuale possiede, ad di là della diversa civiltà; quindi ritorniamo alle corbellerie di cui parlavo all’inizio». «A me sembra, caro signor Angela, che i castori costruiscano dighe, mi sembra che esistano delle scimmie che intrecciano delle specie di casupole andando a cercare rami di un albero particolare – non di altri – il quale è il più resistente, il più adatto per quel tipo di lavoro. Erano uomini? Forse lei e quelle scimmie siete allo stesso livello? Potrebbe essere! Secondo il suo ragionamento «scientifico» senza dubbio lei e quella scimmia siete … non dico padre e figlio ma fratello e fratello!».
La differenza che c’è tra essere umano e animale non è il fatto di poter manipolare, o usare o scegliere di usare determinati oggetti, ma il fatto di farlo con una certa consapevolezza di quello che si sta facendo; quindi il fatto di avere un’intenzione interiore, non ad esempio istintuale soltanto, per farlo; quindi il fatto che entra in gioco il corpo akasico dell’individuo incarnato nella forma umana.
Quei reperti archeologici, infatti, non sono altro che passaggi di evoluzione della materia e della forma all’interno dell’ambiente fisico per preparare quel corpo fisico più adatto all’immersione in esso dell’essere umano completo in tutte le sue componenti, ovvero: corpo fisico adatto ad esprimere l’evoluzione; sensazioni, emozioni e desideri per cercare di costruire qualcosa per se stessi e per gli altri; pensiero per governare il corpo fisico, le sensazioni, le emozioni, i desideri e contemporaneamente per creare qualche cosa di diverso; e infine coscienza, per dare una motivazione, un’intenzione e una giustificazione all’esistenza delle altre componenti; poiché – e non va mai dimenticato – l’individuo è un tutto unico, e non soltanto con se stesso, ma anche on tutta la realtà in cui è immerso.
Ecco, quindi, che il problema – se considerato sotto questo punto di vista, a livello un po’ più profondo e non soltanto materiale, fisico – riceve una sua completezza che altrimenti non possederebbe; non soltanto, ma dà motivo o ragione di fattori che la scienza, che non contempla anche la parte spirituale dell’individuo, mai riuscirà – continuando sotto questi punti di vista – a risolvere.
Pensiamo un attimo al gran polverone che è sempre stato sollevato intorno ai dinosauri e alla loro “improvvisa” (ma il termine, secondo me, è molto, ma molto relativo) scomparsa.
I dinosauri sono forme animali come tante altre che, nel corso dei millenni e dei milioni d’anni, sono nate, necessarie magari per certe particolari situazioni e poi estinte poiché non servivano più per contribuire a trasformare l’ambiente fisico in cui la razza si stava evolvendo. Il  dinosauro aveva caratteristiche generali abbastanza particolari, aveva – il più delle volte – un corpo molto massiccio, per esempio, e questo poteva insegnare determinate cose alle individualità che si incarnavano in quella particolare forma animale, e quindi poteva avere una sua necessità di presenza all’interno dell’ambiente proprio per fornire questo particolare tipo di esperienza.
Alla fine, però, la struttura fisiologica stessa del dinosauro è diventata inadeguata all’incarnazione dell’individualità, perché non offriva le caratteristiche di sensibilità e di percezione che servivano nella nuova fase di incarnazione dell’individualità, era cioè inadatto a permettere l’acquisizione di nuove e diverse esperienze e l’espressione di un sentire più ampio. La conseguenza, inevitabile, è stata che la forma “dinosauro”, un po’ alla volta, è andata scomparendo perché non più funzionale e necessaria nei confronti dell’avanzamento evolutivo della razza.
Mi sembra che, dopo queste considerazioni, la funzione e l’influenza dell’ambiente risultino abbastanza ben delineate: è chiara la sua necessità, è chiaro come si trasforma e si adegua attraverso l’evoluzione della materia e anche della forma in modo tale da essere disponibile nel modo giusto per la razza che si incarna, ed è chiaro anche come il procedimento si complica ancora di più, per l’ambiente fisico, allorquando la razza che si incarna è in grado di interagire con l’ambiente poiché a quel punto la razza stessa diventa un fattore di evoluzione ambientale; la razza stessa interagisce con l’ambiente, lo modifica e fa sì – senza esserne consapevole – da aiutare a procurare un ambiente adatto a quelle che sono le esigenze evolutive degli individui che si incarneranno successivamente.

Scifo

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