scarabocchio

Quando un genitore muore e lascia dei figli piccoli

Accade che una madre, o un padre, debbano separarsi dai loro figli quando questi sono ancora piccoli e avrebbero bisogno di quella presenza al loro fianco.
Un genitore deve lasciare per diverse ragioni: perché muore; perché si separa in malo modo; perché emigra.
Qui ci interessa trattare il primo caso. Accade di morire giovani, con figli ancora piccoli.
Molte volte abbiamo detto che nessuno muore prima che il proprio calendario sia finito: non un giorno prima.
Ma chi resta, come fa? Come fanno quei bambini senza più quel volto, quella presenza, quelle attenzioni, quella mano che li accompagna?
Sono di quel genitore, quei figli? Sono di quella madre, di quel padre? Siete sicuri?
Oppure quella madre, quel padre sono stati gli strumenti attivi di un progetto esistenziale che li precede e che va ben oltre loro?
Un figlio è, dal nostro punto di vista, un progetto e un processo che contempla la presenza del genitore, ma non è da essa condizionato.
Cosa significa? Che quel progetto/processo proseguirà comunque, a prescindere dalla sopravvivenza di coloro che l’hanno avviato, perché quel processo è esistenziale e si sostanzia nella relazione, nelle esperienze, nel tempo, nella conoscenza, nella consapevolezza, nella comprensione: la scomparsa di quel genitore impatta nell’esistenza del figlio, ma non la stravolge nel suo impianto esistenziale.
Quell’impatto così duro è tale da condurre allo smarrimento, o non è invece una condizione orientante, esplicitante  e rivelante il processo stesso?
Un genitore morendo toglie qualcosa a quel figlio o, invece, dona qualcosa che, dal momento che accade, è già dentro l’ecologia di quel tracciato esistenziale che lo accoglie: non che lo subisce, ma che, nel profondo, lo accoglie perché anche quella separazione è la sua vita.
Dona il genitore, attraverso il trauma della separazione, una possibilità di conoscenza-consapevolezza-comprensione nuove alle proprie creature?
Quel seme che muore, nel tempo darà vita?
Noi, nella nostra limitata visione, diciamo che nulla accade a caso: né il nascere, né il morire, né il perdere una persona amata.
Coloro che rimangono saranno certamente i più adatti a prendere per mano quei figli e ad accompagnarli là dove essi non possono che andare; questo perché il processo esistenziale di ciascuno di noi non dipende dagli altri e sempre, nell’ambiente di relazione, trova le risorse necessarie al perseguimento del proprio scopo esistenziale.

Immagine da http://granellidipsicologia.com/2013/01/


 

realtà soggettiva

La realtà soggettiva, la realtà oggettiva

Vi invito vivamente a leggere e a riflettere su questa parole che giungono da una fonte quantomai autorevole, il Cerchio Firenze 77: qui potete scaricare l’intero testo in pdf.

FRANCOIS – Degli altri voi non vedete la realtà del loro essere, ma vedete quello che appare. Ciò significa che vedete, al massimo, quello che gli altri mostrano di sé.
Non solo, ma anche l’immagine che gli altri danno dl se stessi può essere da voi distorta, può essere esaltata o peggiorata.
Così che quando vi innamorate di qualcuno, vi innamorate di una immagine. Chissà se il vostro innamoramento potrebbe persistere se di chi amate conosceste non l’immagine, ma la realtà.

DALI – Il fatto che gli altri vi mostrano solo un’immagine, e non la realtà, è talmente vero che si può dire sia una pura coincidenza che, talvolta, le intenzioni degli altri corrispondano alle intenzioni che voi credete che gli altri abbiano.
Il più delle volte, invece, voi attribuite agli altri intenzioni che gli altri non hanno; oppure non vedete le loro vere intenzioni e su quello che voi pensate che gli altri siano, sull’immagine che di essi vi siete fatti, costruite la vostra relazione con loro, il vostro mondo. Non crediate che quello che io dico si riferisca a casi o persone limite: è cosa di tutti e di tutti i giorni.

KEMPIS – Quindi, gli altri non sono importanti per voi a condizione che riusciate a cogliere la loro vera realtà, il loro vero essere; ma sono importanti per le reazioni che in voi riescono a suscitare; e le suscitano solo se voi siete sensibili a quegli stimoli che essi volontariamente o involontariamente vi inviano.

DALI – Perciò gli altri sono per voi come una sorta di specchio; essi possono su voi solo ciò che voi permettete che possano. Ma non “permettere ” nel senso di ” concedere “, cioè come colui che ha un’autorità e che accondiscende a qualche richiesta; ma ” permettere ” nel senso di lasciare che gli altri abbiano presa su voi, essere in loro balìa; che poi, invece, è spesso essere in balia della propria immaginazione e della propria debolezza.

KEMPIS – Gli altri, per voi, non sono tanto creature reali quanto immagini costruite dalla vostra mente, spesso animate dalla vostra immaginazione. Ma sono proprio quelle immagini e proprio quel processo che le crea, che fa sì ch’esse meglio si adattino ai vostri bisogni evolutivi, che rende le relazioni degli uomini altamente produttive ai fini della maturazione della coscienza individuale. […]

CF77. Estratto dal libro “le Grandi verità ricercate dall’uomo” – Edizioni Mediterranee.
Tratto da: http://is.gd/R0WhfL

amore

La natura dell’amore

Vito Mancuso parla di amore come fenomeno che si sviluppa nella dipendenza, nel possesso, nella esclusività.
Alla fine del post trovate i brani salienti evidenziati e nel link l’intera intervista a Franco Calabrò in pdf.
Vito, nel parlare dell’amore, parla di ciò che noi chiamiamo affetto e che è, per sua natura, condizionato dai bisogni delle identità che condividono l’esperienza.
Se fosse solo questo, sarebbe una questione di termini e di niente altro. Ma Vito dice che è nella logica cosmica dell’amore essere l’agente che lega, che crea dipendenza e possesso.
Qui fa una notevole confusione e temo non abbia visto bene: l’amore attiva il processo dell’incontrarsi, dell’aggregarsi e attraverso quel processo conduce al superamento di ogni dipendenza e di ogni possesso.
L’amore è processo creativo innescato da una forza unitaria, non duale: quella forza, quando impatta con l’umano, diviene processo che da un punto conduce ad un altro punto, essendo tutto nell’umano soggetto al divenire e al tempo.
L’amore conduce due persone ad incontrarsi, ad innamorarsi, a vivere la stagione della maturità affettiva condizionata ancora dal bisogno uno dell’altro, da un certo tasso di dipendenza, da una possessività di vario grado: tutto questo è mosso da quella forza chiamata amore, ma non la esprime; certo, forse, per sommi tratti, la prefigura.
Siamo ancora lontani dall’amore perché ancora alto è il condizionamento che le identità introducono.
Molti di noi arrivano a miglior vita che mai hanno, se non per lampi e frammenti, vissuto l’esperienza dell’amore.
L’amore nulla ha a che fare con la dipendenza.
L’amore nulla ha a che fare con il possesso.
L’amore nulla a che fare con l’esclusività.
Quando la persona sperimenta l’amore non può dire: “Io amo!” perché l’amore non ha un soggetto, né un oggetto.
L’amore è un’esperienza che nella gratuità sorge e diviene sperimentabile, e nella gratuità tramonta e ci lascia dentro ai nostri piccoli attaccamenti.
L’amore è la forza che ci conduce ad incontrarci, ad intrigarci, a collaborare, a condividere e, mentre viviamo questi processi, ci rende liberi dalla dipendenza, dal possesso, da noi stessi.
Man mano che l’amore si innerva in noi, trasforma l’intero ambito del nostro vivere, delle nostre relazioni, del nostro essere.
Alla fine, quando la sua azione è giunta a maturità, l’amante e l’amato sono scomparsi come soggetti che possono affermare: “Io ci sono, io amo”.
L’esperienza dell’amore è, allora, universale e copre tutti gli esseri e tutte le creature.
La coppia non esiste più in quanto tale e i due, se hanno proceduto nella comprensione assieme, sono testimoni dell’amore senza nome che accade.


Intervista a Vito Mancuso di Paolo Calabrò
[…] Questo a significare che, quando parliamo dell’amore, parliamo certamente di un sentimento – è chiaro che la prima manifestazione dell’amore sia il sentimento, all’interno del mondo degli umani – ma questo sentimento a sua volta rimanda a quella logica di cui ho parlato finora: cioè quella logica cosmica che porta gli enti ad aggregarsi ad altri enti, quelli piccolissimi come quelli grandissimi.

Se si tratta di una cosa così innata e intrinseca a tutto ciò che esiste: perché è così difficile vivere liberamente e serenamente l’amore? Perché l’uomo rimane invischiato nelle tante autocensure e regolette morali tipiche della nostra cultura? Soprattutto: si può venirne fuori? È infine possibile vivere l’amore come libertà?

Comincerei col chiarire che è colpa della cultura soltanto in parte: è vero che sono tante le istanze culturali che tendono a trasformare il “fiore” dell’amore, sbocciato spontaneamente nel campo, in fiore di serra, e poi in pianta d’appartamento (​ride);​in una parola, a irregimentarlo. Però qui occorre chiedersi: com’è che queste regole sopravvivono al passare dei secoli, delle organizzazioni collettive e delle morali? Una parte va certamente addebitata alla società, che non è perfetta. Ma a mio avviso tutto nasce ancor più a monte, da quel sentimento delicatissimo e peculiare che è l’amore e che non è indipendenza. Se lo si guarda più da vicino si scopre che il senso del precetto, della legge, della convenzione, non nasce semplicemente dall’imposizione eteronoma di una società cattiva: esso sorge piuttosto dalla dimensione più viva che è alla radice del fenomeno dell’amore, che è un fenomeno di dipendenza: si vuole che l’altro – o l’altra – dipenda da noi. E il legame (o il legaccio, se vogliamo evidenziarne l’aspetto negativo) è già insito in esso: ciò spiega come mai gli esseri umani, ancora oggi, si leghino tra di loro. In passato c’era il clan che assegnava a ciascuno il marito o la moglie, e c’era tutta una struttura sociale che in maniera pervasiva legava il singolo dalla nascita alla morte: non c’era spontaneità nell’amore, i matrimoni erano programmati eccetera eccetera. Ma oggi non è più così, almeno in Occidente: e tuttavia gli esseri umani sentono ancora il bisogno di legarsi. Perché dunque è così difficile ritrovare quella spontaneità originaria, oggi, dove la libertà individuale lo permetterebbe? Perché si tratta di un equilibrio delicato, perché se c’è l​’amore -​vorrei precisare che non sto parlando d​egli amori (che è tutto un altro campo, anch’esso a suo modo interessante per l’esplorazione intellettuale), dell’avventura, quella di cui canta Battisti, dove meno legacci ci sono, meglio è – insomma, se c’è l’amore, cioè quel sentimento assoluto che provoca un’attrazione irresistibile, allora c’è, per così dire a​automaticamente anche il desiderio del possesso, dell’esclusività. Quando questa cosa viene meno, si può probabilmente dire che anche l’amore, nel senso più pieno, sia venuto meno (del resto non c’è da sorprendersi: l’amore è energia, è qualcosa che va e che viene), o che forse sia entrato in una nuova fase del suo sviluppo. […]


Primi passi nel Sentiero contemplativo

Ciclo di incontri introduttivi alla visione della vita, di sé, delle relazioni proposta dal Sentiero contemplativo.
Il percorso formativo è rivolto:
– a coloro che vogliono introdursi alla conoscenza di sé e sono disposti ad affrontare il proprio vittimismo, a divenire artefici della propria vita, a trovare l’essenza del proprio essere che si svela solo nell’accoglienza piena del proprio limite;
– a coloro che, nella piena espressione di sé, sono disposti a scoprire la propria irrilevanza;
– a coloro che già frequentano il gruppo L’essenziale e sentono la necessità di formarsi maggiormente sui temi di base della via interiore e del Sentiero contemplativo.

Il percorso è normalmente costituito da 3 o 4 incontri dopo i quali si può frequentare il gruppo di approfondimento L’essenziale.

Conduzione: Roberto Olivieri.
Le date verranno decise insieme ai partecipanti.
La durata di ogni incontro sarà di 90-120 minuti.
Il percorso è gratuito e si svolge presso l’Eremo dal silenzio a San Costanzo (PU); inizia quando c’è un numero sufficiente di partecipanti.

Per informazioni: eremo@contemplazione.it
Il calendario di Primi passi attualmente in corso.

Le persone che si iscrivono incontrano preliminarmente e individualmente il conduttore: senza questo incontro l’iscrizione non avrà seguito.
Dopo essersi iscritti occorre fissare una data per l’incontro individuale scrivendo a eremo@contemplazione.it, o telefonando al 327 3967523.

Per iscriversi compilare il modulo sottostante.

Immagine da http://is.gd/mTXel9