Critica, opinione, giudizio

d-30x30Critica, opinione, giudizio. Dizionario del

Comprendere la differenza che esiste tra critica, giudizio e opinione non è sempre agevole: le interferenze dell’Io sul sentire individuale complicano notevolmente la possibilità di riconoscere razionalmente quando ciò che viene detto è una critica o un’opinione. Il mezzo principale per arrivare a fare una distinzione, ci hanno insegnato, è quello di cercare di individuare l’intenzione che sta dietro alle nostre parole: se ciò che diciamo è detto (anche se sbagliato) per cercare di fornire un aiuto all’altro ha sempre una valenza positiva, mentre se alle spalle delle nostre parole stanno il tentativo di sminuire l’altro, di dimostrarci migliori o più saggi, allora vi è evidentemente una forte interferenza del nostro Io.

Messaggio esemplificativo (1)

La diversità tra opinione e critica non risiede tanto in ciò che si dice nei riguardi di una situazione o di un fatto o di una persona, ma dalle intenzioni con cui questa opinione, questo modo di esporla sta alla base di questo modo di espressione. Infatti, si può dire quello che si vuole di un’altra persona, ma quello che e importante è il «perché» la si dice.
Se la motivazione con cui si dice qualche cosa di questa persona facendo notare un suo comportamento – «apparentemente» per chi sta parlando – «sbagliato» è spinta dal desiderio di far comprendere all’altro qualche cosa o di aiutarlo a risolvere un problema che sta vivendo, ecco che allora, a quel punto, si tratta di un’opinione perché l’intenzione è buona. La critica invece, solitamente, è una critica distruttiva; quando si rivolge una critica a una persona si dice: «Guarda, tu ti stai comportando in modo sbagliato» oppure «tu stai facendo qualche cosa che non va; dovresti fare così e così e così»; e, solitamente, a quel punto, cosa è?
È uno scontro di «Io»: è la prima persona che sta parlando che ha le sue idee, ha le sue prevenzioni, ha le sue abitudini di pensiero e di comportamento e desidererebbe che anche l’altra persona si comportasse come lei stessa si comporterebbe, senza tener presente il fatto che l’altra persona ha un suo sentire particolare e ogni sentire è diverso da un altro, sempre e comunque in qualsiasi situazione.
Quindi, allora, cosa accade? Accade che, di fronte a una stessa situazione, due persone non reagiranno mai alla stessa maniera, allo stesso modo, e non ci si può mai aspettare che un altro si comporti allo stesso modo, alla stessa maniera. Giusto? Quindi direi che la differenza tra critica e opinione è proprio principalmente questa: la motivazione con cui il pensiero di chi esprime ciò che è dentro sia una motivazione altruistica o invece sia soltanto una motivazione mossa dall’Io; quindi l’intenzione del proprio sentire. Georgei

1  L’Uno e i Molti, vol. VII, pag. 133 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

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Amicizia, amore, condivisione

d-30x30Amicizia. Dizionario del

Secondo le Guide il rapporto di amicizia non è altro che un rapporto d’amore nel quale solitamente (ma non sempre è veramente così) manca la componente dell’attrazione sessuale.
Ne consegue che la vera amicizia, per altro relativamente rara, è ben diversa da quella comunemente concepita secondo la quale viene etichetta come amico una persona di cui si ha una conoscenza e una frequentazione molto relativa e decisamente frammentaria.
Il vero rapporto d’amicizia (così come quello d’amore) si instaura quando si stabilisce con l’altra persona una forte condivisione di se stessi e si stabilisce un trasporto che neanche la lontananza fisica riesce ad annullare, facendo ritrovare il legame intatto ogni volta che le due persone «amiche» incrociano nuovamente le loro vite.

Messaggio esemplificativo (1)

“L’altra sera sono uscito con degli amici, sono andato alla festa della birra e tutti assieme abbiamo mangiato wurstel, bevuto birra in abbondanza; è stata una bellissima serata, veramente nel nome dell’amicizia.»
Questo è il concetto che avete solitamente dell’amicizia!
L’amicizia è una condizione di essere in cui si condivide con l’altro, o con gli altri, ciò che è al proprio interno, o ciò che gli altri hanno al loro interno.
Voi direte: «Bella scoperta!»; invece, se pensaste con un attimo più di attenzione, vi rendereste conto che non è così semplice come definizione; perché, quando voi usate questo termine «condividere» – che sembra un po’ all’ordine del giorno ultimamente nei nostri discorsi – intendete il condividere ciò che è bello, condividere le vostre gioie, le vostre felicità, i vostri raggiungimenti, le vostre soluzioni, e via e via e via e via, ma il senso che noi diamo alla parola «condivisione» è molto più ampio di questo: quando c’è amicizia con una persona, con questa persona si deve sentire di voler condividere i propri aspetti positivi e i propri aspetti negativi; voler condividere il proprio altruismo ma anche le proprie meschinità; e non soltanto, ma bisogna anche che vi sia la capacità di accettare la condivisione degli aspetti dell’altro, non può mai essere un’amicizia a senso unico; quella che è a senso unico non è amicizia.
L’amicizia, per il suo concetto essenziale, è sempre qualche cosa in cui interviene uno scambio tra esseri diversi. Certamente condividere le gioie degli altri può essere facile ma, molto spesso o quasi sempre, condividere i problemi degli altri è molto meno facile; altrettanto meno facile quanto è condividere i propri problemi.
Ora, dunque, se veramente volete mettervi in una condizione di amicizia, dovete imparare questa possibilità, questa volontà di condividere. Tutti gli esempi che avete fatto: il parlare con la persona in treno, il parlare col vicino, l’aiutare una persona per strada, e via e via e via, tutto questo non è amicizia; può essere altruismo, può essere cercare di fare qualche cosa per gli altri, ma non è amicizia.
Qualcuno tra voi – lo so già – dirà: «Ma quello che ha detto Scifo, alla fin fine, mi sembra che sia un mutuare la definizione di ‘amore’ e trasportarlo alla definizione di amicizia». Infatti, quando vi è amore vi deve essere condivisione, vi deve essere la disponibilità a condividere tutto quello che si ha; vero, creature? Io, a costo di stupirvi, vi dico che non è così. O meglio, per essere più preciso, non è necessario e indispensabile che sia così. La condizione d’amore non è qualcosa che necessariamente si condivide tra due persone, l’amore è qualcosa che appartiene alla persona che lo sente; quindi è possibile che una persona veramente ami un’altra persona senza condividere niente con l’altra.
Come può essere una situazione in cui non si condivide niente ma si ama molto? La persona che ama – come molte volte vi ha detto la sorella Viola – si trova in una condizione tale per cui l’amore basta a se stesso, non ha importanza quello che fa l’altra persona, quello che è, quello che dice, ma c’è questo sentire interiore di chi ama, tale per cui non ci si aspetta niente; si è pronti a donare tutto, qualsiasi cosa, se si viene richiesti, ma non ci si aspetta nulla in cambio; mentre invece la differenza importante col concetto di amicizia è che il rapporto d’amicizia è fatto sempre e comunque su un dare ed un avere. Per voler essere pessimisti, si potrebbe dire che è un rapporto di sfruttamento reciproco utile ad entrambe le persone, o ai componenti di un gruppo, che si dichiarano amici tra di loro.
Il mio discorso all’inizio, quando dicevo che siete andati alla festa della birra, a mangiare wurstel e a bere birra con gli amici, era per farvi capire che quella che voi chiamate amicizia è soltanto una cosa mentale, la maggior parte delle volte, è soltanto un atteggiamento, non è una cosa sentita. Scifo

1  Do ut des, vol. I, pag. 40 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

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Affinità, similitudini, coscienza

d-30x30Affinità. Dizionario del

Rapporto di similitudine vibratoria con un’altra individualità.
Il termine è stato usato anche in riferimento alla medianità: per poter intervenire agli incontri tramite un medium è necessario che tra il medium e le entità che intervengono esista un buon grado di affinità, ovvero che le vibrazioni delle entità e quelle del medium abbiano delle decise assonanze in comune.

Messaggio esemplificativo (1)

Può capitare che si incontrino delle persone con cui si hanno delle affinità, con cui si sentono delle similitudini, con cui si trova un riscontro a livello di esempio morale, cioè si sentono queste persone molto vicine a se stessi; talvolta si sentono talmente vicini che si prende addirittura i termini del loro lessico, quasi il loro modo di pensare; nasce, allora, il dubbio se questa cosa è reale o se, invece, si vuole solamente assomigliare a questa persona.
In linea di massima, cercando di generalizzare il più possibile, quando succedono queste cose, se uno sente che è qualche cosa che proviene da se stesso, dalla propria interiorità e non è semplicemente un’imitazione dell’altro vi sono diversi motivi: uno dei motivi più frequenti è il fatto che la persona per cui si sente una particolare attrazione, un particolare, come direste voi giovani d’oggi, feeling, ad esempio, è che vi è stato qualche contatto in una vita precedente. Tutti noi non si nasce e non si vive una sola volta, ma vi è tutta una successione di vite in cui uno sperimenta le varie possibilità che gli vengono offerte dall’esistenza per arrivare a comprendere, al fine di ampliare la propria evoluzione interiore, la propria coscienza, fino a ritrovare quell’unità con tutta la realtà che completa poi l’evoluzione individuale.
Ora, è evidente che nel corso delle varie vite si stabiliscono dei rapporti con le altre persone; dei rapporti spesso di affetto, di amicizia, di amore o altrimenti di avversione, di antipatia, di problemi. Così come ognuno di voi si reincarna, anche le altre persone si incarnano ancora, e succede che quando ci si trova incarnati nello stesso periodo, questa affinità di esistenze passate, questo nuovo incontrarsi di persone che hanno già vissuto assieme, in qualche modo viene a galla attraverso le vibrazioni emanate dalle persone.
Così vi può essere questa sensazione di attrazione, di vicinanza, di simpatia, di particolare piacere col stare con una persona, così come può esservi anche il contrario, naturalmente. Voi pensate a quante volte vi accade di incontrare una persona e «a pelle» vi diventa antipatica immediatamente, pur magari non avendo nessun motivo per giustificare questa cosa. Il più delle volte accade proprio per questo ritorno di vibrazioni comuni per esperienze trascorse assieme in vite precedenti.
Vi è però anche un’altra possibilità, che riguarda la coscienza dell’individuo: ogni individualità che s’incarna, raggiunge una certa coscienza che poi completa, aumenta, nella vita successiva.
Le varie coscienze non sono slegate tra di loro, vi è sempre un collegamento tra tutte le persone che esistono e queste coscienze, quando raggiungono certe comprensioni in comune, accade che si trovino ad entrare in contatto tra di loro anche se non se ne rendono conto. Ecco così che tu, per esempio, incontri una persona che ha molti punti in comune con te come evoluzione, come comprensione, e avviene una specie di allacciamento energetico per cui si crea un’unione con questa persona a livello di coscienza, e vi è una specie di simbiosi, diciamo così, per cui parte della coscienza dell’altro risuona anche in te e questo porta ad un trasformarsi, nella vita che vivete tutti i giorni, del vostro comportamento in similitudine a quella dell’altro. Non è un’imitazione, ma è, come si può dire, un’effusione delle comprensioni degli individui.
Molte volte accade anche di incontrare delle persone che hanno un sentire, una coscienza, più ampia, maggiore della vostra e questo porta chiaramente ad un’attrazione, perché quando voi sentite, vedete una persona e la idealizzate, pensate che possa darvi qualche cosa, chiaramente, cercate di prendere, com’è logico, da questa persona tutto quello che vi può essere utile per migliorare voi stessi.
L’importante, però, è che vi rendiate sempre conto che tutti coloro che sono incarnati, che vivono su questo pianeta, sulla vostra terra, per il fatto stesso di essere incarnati, significa che hanno ancora dei problemi, hanno ancora delle comprensioni da mettere in atto, non sono ancora perfetti. Magari, per errata comprensione, possono dichiararsi anche dei grandi maestri però, tenete sempre presente che soltanto per il fatto di essere incarnati significa che per quanto possano aver compreso, hanno ancora qualcosa da comprendere, hanno quindi ancora dei limiti.
Ora noi diciamo sempre: quando volete seguire un maestro di qualsiasi tipo, qualcuno che ritenete o che si dichiara maestro, se sentite di farlo, se sentite un’affinità verso ciò che dice o che fa questa persona, cercate di seguirlo, certamente, se veramente sentite questa spinta; però cercate anche sempre, nel contempo, di non farvi travolgere dalle vostre illusioni, cercate di essere consapevoli del fatto che quella persona può anche essere in errore senza neppure saperlo, magari. Quindi cercate di mantenere una parte di voi stessi libera ed attenta, critica verso voi stessi, ma anche verso gli altri. Georgei

L’Uno e i Molti, vol. XII, pag. 189 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte seconda, Edizione privata

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Volontà e gratificazione

d-30x30Volontà. Dizionario del

La vera volontà – ci insegnano – non è quella che ci induce a perseverare in quello che più ci interessa o a cercare di raggiungere le mete che ci siamo prefissi, bensì quella che dobbiamo mettere in atto per fare ciò che il nostro Io non desidererebbe fare in quanto comporta fatica, poca gratificazione e, magari, scalfire la nostra immagine agli occhi degli altri.
Non si tratta, quindi, della volontà che proviene dall’Io, bensì della volontà che proviene dalla coscienza e dal sentire quello che è giusto perseguire fino in fondo e senza compromessi.

Messaggio esemplificativo (1)

Alcuni anni fa eravamo venuti a parlare della volontà, sottolineando il fatto che, contrariamente a quella che è opinione comune, l’individuo che ha volontà non è quello che riesce bene nel fare ciò che gli piace, ma quello che, all’opposto, riesce a fare bene ciò che non è completamente di suo gradimento.
Infatti, riuscire a fare bene ciò che piace, anche solo a livello semplicemente logico e razionale, non comporta, in realtà, un grosso sforzo di volontà, ma andare contro quelli che sono i propri impulsi, i propri bisogni, i propri egoismi, per portare a termine un compito prefissato, senza dubbio nasconde – da parte di chi deve «fare» – una dose non indifferente di volontà.
Il discorso, allora, era rimasto in termini abbastanza superficiali, preoccupandoci soltanto di questo aspetto della questione, senza osservare poi che cosa sia veramente la volontà, se vi possono essere diversi tipi di volontà, cos’è che sorregge eventualmente la volontà, e quali sono i suoi effetti all’interno del mondo fisico.
Iniziamo, dunque, ad ampliare un poco questi argomenti. Come si manifesta la volontà all’interno del piano fisico? È indubbio che la volontà, all’interno del piano fisico, si manifesta, deve manifestarsi con un’azione. Infatti, l’individuo sorretto dalla volontà non può fermarsi al dire, come fate, ahimè, così spesso: «Io voglio fare questo e lo farò», ma andare oltre, e dire: «io voglio fare questo, ed ecco, incomincio a farlo e lo porto avanti».
Purtroppo quante volte accade – osservando la vostra storia di tutti i giorni – che l’individuo si fermi soltanto ad una volontà in potenza: basta soltanto prendere i vostri quotidiani, basta osservare i vostri governanti, basta osservare i vostri religiosi, basta osservare anche i guru, gli spiritualisti, e via e via e via! Quanti come volontà, come parole, come atto comprendono la realtà della società, la realtà della famiglia, la realtà dell’individuo, e dicono «bisogna avere la volontà di fare», «bisogna mettere in atto la volontà di aiutare», «bisogna, se si segue un insegnamento di qualche tipo, essere specchi di questo insegnamento». Però il «bisogna» continua, solitamente, a restare un «bisogno»! Perché questo?
Non si può certamente affermare che questo accada soltanto e sempre per malafede o cattive intenzioni da parte di chi parla. Il fatto è che la volontà è fatta da diverse componenti le quali interagiscono tra di loro e spesso fanno sì, non sorreggendo una vera intenzione, da impedire che si trasformino in quell’azione che, così, resta soltanto in potenza. Scifo

Qualche tempo fa abbiamo accennato al fatto che l’Io di ogni persona può essere considerato, in qualche modo, composto da tre lo, figurativamente separati: un Io fisico, un lo astrale e un Io mentale. Infatti, secondo il mio pensiero, la personalità di un individuo incarnato – e, quindi, quella che è la manifestazione dell’Io all’interno del piano fisico – può sempre, alla fin fine, essere ridotta ad uno di questi tre aspetti, ovvero la manifestazione gestuale o fisica all’interno della materia, la manifestazione emotiva, sensitiva, espressiva, mimica, dei sentimenti e dei desideri, ed infine la manifestazione intellettiva che si esprime attraverso le idee e i concetti e fa da supporto alle azioni.
Questo, se è valido per ciò che riguarda l’Io, in generale, è anche valido per ciò che appartiene all’Io o che, per esprimersi all’interno del mondo fisico, deve, in qualche modo, passare attraverso questo lo. Se voi voleste pensare un attimo a questa triplice ripartizione della personalità, vedreste che, in fondo, quanto io ho affermato, non è poi niente di molto originale, al di là del fatto di avere inserito i tre piani di esistenza nella classificazione. Infatti, da che l’uomo è sorto e ha incominciato a cercare di schematizzare la realtà e l’individuo, sempre è stato portato a cercare anche di classificare, di mettere in classi gli uomini che vedeva intorno a sé. Ecco così che sono nate nel passato le varie teorie che presentavano diverse tipologie di individuo: pensate alle tipologie di Galeno, di Ippocrate, per arrivare a quelle di Freud, per arrivare a tutti i pensatori che, in qualche modo, hanno cercato di costringere in classi più o meno definite le tipologie di carattere dell’individuo.
Ora, se voi andaste ad osservare, con occhio critico ed analitico, tutte queste tipologie, vedreste che – pur presentando le cose sotto nomi diversi – sono sempre riducibili ai tre aspetti che prima ho enunciato: ovvero a come l’individuo si mette di fronte alla realtà fisica, si mette di fronte ai suoi desideri, a come si mette di fronte ai suoi pensieri; quindi, ripeto, ciò che io vi ho portato non è poi nulla di così trascendentale e di così originale come potrebbe sembrare.
Tutto questo lungo discorso che ho fatto è per arrivare a parlare qualche attimo dell’influenza che ha la componente astrale (ovvero la componente emotiva) sulla volontà.
Abbiamo detto che la volontà non è altro che l’impulso a portare a termine un’azione verso uno scopo che si è prefisso. Ora, naturalmente, uno dei perché che fan sì che questo scopo non resti soltanto in atto, può essere il desiderio che lo scopo prefisso venga realizzato. Ecco così che si può parlare di una volontà mossa, indirizzata, principalmente dai sentimenti e dal desiderio. Pensate, miei cari, alle volte che vi siete innamorati o infatuati di un’altra persona, pensate con quanta volontà avete cercato di fare qualcosa per ottenere i favori o le grazie di questa persona!
È chiaro che l’individuo innamorato, difficilmente è retto dalla razionalità: ecco, quindi, che allora questa volontà che spinge l’individuo a cercare di portare a termine il proprio scopo conquistando la persona amata, è un esempio di volontà retta dal desiderio, dall’emozione. Georgei

Vi è poi quella volontà che è retta invece dalla ragione. Considerate, fratelli nostri, coloro che sotto la spinta di una costruzione ideale – edificata dalla propria razionalità – portano avanti, o cercano di portare avanti, con volontà, lo scopo prefisso.
Basta che vi guardiate attorno: coloro che fanno, ad esempio, di una teoria politica o economica una costruzione talmente logica e razionale per cui ad essi può sembrare l’unico modo possibile e logico per portare avanti l’umanità, ed agiscono – quando sono in buona fede – fino in fondo, per arrivare al loro scopo. Questo è un esempio, anche se alquanto sfumato, di volontà sorretta dall’attività del corpo mentale.
Confesso, fratelli, che è difficile fare un esempio più preciso di questo tipo di volontà, anche perché c’è da tenere presente che quando una volontà di tipo mentale viene messa in atto – e tende quindi a manifestarsi come azione all’interno del piano fisico – per poter arrivare al piano fisico passa attraverso la materia meno densa del piano astrale, e viene quindi ad unirsi a ciò che trova all’interno del corpo astrale dell’individuo; viene, così, inquinata in qualche modo dai suoi desideri, dalle sue passioni. Ecco che, quindi, non sarà quasi mai una volontà principalmente mentale, ma si otterrà una fusione delle due componenti dell’individuo, quella emotiva e quella razionale.
Questo, forse, può essere evidente in maggiore misura, in quegli idealisti, in quelle grandi figure di idealisti che sono sorte nei secoli della storia dell’uomo. Pensate a quanti grandi utopisti si sono manifestati nei millenni e osservate come, la loro teoria di base, razionalmente giusta e corretta, veniva poi filtrata dalle loro passioni, dai loro desideri, e quindi veniva sfalsata in qualche modo, non arrivando a conseguire ciò che era il loro vero scopo.
Questo è il pericolo principale, la difficoltà principale per chi vuole mettere in atto la volontà! Infatti, per riuscire veramente ad agire in modo volitivo, bisogna non soltanto volere, ma è necessario, prima di tutto, essere sicuri di ciò che si vuole conoscere, quali sono i propri impulsi, sapere cos’è che può opporsi a questa volontà e quindi, in definitiva, si deve – come sempre accade quando parliamo di queste cose – arrivare a conoscere se stessi più in profondità. Senza conoscere, infatti, i propri desideri e le proprie passioni che possono allontanare dall’agire, senza conoscere qual è il proprio pensiero, il proprio vero intendimento, la volontà finirà con il manifestarsi all’interno del piano fisico in effetti diversi, ben diversi, da quelli desiderati o, addirittura, in blocchi che portano poi a comportamenti giudicati assurdi, se non addirittura psicotici, per i contrasti interni dell’individuo. Andrea

Il più delle volte, se i progetti che si vogliono portare avanti sono cose sensate, se non coinvolgono gli altri in modo non lecito, se sono accettabili, giusti o corretti, quando le circostanze esterne sembrano voler bloccare, fermare, impedire di portare avanti quel tipo di azione, l’individuo deve fermarsi un attimo e osservare alcune cose.
La prima cosa da chiedersi è questa: se l’esistenza, in questo momento, ha bloccato la mia volontà di fare una certa cosa, perché può averlo fatto? Può essere perché quella cosa io, in realtà, non devo esperirla? Di quella cosa, cioè, non devo fare esperienza? E allora, lì, devo essere io a sentire se quell’esperienza è davvero necessaria per me.
Oppure può essere che l’esistenza mi ha creato delle barriere poiché, nella mia ansia di portare avanti la mia volontà, senza rendermene conto, sto calpestando i diritti e la volontà degli altri? Dopo aver fatto questo piccolo esame – piccolo ma certamente non facile perché richiede una buona dose di sincerità nei propri confronti – se ancora ci si rende conto che veramente si vuol portare fino in fondo la propria volontà e conseguire quel raggiungimento, malgrado tutto, allora le domande da porsi sono ancora due, ovvero: veramente voglio andare avanti nella mia azione, costi quel che costi, in qualunque modo? Oppure l’altra: ho osservato tutti i modi in cui la mia volontà può essere messa in atto o, in realtà, c’è qualche modo migliore, più utile per me e per gli altri, che non sto vedendo?
Ecco, quindi, ancora un attimo di pausa e di riflessione e vi garantisco, creature, che se la risposta alla prima domanda (cioè se veramente volete portare avanti la vostra volontà) è positiva, senza dubbio allora troverete un modo migliore per tutti per portarla avanti senza danneggiare nessuno e senza farvi fermare da ciò che l’esistenza, magari, vi mette di fronte.
Certo, sul momento, può essere frustrante voler fare una cosa e trovarsi in condizioni di non poterla fare, ma state tranquilli che una pausa non vuol dire non arrivare ad un certo risultato: vuol dire semplicemente poter osservare con più calma la propria volontà e quindi raggiungere poi, nel modo migliore, il risultato voluto!
Ma come coltivare la volontà?
Avevamo già spiegato che, in realtà, la volontà non si può rafforzare con un esercizio ben preciso. Perché la volontà diventi forte è necessario che ci sia l’intenzione, è necessario e sufficiente – direbbero i matematici – che ci sia l’intenzione per portare a termine la propria azione. Se, però, col «rafforzare la volontà» voi intendete il riuscire, in qualche modo, a non farvi distogliere dal vostro scopo, allora esistono diverse tecniche per riuscire ad ottenere questa concentrazione della volontà (che poi non è altro che una concentrazione dell’attenzione sullo scopo prefissato). Soltanto che, solitamente, sono tecniche talmente noiose che dopo un paio di giorni che uno continua a farle, ahimè, perde la volontà di andare avanti!
Avevamo suggerito, all’epoca, una tecnica molto semplice, apparentemente molto facile, che nessuno, naturalmente ha osato provare: basterebbe per rafforzare questa attenzione, questa volontà, che ognuno di voi passasse cinque minuti al giorno (non dico tanto, pensate: cinque minuti, tanto quanto potete mettere a bere un caffè, in fondo) passasse – dicevo – cinque minuti al giorno, alla stessa ora, per tutti i giorni, scrivendo su un quaderno la lettera A.
Se riuscite a farlo, creature (non dico per ventun giorni come dicevano gli antichi o come dicono gli orientali si debba fare per le tecniche) ma anche soltanto per una settimana di seguito, vi garantisco che dareste prova di una volontà non indifferente e che potreste affrontare qualsiasi scopo prefisso con la sicurezza di arrivare a raggiungerlo!
Altre tecniche come quelle che voi potreste aspettarvi, in realtà, non esistono: la volontà, in fondo, è un fatto talmente interiore, che sarebbe come voler costringere l’universo ad indirizzarsi verso una piccola particella. Scifo

1 La crisalide, p. 217 e segg.

Dal volume del , Dall’Uno all’Uno, Volume secondo, parte prima. Edizione privata.

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