Contemplazione: ogni momento compiuto in sé

Rispondevo a una sorella che mi chiedeva del mio stato di salute post-intensivo: “Vado meglio ma ancora c’è un rifiuto e per le frequenze alte e per l’impegno cognitivo”.

Mi ha risposto: “C’è fretta? Ogni momento è compiuto in sé”. Risposta ineccepibile che mi ha fatto a lungo riflettere.

In questo stato di debilitazione dei corpi transitori e di costrizione a vivere stati che non riconosco, che stento a integrare (pomeriggi a guardare film, ad esempio), l’esperienza unitaria – che mi accompagna quasi senza soluzione di continuità – si appanna e questo viene sentito come una coartazione, un non essere a casa, una fratturazione. Dove risiede il mio limite di comprensione in questo caso?

Nella non resa, è evidente. Se ci fosse resa reale e totale al Ciò-che-È, non sarebbe giunta quella frase della sorella, quella campana di allerta. Questo è un fatto, ma la cosa non è così semplice.

Lo stato unitario che prevale da anni ha creato degli equilibri interiori tra tutti i corpi e dell’essere nel suo insieme: è come l’ecosistema di uno stagno che vive l’alternarsi delle stagioni, i ritmi di vita e morte, di crescita e declino, di difesa e predazione ed è stabile nel suo incessante mutamento. La mia realtà è identica, l’unità è un insieme di processi, è vita complessa sentita in modo unitario.

In questo ecosistema interiore, la debilitazione dei tre corpi transitori a causa di una irradiazione troppo potente e troppo protratta del corpo akasico, assomiglia alle conseguenze sullo stagno del versamento di un inquinante, o dell’incendio del canneto: la complessità dei ritmi e degli stati risulta irrimediabilmente compromessa e il sistema si attiva per ristabilire l’equilibrio.

Nel mentre il nuovo equilibrio avanza, la consapevolezza del disequilibrio è particolarmente alta: non siamo di fronte a una immagine di sé che si lamenta per lo stato perduto, ma nel pieno di un processo di riequilibrio che ha le sue consapevolezze e i suoi costi.
Il problema non è se mi toccano pomeriggi di film più o meno interessanti, se la consapevolezza registra una coartazione: il problema risiede nella consapevolezza di un equilibrio rotto, di una unità che non si manifesta pienamente perché alcuni veicoli impediscono il risuonare unitario.

Mancando il contributo di alcuni corpi il suono della campana è stonato, l’ecosistema dello stagno è stressato dal canneto bruciato: la consapevolezza unitaria, la mia e quella dello stagno, registrano lo stato delle cose e ricostruiscono l’ambiente equilibrato.

Ecco la chiave della questione: non c’è fretta, ogni momento è compiuto in sé ma il sistema non è a riposo, non è statico, immediatamente cerca di ricostruire la situazione di unità e di equilibrio che può permettersi.

È chiaro che ogni momento è compiuto: se c’è il film, c’è il film e lì si realizza l’unità relativa possibile, il Ciò-che-È di quel momento: questo è l’Essere. Ma, nel divenire, a uno stato di Essere ne succede un altro, da un sentire di un dato grado a un sentire di grado più ampio, ciascuno un Ciò-che-È conchiuso in sé. Tanti Ciò-che-È in sé bastanti (nell’Essere), ma anche un divenire da uno stato a un altro stato (nel divenire).

Essere e divenire: la loro infinita danza e indivisibile natura, avendo chiaro che ciò che appare come due è una rappresentazione di ciò che è Uno e, in quanto rappresentazione, non è reale ma solo apparente.

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Kita-lu

Grazie per aver condiviso.

Catia Belacchi

Comprendo appieno quello che dici, sia perché anche se in misura minore ho provato quello stato di disequilibrio di cui parli, sia perché attualmente vivo un disequilubrio dei corpi, provocato da altro, tutte scene per me e perfette così come sono, ma riprendi i a respirare solo quando incominci a intravedere l’uscita.
Almeno così è per me :il ciò che è, è perfetto dal punto di vista dell’Essere, ma lo squilibrio nel divenire ha bisogno di tornare equilibrio.

Natascia

Suggerirei di valutare la presenza nella prossima VDM.
Poi, comprendo che ogni momento è compiuto in sé, ma è necessario riequilibrare i corpi e potrebbe richiedere altro tempo.

A noi monaci l’impegno di preservare l’ambiente ai nostri incontri.

Mariela

Effettivamente che fretta c’è? Nell’ottica del non tempo la fretta non esiste, tuttavia la sofferenza è presente e spesso vogliamo che finisca prima possibile. Nella sofferenza intestinale di questo periodo vorrei che terminasse prima possibile eppure questo “andare contro” genera ancora più attrito. Vivere il riequilibrio con i suoi tempi è un modo per tornare all’Essere.

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