Con il passo leggero dell’insignificante
abbandono
Non per me
Un certo sentire si è consolidato nel tempo: quando pian piano compariva mi sembrava che tutta la realtà si trasformasse; oggi, dopo un lungo periodo di assestamento, mi sembra che si sia stabilizzato e tutto il circo delle novità è scomparso.
Oggi c’è la realtà senza aggiunte e senza condizionamento rilevante; semplicemente accade la vita e a me non interessa quello che provo, né quello che mi attraversa, né quello che mi accade: non ho interesse particolare per me.
Osservo che lo scopo più evidente di questa esistenza che sto vivendo – non l’unico, immagino – è di mettere a disposizione ciò che si esprime attraverso il mio limite, senza pretesa che sia importante.
Osservo che il rilevante non è il provare, l’esperire, il vivere una libertà: il rilevante mi sembra che sia il gesto del metterlo a disposizione, gesto che non compio io ma, direi, compie la vita.
Il processo dell’abbandonare
Abbandonare significa lasciare fluire ciò che la vita ci manda, senza etichettare, giudicare, soppesare: un’azione, un’emozione, un pensiero sorgono e un attimo dopo già non sono più e in noi non rimane traccia. Allora la vita è veramente un fiume che scorre e in ogni attimo si manifesta “ciò che è” nel suo splendore.
Si giunge a questo stato interiore normalmente dopo un processo che ci vede all’inizio completamente assorbiti nel giudizio e nell’aspettativa: su ogni avvenimento, emozione pensiero abbiamo da dire la nostra e da apporre un’etichetta.
A questo livello possiamo cominciare innanzitutto con il divenire consapevoli del nostro atteggiamento: che cosa sto facendo, sentendo, pensando, ora, in questo preciso istante?
Di ciò che sta accadendo (azione, emozione o pensiero che sia) la mia mente dà una certa interpretazione. Chi è che interpreta, io o la mia mente? Questo è il primo, grande passo: superare l’identificazione io/mente, io non sono la mia mente, essa costituisce la mia identità, la so fondante del mio essere eppure posso non ridurmi ad essa. La mia mente interpreta sulla base del programma in uso in quel momento: se è distruttiva interpreterà ciascun evento come distruttivo o passibile di distruttività. Posso allora distinguermi dal giudizio della mia mente, posso dubitare della sua interpretazione.
L’atto del dubitare è il primo fondamentale evento che mi permette di avviarmi lungo la via dell’abbandono: dubito, dubito e dubito di ciò che recita la mente.
La mente dispone ciò che sta accadendo in relazione con il passato e con un probabile futuro; collega l’azione al pensiero e questo all’emozione, crea cioè un quadro di coerenze basate sulla logica e sulla ragionevolezza.
“E’ accaduta questa cosa perché un anno fa è accaduta quell’altra e perché spinto da quella emozione ho creduto che la scelta migliore fosse fare in quel modo”.
La mente, a questo punto del percorso, non è ancora capace di disconnettere, lo diventerà più tardi; ora ha bisogno di coerenze e, scoprire le connessioni, la gratifica profondamente.
Ma io posso introdurre il dubbio in merito alle sue connessioni, ai suoi percorsi, posso minare la sua credibilità.
Posso disidentificarmi.
Allora il primo passo è vedersi, essere consapevole di che cosa sta accadendo in me in questo momento; il secondo passo è dubitare della mia mente; il terzo passo è disidentificarmi “io non sono la mia mente”; il quarto passo è non seguire la mente nelle sue logiche e nella costruzione delle sue coerenze.
Lungo la via tende a scomparire l’interesse per ciò che la mente recita, siamo sempre meno affascinati e sedotti dai concetti e sempre più attenti e disponibili alla realtà così come essa si presenta a noi: tendiamo ad aderire al reale piuttosto che a pensarlo.
Questo disinteresse per i concetti spesso si associa ad un disinteresse più vasto che riguarda molti aspetti della nostra vita: è come se le cose che abbiamo sempre pensato, fatto o sentito, ad un certo punto non ci interessino più, non ci coinvolgano. Sorge allora e torna ciclicamente in varie stagioni della nostra vita quello che chiamiamo deserto.
Qui non discuterò del deserto ma del perdere interesse per i costrutti mentali: da questa perdita di interesse può avere avvio la pratica della disconnessione: un pensiero è solo un pensiero, un’emozione è solo un’emozione, un’azione è solo un’azione. Non favorisco la strutturazione dell’esperienza ma la sua destrutturazione, lasciando che la mia coscienza sia focalizzata sull’evento presente: non mi interessa nè il prima nè il dopo, nè come si legano e perché quel pensiero a quel sentimento e a quell’ azione; non ho alcun interesse per i costrutti della mente, non sorge in me alcun interesse (non ho detto che non voglio provare alcun interesse, ho detto che non sorge alcun interesse).
Allora quel pensiero è solo un pensiero, non è nè positivo nè negativo, è e basta, e così è quell’emozione e quell’azione. Ogni evento, ogni cosa è ciò che è e nient’altro. Posso affermare questo, se e quando in me non sorge più l’impulso mentale a classificare, etichettare, comparare, in una parola a giudicare.
Più si restringe in me l’impulso a giudicare più si fa largo, più sorge, una quieta disposizione ad accogliere il presente così come esso si manifesta, senza aggiunte.
Sorge, dall’intimo di me, un modo nuovo, fresco, libero: sorge una sintonia con il canto della vita, un’adesione senza ma, senza perché, senza resistenze, senza entusiasmi.
Sorge un’abbandono.
Non per merito mio, non perché sono stato bravo e tenace: sorge come dono, come atto gratuito della vita che mi si consegna in un abbraccio privo di scopo.
10.5.2004
L’abbandono al presente
La sensazione sale come un’onda,
abbandoni;
l’emozione vibra e pervade,
abbandoni;
il pensiero diventa circolare,
abbandoni.
Cosa rimane da fare?
Ad ogni sorgere segue
un abbandono:
qualunque aspettativa,
qualunque desiderio,
qualunque giudizio fiorisce
in un abbandono.
Vedi l’onda che sorge?
E’ l’atto di consapevolezza.
La vedi quando?
Quando è così espansa
che ti ha travolto?
O appena si increspa?
Non ha importanza,
quando la vedi l’abbandoni:
chi abbandona presto
non viene decorato
e chi è lento non viene bastonato.
Ciascuno manifesta il suo modo,
che non lo qualifica, ma lo nega
se può affermare: “io sono così,
ma questo mio essere così è privo
di qualunque interesse per me”.
Il mio modo non mi qualifica,
non mi identifica.
Io non sono il mio modo.
Vedo l’onda che sorge e l’abbandono.
Cosa significa abbandonare?
Un movimento della mente
verso uno Zero.
Zero, Spazio, Niente, Vuoto,
Assenza, Silenzio.
La mente sposta l’oggetto della sua consapevolezza da un pieno
(di sensazione, di emozione, o di pensiero)
ad un niente, si disidentifica dai suoi
oggetti e creazioni e accetta di posarsi
su di uno spazio vuoto.
• la mente diventa consapevole
• la mente abbandona il suo oggetto
• sorge uno spazio, per dinamica propria, non per opera della mente;
in quello spazio si manifesta un Niente.
Niente si manifesta di ciò che posso attendermi:
è il Niente che mi annulla e mi azzera
e si afferma uno Spazio che non è fatto di me,
che non dice nulla di me
e non dice nulla del Niente
eppure qualifica il Niente
come Essere.
Senza accadere, senza scorrere
senza volontà: E’ e basta.
Torna l’onda e si increspa
e abbandono e torno a Zero.
Così, così e ancora così.
Non c’è percorso, non c’è via
di perfezione, non c’è evoluto e non evoluto, maestro e discepolo.
C’è l’incessante ritorno a Zero.
Niente altro.
Tutti i paradigmi dell’uomo si svuotano
e le strutture mentali si frantumano
in questo atto che accade adesso:
abbandono, abbandono e abbandono ancora.
Non c’è via. Perche negare il passo dopo passo,
il ruolo dell’apprendimento e dell’insegnamento,
se tutto nella vita è apprendimento?
Perché tutto questo è nelle logiche della mente, è un costrutto della mente.
Da un altro punto di vista non esiste niente di tutto questo
se non il puro atto di resa, che non ha ne passato ne futuro,
ma solo un presente fatto di Niente.
Accade il Niente.
16.12.2002
Conoscenza di sé, meditazione, contemplazione
E’ il testo di riferimento indispensabile se vuoi introdurti nella via spirituale dall’angolo visuale da noi proposto. In esso trovi una prima parte dedicata alle dinamiche della mente e al come affrancarsi dal suo condizionamento; una parte centrale dove si tratta dell’altro da sé e dell’esperienza degli affetti; una terza parte, molto vasta, dedicata ad una analisi dettagliata dell’esperienza della meditazione, della contemplazione, dell’abbandono, della compassione. Prima di ordinarlo (eremo@contemplazione.it) leggi la pagina Al lettore.
Il libro in formato pdf
Autori: R.Olivieri con G.Cavalieri
Al lettore
Prefazione
Introduzione: L’inspiro che prepara l’espiro
Capitolo 1: La crisi, il dolore
Capitolo 2: L’identificazione col dolore
Capitolo 3: Imparare a dubitare
Capitolo 4: La disconnessione dal recitato mentale
Capitolo 5: Aggiungere e togliere
Capitolo 6: Il deserto
Capitolo 7: La solitudine
Capitolo 8: La caduta della morale
Capitolo 9: L’altro da sé
Capitolo 10: Il buon amico
Capitolo 11: L’esperienza degli affetti
Capitolo 12: Chi opera il cambiamento
Capitolo 13: Natura dell’atto meditativo
Capitolo 14: L’esperienza della contemplazione
Capitolo 15: La routine del quotidiano
Capitolo 16: Tutto sorge e tutto scompare: l’impermanenza
Capitolo 17: Lo sguardo del contemplante
Capitolo 18: La pregnanza di ogni singola esperienza
Capitolo 19: Il sorgere dell’esperienza della compassione
Formato: 14,8 x 21 cm.
Pagine: 307
Contemplare è smettere di cercare
Quante parole! Le parole parlano di noi, le persone che incontriamo parlano di noi,
le notizie al telegiornale parlano di noi:
se abbiamo orecchie per ascoltare e strumenti concettuali per interpretare, ci possiamo accorgere
che tutta la realtà parla di noi, ci descrive, ci smaschera, ci mette in scacco.
Se abbiamo bisogno di essere messi in scacco, va bene.
Ma se cominciamo ad essere stanchi di questo essere sempre nel mezzo, in un fiume incessante di parole, immagini, azioni;
se cominciamo ad avere il dubbio che forse la realtà non parla sempre di noi, forse parla solo di se stessa,
allora ci siamo!
Forse non siamo così importanti, forse sorge in noi il senso di una irrilevanza,
di essere un qualcosa di poco conto, senza che questo ci susciti angoscia.
Possiamo cominciare ad ascoltare?
Che cosa? Semplicemente ciò che accade.
E che cosa accade? La vita!
Ed è importante la vita? Terribilmente!
E noi siamo importanti? Per niente!
Ed è importante la vita? Per niente!
Guarda la luce come danza sulle foglie di quell’albero!
Non sai
Quale ritmo
modula
il tuo respiro?
Non sai
del respiro
che viene.
Meditazione sull’attenderti
Ti aspettavo.
Ero un bambino schivo
e fuggivo nei campi quando
veniva qualcuno in casa.
Lunghe giornate nella solitudine,
nell’ombra, pronto a nascondermi.
Ti aspettavo e non lo sapevo.
Sono venuti poi gli anni
dell’allenamento più intenso;
oggi mi fa tenerezza guardare
a quel ragazzo e a quella lotta
così dura con la mente.
Ti aspettavo
e cominciavo a vedere che cosa
mi separava da te.
Ricordo un campo di raccolta stracci
e la mente che cominciava ad ordinarsi.
Ti aspettavo
e la vita bussava.
Anni e anni con lo sguardo,
rivolto verso il fuori
a discutere di una possibilità nuova.
Ti aspettavo
ma non sapevo da dove saresti venuta.
Poi lo sguardo ha cominciato
a farsi interiore,
a tentoni ti ho cercato.
Ti aspettavo,
non eri lontana.
Ho incontrato lo zen
e mia figlia quasi insieme,
ho riconosciuto il tuo bussare,
ero a casa mia.
Da allora lo sguardo si è fatto
ogni giorno più chiaro
e, da allora, ho iniziato a perdere,
consapevolmente, pezzi di me.
Ho perso, forse sono un po’ distratto,
tutto quello che avevo incontrato,
ma non ho più tolto lo sguardo da te.
Man mano che le esperienze passavano,
non ti aspettavo più, eri li,
potevo cominciare a detendermi.
Avevo vissuto in una tensione continua
verso un qualcosa, un senso,
ed ora quel senso cominciava a prendere forma.
Ti ho incontrata in tutti i miei giorni,
in tutte le mie notti,
in tutti coloro che sono arrivati qui
con una domanda.
Ti incontro ad ogni respiro,
ad ogni movimento dell’aria,
in ogni ombra,
in ogni fruscio tra l’erba.
Non ho più quell’ansia
che mi rodeva,
non ho bagaglio,
non ho direzione,
sono qui e tu sei qui
e io non so proprio chi sono,
ma so abbastanza bene
chi sei tu.
Dedicato a tutti coloro che ti aspettano
perché possano perseverare.
Senza fine
E’ senza fine
il gesto dell’inchinarsi
di fronte alla vita,
dentro alla vita.