Ignoranza ed illusione

Dice Samuele, con la lucidità che gli è propria: “Il rifugio nella mente rappresenta a volte un vero e proprio anestetico. Rapisce i sensi e ti conduce in una zona franca, anestetizzando la vita”.
Fatti di mente, volgarizzeremmo noi. E’ il gioco comune, feriale, quotidiano di tanti di noi, della gran parte degli umani che vive la vita attraverso il filtro irreale di quello che crede, di quello cui aderisce, di quello che desidera.
Costruiamo fotogrammi di un film fantastico basato sulle nostre proiezioni, giudizi, desideri e legando fotogramma a fotogramma lo facciamo scorrere, lo rendiamo coerente ed infine dichiariamo che è noi, la nostra vita, la realtà.
Niente di tutto questo è reale, ma a noi lo sembra e questo ci basta.
L’altro? E’ come lo vedo io. Quel fatto? E’ come me lo racconto. Se non fosse tragico per le conseguenze che produce, sarebbe ridicolo.

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Le comprensioni e il sentire

Non poca letteratura spirituale descrive l’illuminato, o colui che è al termine del proprio cammino spirituale, come un essere pacificato descrivendo, spesso, condizioni d’esistere che albergano più nella immaginazione del discepolo che nella realtà dell’interessato.
C’è una testimonianza che giunge dal piano della coscienza attraverso il lavoro del Cerchio Ifior, che sostanzialmente afferma: “Noi (le guide) che risediamo stabilmente nel mondo della coscienza, ci confrontiamo con l’esperienza dell’essere unità e tra noi e l’Assoluto esiste la stessa “distanza” che c’è tra noi e voi umani. Il nostro “lavoro” non è meno impegnativo del vostro e anche se non conosciamo la sofferenza, il nostro procedere nelle comprensioni non è semplice”.
Ho citato a memoria, le parole sono diverse ma la sostanza è questa.

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Incarnazione di dio?

Non è complesso confutare la tesi del dio-uomo riferita a Gesù di Nazareth, o ad altri: un veicolo umano non può contenere niente altro che una coscienza umana.
Non a caso, quando la coscienza, il suo corpo per essere precisi, ha raggiunto la completezza ad essa possibile, dà luogo all’ultima incarnazione umana, genera per l’ultima volta quella rappresentazione che chiamiamo vita e che è tale perché si manifesta attraverso dei veicoli transitori e limitati: la mente, le emozioni, il corpo fisico.
Da quel punto in poi, quella coscienza diverrà il corpo, il terreno di sperimentazione, il contenitore dei tre corpi spirituali che per ampiezza di sentire la precedono: come il corpo fisico, il corpo emotivo, il corpo mentale sono stati gli strumenti dello sperimentare della coscienza e di ciò che attraverso essa transitava, così la coscienza diviene il terminale dei corpi con una maggiore ampiezza di sentire e il piano della coscienza, il suo mondo, diviene l’ambiente nel quale quella manifestazione avviene, così come l’ambiente fisico-terrestre è stato l’ambiente della manifestazione della coscienza e dei suoi veicoli.

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Imparare e contemplare

Imparare e contemplare sono due livelli differenti di esperienza: il primo apre la porta al secondo.
Imparare significa essere disposti a vivere ciò che viene, a sviluppare ed alimentare conoscenza, consapevolezza, comprensione.
Il vivere, lo sperimentare produce senza sosta l’acquisizione di tasselli di comprensione, di atomi di sentire: il processo dell’imparare non ha fine ed ogni passo amplia il sentire e struttura la comprensione propria del corpo della coscienza.
Mentre questo accade, nel ventre dell’accadere se la persona ha la giusta disposizione ed è sorretta dalle comprensioni necessarie, si può aprire la porta ad uno sperimentare nuovo e più profondo: l’azione che insegna nella sua profondità diviene l’azione che è.

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