L’erba per i conigli, una storia delicata su esperienze semplici

Il racconto è tratto dal libro “Lisa e nonna Mena“, Edizioni Estro-verso, Roma

I momenti più belli, con l’arrivo della primavera, erano quelli che Lisa passava con nonna Mena in campagna.
La nonna, come molte altre nonne del resto, a quei tempi, allevava conigli e, spesso, si recava nei campi a fare l’erba.
Ai conigli piaceva la “sprania” diceva la nonna, cioè l’erba medica che i contadini seminavano nei campi per le mucche e che, dopo la fenagione, ricresceva spontanea.
Partivano la mattina prima che il sole diventasse troppo forte e a Lisa sembrava prestissimo: Si incamminavano a piedi: L’aria era ancora piena dell’umidità della notte e, sul ciglio della strada, le graminacee e le altre erbe spontanee rilucevano di goccioline di rugiada che a Lisa sembravano perle.
Imboccavano una strada di campagna poco lontana dal borgo dove abitavano e poi si inoltravano nei campi.
Non era difficile individuare la “sprania” perché tutti i contadini la coltivavano. La terra argillosa era compatta e spesso, se non pioveva da un po’, formava piccole crepe che trasformavano il terreno in un reticolo di disegni geometrici.
Mentre la nonna si metteva a tagliare, Lisa l’aiutava. Stendeva in terra il telo che avevano portato poi ci ammucchiava l’erba che la nonna man mano le passava. La bimba era affascinata dai gesti precisi e sicuri con cui la nonna falciava e si chiedeva come facesse a usare la falce senza tagliarsi.
Insieme all’erba medica cresceva anche il trifoglio, i cui fiori violacei spiccavano nel campo come vividi occhi curiosi.
Ogni tanto, tra le mani della bimba saltava qualche grillo che poi si mimetizzava tra gli steli; allora lei lo cercava, lo osservava rosicchiare i germogli teneri e poi spiccare lunghi salti su altre piante.
Quando il mucchio di erba era abbondante la nonna smetteva di tagliare, prendeva due angoli opposti del telo, tirava e li legava tra loro, poi faceva lo stesso con gli altri. Ora aveva formato la “gluppa”: Si curvava, la sollevava con le sue braccia robuste e, inarcando la schiena, se la sistemava sulla testa.
Pian piano ripercorrevano a ritroso il cammino verso casa.
La nonna, nonostante il peso sulla testa,camminava sicura; Lisa, invece, era un po’ stanca e la strada le sembrava più lunga.
Arrivate a casa, si dirigevano sul retro dove, in un piccolo cortile, erano sistemate le gabbie La nonna deponeva il fascio, si stirava la schiena poi si apprestava a dare l’erba ai conigli.
Era questo il momento che Lisa amava di più perché era lei che aveva il privilegio di dare la prima manciata d’erba.
Apriva con trepidazione la gabbia e subito sentiva un fuggi-fuggi spaventato: erano i conigli che si rifugiavano negli angoli estremi della gabbia perchè erano creature molto timide e si fidavano solo di chi si prendeva cura di loro.
Quando però scorgevano nell’apertura la piccola mano di Lisa che porgeva l’erba, prima osservavano guardinghi poi, pian piano,si avvicinavano e venivano a brucare.
Allora Lisa osservava le bocche che, socchiuse a cuore, rosicchiavano le foglioline, le vibrisse che si muovevano impercettibili, lo sguardo schivo e l’elasticità della muscolatura che sembrava vibrare sotto il pelo morbido e luminoso.
A volte i conigli permettevano a Lisa di accarezzarli allora lei sentiva sotto le mani l’energia vitale sprigionarsi da quelle creature così timide e riservate e l’esperienza la sorprendeva ogni volta..
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Polvere e Cenerina, una storia d’amore

La giovane coppia di aironi si era stabilita lungo la foce di un piccolo fiume.
Il maschio si chiamava Polvere, la femmina Cenerina.
Si erano fermati lì subito dopo il corteggiamento perché a Cenerina era sembrato un luogo isolato e le era piaciuto l’ammasso di canneti che li nascondeva alla vista dei curiosi. Da lì, inoltre, si poteva vedere la grande distesa del mare e, la sera, sentire la brezza salmastra che portava l’odore di altri uccelli e altri luoghi lontani.
Polvere e Cenerina vivevano felici pescando nell’acqua bassa della riva e facendo lunghi voli. Amavano volare soprattutto la mattina, al primo levar del giorno. Era questa l’ora in cui l’attività febbrile degli uomini non era ancora iniziata, non si sentivano rumori e la campagna era ancora immersa in una luce magica: la rugiada rifletteva i colori del cielo e dalla vegetazione saliva l’odore della terra.
La giovane coppia si sentiva appagata e felice.
A Cenerina tornavano in mente, ogni tanto, le immagini del loro primo incontro.
Era mattina. Lei era appollaiata con altre giovani femmine sopra un imponente salice quando vide Polvere che volava solitario. La colpì l’elegante cadenza del battito delle ali e la leggerezza del suo volo. Vide che si dirigeva verso il mare; allora, spinta da un impulso improvviso, lo seguì. Era affascinata dalla grande distesa azzurra, sempre mare eppure sempre mutevole nelle forme, nei suoni, nei colori. Lo raggiunse e lui la scorse argentea nei riflessi della luce del mattino. Le sembrò speciale e non la lasciò più.
Iniziò il corteggiamento. I due compagni compivano lunghi voli e danze di “parata”, gettando la testa in avanti e all’indietro, aprendo a ventaglio le ali e lanciando grida modulate.
Decisero poi di allontanarsi dalla colonia per stare un po’ da soli e scoprirono il luogo dove vivevano ora.

Arrivò poi il momento dell’accoppiamento. Polvere compì i movimenti rituali propri della specie: allungò e ritrasse il collo, arruffò le penne del petto e lanciò dei richiami gutturali per attirare Cenerina poi si unì a lei. Fu un momento unico, irripetibile, in cui sentì che lui e la compagna erano un essere solo. Lo stesso successe a Cenerina. Questa scoperta riempì il loro cuore di tenerezza.
Col passare dei giorni, Cenerina cominciò a sentirsi inquieta. Polvere era premuroso con lei, il luogo le piaceva ma, dentro di sé sentiva un impulso a partire:
Il compagno se ne accorse. Una sera, mentre erano appollaiati su un ramo in attesa di prendere sonno, Polvere le disse: -“Vuoi dirmelo?
” Dirti cosa ? ” rispose Cenerina
” Qual è il problema? A volte ti sento distante, assente” proseguì il compagno.
” E’ che” sono inquieta, sento come un impulso che mi spinge a partire”
Polvere capì. ” Quest’ inquietudine” spiegò “colpisce le femmine quando si avvicina il tempo di deporre le uova e tu senti proprio questo! Torniamo più a nord, nel posto da dove siamo venuti, lì troveremo altri aironi e altri uccelli acquatici. Ti sentirai più sicura e protetta. Quello mi sembra un buon posto per nidificare: Qui potremo sempre fare ritorno.
Polvere aveva ragione, convenne Cenerina.
Il viaggio fu breve. Volarono lungo la costa per tutto il giorno finchè, al tramonto, videro la grande foce. Seguirono il corso del fiume fino ad un posto fitto di vegetazione: c’era un boschetto di pioppi e salici e un intrico di canneti. Cenerina si fermò su un alto pioppo e disse: “Possiamo fermarci qui” Poco lontano riconobbero il loro stormo e notarono altre specie di uccelli d’acqua dolce.
Il giorno seguente iniziarono la costruzione del nido. Polvere trovò una biforcazione tra i rami,che faceva al caso loro. La indicò alla compagna poi iniziò a cercare rametti, stecchi , canne che Cenerina, con maestria, intrecciava. Dapprima formò una piattaforma coi lati rialzati a mo’ di barchetta poi foderò l’interno con muschio, felci e lanugine dei pioppi per proteggere le uova dagli scuotimenti del vento e per mantenerle più al caldo.
Quando calava la sera si concedevano una pausa dal lavoro, scendevano sulla riva e cercavano piccoli pesciolini e ranocchi per la cena. I ranocchi erano il cibo preferito di Cenerina e Polvere li pescava per lei.
Dopo essersi saziati si concedevano un breve volo verso il mare compiendo lenti e profondi battiti d’ala. La loro silhouette era inconfondibile: il collo tra le spalle e le zampe estese. Poi tornavano all’albero, si appollaiavano vicini e dormivano.
Il mattino seguente riprendeva la loro attività febbrile.
Finalmente il nido fu pronto e i due aironi lo guardarono soddisfatti.
Dopo qualche giorno, Cenerina non se la sentì di alzarsi in volo e lo spiegò al compagno: si sentiva pesante e indolenzita: avvertiva qualcosa che premeva dentro di lei e che spingeva per uscire; era una sensazione che non aveva mai provato prima. Allora, seguendo l’istinto che prima di lei aveva guidato tutte le femmine della sua specie, si sistemò nel nido. Polvere capì: si alzò in volo in cerca di cibo per lui e per la compagna. Quando tornò, Cenerina lo accolse felice: aveva deposto il primo uovo. Polvere si appollaiò di fianco alla compagna e le manifestò la sua gratitudine lisciandole le piume del collo col becco. La deposizione delle uova durò tre giorni: erano di un colore azzurro verdastro come lo era, a volte, il colore dell’acqua: ai due aironi sembravano perfette.
Da quel giorno, per la coppia, iniziò il periodo della cova. Cenerina passava la maggior parte del tempo accovacciata sulle uova, ma la sera e la mattina, i momenti della giornata che lei preferiva perché più intenso era l’odore salmastro della brezza, Polvere le dava il cambio, così poteva rifocillarsi e volare un po’. Il compagno, dal canto su, quando non passava il tempo a pescare e a compiere brevi voli attorno al nido, si sistemava immobile ai piedi del grande pioppo, mimetizzato tra la vegetazione, con le ali chiuse e il lungo becco allungato, la testa ferma ma lo sguardo vigile, come a fare la guardia al nido.
La sera, i due compagni, dormivano vicini.
Venne poi il tempo della schiusa. Un pomeriggio, quando Polvere era lontano dal nido, Cenerina sentì un piccolo scricchiolio: era il becco del primo pulcino che batteva nell’interno del guscio e si dava da fare per uscire. Poco dopo il guscio si ruppe, emerse un capino tutto nudo e bagnato, con una piccola piuma bianca al centro poi un corpicino con due alette appena abbozzate e due zampine rattrappite. Cenerina lo guardò ammirata, lo sfiorò col becco poi lo coprì con il suo corpo caldo; il pulcino si sentì subito accolto e protetto.
Quando Polvere tornò Cenerina gli mostrò il pulcino: non poteva dirsi bello ma a Polvere sembrava straordinario. Si commosse al pensiero che quell’esserino era nato da lui e Cenerina e che così piccolo e indifeso aveva in sé la capacità di crescere e diventare adulto.Dopo qualche giorno si schiusero anche le altre uova: ora gli esserini straordinari erano tre e la felicità di Polvere e Cenerina fu completa.

Cerina, una storia per bambini nata dalla contemplazione della realtà

C’era una volta una bambina di nome Cerina.
Si chiamava così perchè odorava di cera. Cerina infatti viveva con le api ed era la loro aiutante.
Aveva la sua casetta vicino all’alveare: era di legno, piccola e graziosa e sapeva di miele.
Mentre le sue amiche api erano al lavoro sui fiori, Cerina passava il tempo a confezionare barattoli di miele e candele. di tutte le grandezze e di tutte le forme che poi vendeva al mercato del paese. Erano gli animaletti e gli oggetti che trovava nel bosco a suggerirle le forme delle sue candele che la gente del villaggio apprezzava molto e per questo andavano a ruba,.
Cerina, finita la giornata di lavoro, non si scordava mai di lasciare un pentolino di miele fuori della porta, per il suo amico orso che viveva all’interno del bosco.
La bambina infatti non era amica solo delle api ma anche di tutti gli animali che vivevano nelle vicinanze della sua casetta. Quando era libera dal lavoro passava interi pomeriggi a giocare con loro.
D’inverno però, quando era più difficile giocare, Cerina passava il tempo a costruire candele dalle forme strane che poi colorava con dei colori che d’estate estraeva dai fiori. Erano gli animaletti e gli oggetti che trovava nel bosco a suggerirle le forme delle sue candele che la gente del villaggio apprezzava molto. Qualche volta l’aiutavano le api che d’inverno si riposavano.
Al mercato del paese le candele di Cerina andavano a ruba. Tutti le compravano perchè durante i mesi freddi le notti erano lunghe e la gente dopo cena vegliava a lume di candela.
Una sera Cerina dopo aver preparato il cesto pieno di candele da portare al mercato, era andata a letto.
La mattina seguente si accorse che nel cesto le candele non c’erano più, al loro posto c’era una lettera che profumava di muschio. La lettera diceva:
Siamo le fatine del bosco,
ci servivano le tue candele
per festeggiare la rinascita
del Sole, la notte più lunga
dell’inverno.
Per farci perdonare
ti invitiamo alla festa.
Per favore vieni.
Ti aspettiamo a mezzanotte nel prato
che si trova nel cuore del bosco.

Cerina non credeva ai suoi occhi; il cuore le batteva forte forte per l’emozione.
Chiuse la lettera, la nascose dentro una tasca del suo vestito, mise altre candele nel cesto e, cercando di non pensare più a quella strana sorpresa, andò al mercato.
La notte più lunga dell’inverno, però, Cerina che non si era dimenticata dello speciale invito della lettera, e si recò all’appuntamento.
Per non perdersi nulla della festa si sedette nel punto in cui due bassi rami di un grande abete si intrecciavano e aspettò.
A mezzanotte precise vide uscire dalle chiome degli alberi lì attorno tante minuscole fatine con graziose ali trasparenti e un vestito di pizzo bianco del colore della luna.
Accanto a ogni fatina c’era un piccolo gnomo con indosso una tuta e un cappello a cono del colore del sole.
Tutti avevano in mano, accesa, una delle candele di Cerina.
La bambina rimase senza fiato.
Vide quelle strane creature danzare, in aria, una danza lieve guidati da una musica che a Cerina sembrava venire dal cielo e tutti facevano roteare le candele in modo che le luci formassero una sola scia luminosa.
Alla fine della danza le candele furono lanciate in aria e, insieme, formarono un grande Sole che scintillò come fanno i fuochi d’artificio.
Poco dopo, nel bosco tornò buio ma ogni fatina e ogni gnomo accese una piccolissima lanterna che portava al collo come una medaglia.
Una fatina si avvicinò a Cerina e l’accompagnò in mezzo al gruppo.
Tutti la ringraziarono per le candele e per essere venuta.
Uno gnomo, che alla bambina sembrava il più anziano, raccontò che quella festa si svolgeva tutti gli anni. Era per richiamare il Sole, per invitarlo a tornare a primavera, poichè ogni inverno se ne andava.
Cerina promise di preparare tutti gli anni per quella occasione le candele più belle che sapeva confezionare e che non sarebbe mai mancata a quello speciale appuntamento.

Testi collettivi: piccola contemplazione con i bambini

Il seguente testo collettivo trae lo spunto dalla lettura di una leggenda africana

Dialogo tra la terra e il cielo

Tanto tempo fa la terra era piatta.
Il Cielo guardava la terra da lontano e le parlava.
La Terra però non udiva i discorsi del Cielo allora decise di andargli incontro.
Terra:- Ciao, Cielo. Tu mi parli ma io non capisco quello che mi dici, per questo sono venuta.
Cielo:- Da quassù ti vedo molto bella e colorata. Mi piacciono tutti gli animali che camminano sopra di te, il verde dei boschi e delle foreste, il colore della sabbia e delle onde del mare. Penso che tu sei più fortunata perché hai dei tesori che io non ho.
Terra:- Anche tu hai dei tesori: l’azzurro acceso delle giornate estive, il rosa e l’arancio sfumati del tramonto, i colori tenui dell’arcobaleno dopo la pioggia. Hai il sole che mi aiuta con la sua luce e che distingue il giorno dalla notte. Hai la luna e le stelle intorno che fanno luce quando è buio. Mi piacciono le candide nuvole che sembrano zucchero filato e, nel freddo inverno, la neve che mi copre e mi riscalda.
Cielo.- La tua voce è melodiosa, ora mi piacerebbe toccare la tua pelle.
Allora la Terra si avvicinò ancora un po’ e il Cielo la sfiorò.
Cielo:- Sei morbida come l’erba e la sabbia; ruvida come le conchiglie e le zolle; fresca come l’acqua delle sorgenti, profumata come il nettare dei fiori.Terra:- Grazie per quello che mi hai detto. Anche tu hai molte qualità:- Sei leggero come l’aria, delicato nei gesti, i tuoi colori sono sensibili al tempo, sei ogni giorno diverso. Ora ti devo lasciare, devo tornare indietro, devo tornare a casa.
Cielo:- Mi dispiace che ci dobbiamo separare. Mi sono affezionato a te, se tornerai giù non potrai più sentirmi.
Allora la Terra:- Io torno indietro ma ti lascerò un ricordo che mi porterà la tua voce.
Così sono nate le montagne.

Storia di una goccia d’acqua
La seguente storia collettiva nasce da una esperienza di scienze, in una classe terza. Con l’insegnante i bambini avevano effettuato esperimenti per verificare l’evaporazione dell’acqua.

Azzurrina era una gocciolina che viveva, con le sue sorelline, nel grande mare oceano.
Insieme si divertivano un mondo: si facevano cullare dall’acqua, facevano le capriole e saltavano sopra le onde quando il mare era mosso.
Erano amiche dei pesci e dei gabbiani. Quando i gabbiani si posavano sulla superficie del mare le goccioline sentivano il solletico.
Conoscevano tutta la vita del mondo marino e andavano a scuola.
Il maestro era un vecchio pesce – palla che spiegava le curiosità e i grandi pericoli del mare.
Un giorno di piena estate, le goccioline stavano giocando tra le onde. Tutto ad un tratto cominciarono a sentirsi leggere e, lentamente, iniziarono a salire.
Sentivano un venticello caldo che le trasportava.
Azzurrina ammirava un mondo tutto nuovo: case, campi, strade, colline, viste dall’alto.
Avrebbe voluto scendere per poter osservare meglio.
Nel cielo si sentiva un pochino spaventata perché non vedeva più le sorelline: il caldo le aveva trasportate lontano.
Ad un tratto Azzurrina sentì arrivare un vento gelido che la infreddolì e la fece sentire più pesante.
Guardandosi intorno si accorse che piano piano si erano avvicinate anche le sue sorelline: le aveva ritrovate.
Azzurrina era contenta. Per difendersi dal freddo tutte le goccioline si raggrupparono e formarono una grande nuvola grigia.
Ma il vento non si voleva arrendere e così soffiò sempre più forte: le goccioline diventarono sempre più pesanti e caddero sotto forma di pioggia.
Azzurrina, mentre scendeva, si allungava e aveva paura perchè non sapeva dove sarebbe caduta.
Per fortuna cadde proprio nel mare. Fu un atterraggio veloce e si sentì subito cullata dalle onde. Era ritornata a casa.
Un po’ alla volta tornarono anche tutte le sue sorelline anche se alcune, dovettero fare un percorso più lungo, passando attraverso campi e fiumi.