Morire, rinascere, comprendere

In certi ambienti non si dice “Buona Pasqua!” ma “Buona rinascita!” E’ un’espressione che ho usato anche io in passato, finché non ne ho colto il limite.
Oggi, se qualcuno mi augura di rinascere mi viene da rispondere “No, grazie, ne faccio volentieri a meno.”
Siamo in periodo pasquale, oggi è il venerdì santo, la morte di Gesù.
Il mito racconta che si troverà poi la sua tomba vuota e che, dopo un po’ di tempo, alcuni che l’avevano conosciuto, avranno esperienze interiori tali da poter dire di aver rincontrato il Maestro.
I due di Emmaus dicono di incontrare uno straniero, quindi una figura a loro non conosciuta nelle sue apparenze ma, quando questa parla e condivide gesti e situazioni allora sorge in loro l’evidenza che è lui, il Maestro.

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Il mito della natura incondizionata

Un amica ci invia questo link relativo alla formazione dei nostri figli e all’educazione in genere.
Le tesi sostenute, comuni a tanto pensiero libertario, a mio parere non rispondono a molte domande.
Esiste una natura incondizionata dell’essere umano? Quella che determinate correnti spirituali chiamano il Sè corrisponde certamente a quella natura, ma l’umano, nel suo cammino incarnativo, con quali dimensioni ha a che fare?
Quale struttura antropologica ne governa la manifestazione?
Noi diciamo, seguendo l’insegnamento del Cerchio Firenze 77 e del Cerchio Ifior, che l’incarnazione umana è momento funzionale alla edificazione del corpo della coscienza: una coscienza genera una sequenza di molte decine di rappresentazioni/vite attraverso le quali acquisisce i dati/comprensioni e gli atomi di sentire che ne vanno a costituire il corpo.

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Incarnazione di dio?

Non è complesso confutare la tesi del dio-uomo riferita a Gesù di Nazareth, o ad altri: un veicolo umano non può contenere niente altro che una coscienza umana.
Non a caso, quando la coscienza, il suo corpo per essere precisi, ha raggiunto la completezza ad essa possibile, dà luogo all’ultima incarnazione umana, genera per l’ultima volta quella rappresentazione che chiamiamo vita e che è tale perché si manifesta attraverso dei veicoli transitori e limitati: la mente, le emozioni, il corpo fisico.
Da quel punto in poi, quella coscienza diverrà il corpo, il terreno di sperimentazione, il contenitore dei tre corpi spirituali che per ampiezza di sentire la precedono: come il corpo fisico, il corpo emotivo, il corpo mentale sono stati gli strumenti dello sperimentare della coscienza e di ciò che attraverso essa transitava, così la coscienza diviene il terminale dei corpi con una maggiore ampiezza di sentire e il piano della coscienza, il suo mondo, diviene l’ambiente nel quale quella manifestazione avviene, così come l’ambiente fisico-terrestre è stato l’ambiente della manifestazione della coscienza e dei suoi veicoli.

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Imparare e contemplare

Imparare e contemplare sono due livelli differenti di esperienza: il primo apre la porta al secondo.
Imparare significa essere disposti a vivere ciò che viene, a sviluppare ed alimentare conoscenza, consapevolezza, comprensione.
Il vivere, lo sperimentare produce senza sosta l’acquisizione di tasselli di comprensione, di atomi di sentire: il processo dell’imparare non ha fine ed ogni passo amplia il sentire e struttura la comprensione propria del corpo della coscienza.
Mentre questo accade, nel ventre dell’accadere se la persona ha la giusta disposizione ed è sorretta dalle comprensioni necessarie, si può aprire la porta ad uno sperimentare nuovo e più profondo: l’azione che insegna nella sua profondità diviene l’azione che è.

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