Il commento di uma al post [braak4]
[→uma] Capitolo con una messe di spunti.
” il Chan costruì la propria identità in opposizione alle altre scuole buddiste, e persino al buddismo stesso, come scuola dell’«illuminazione improvvisa» (dunwu) piuttosto che della «coltivazione graduale» (jianwu).”
Chi ci ha seguiti nel commento ad alcuni libri dello Shōbōgenzō di Dōgen ha già le basi per comprendere quanto diremo di seguito, certamente le hanno i monaci del Sentiero.
Se per “illuminazione” si intende la comprensione della natura della Realtà, comprensione che pone termine al saṃsāra, allora entrambe le scuole di pensiero del Chan hanno grossi limiti e sembrano vedere solo aspetti relativi della questione.
Perché la loro visione è relativa? La risposta per noi ovvia è: perché non hanno accesso a una comprensione della reale natura umana, a una antropologia e fisiologia spirituale che inquadri chiaramente il tema della coscienza, o del Sé/Individualità. Non avendo chiara la natura dell’Individualità sorgono le molteplici interpretazioni.
Non abbiamo certo la pretesa di dire una parola risolutiva in merito, ma sono secoli e secoli che per via esoterica vengono trasmesse visioni abbastanza accurate della costituzione umana, negli ultimi due secoli riassunte nella visione teosofica. Sappiamo quanto il pregiudizio verso la sapienza esoterica sia radicato in alcuni, non è chiaramente a costoro che ci rivolgiamo.
A cavallo tra il secolo scorso e l’attuale, due esperienze di comunicazione da altri piani di coscienza hanno ulteriormente chiarito ed esemplificato quanto era già noto da tempo: il Cerchio Firenze e il Cerchio Ifior hanno diffusamente parlato della strutturazione della coscienza (il CI con particolare dettaglio) e la loro visione del tema da un punto di vista sovra-umano determina un contesto che è impossibile ignorare. Qui provo a esporre alcuni principi di base utili allo specifico di cui discutiamo; per necessaria sintesi riduco all’osso questioni che avrebbero bisogno di molte declinazioni: senza basi quello che affermerò sembrerà confuso e paradossale.
- La coscienza/corpo akasico/Sé/(Individualità) è l’agente composto di sentire che genera l’individuo umano con i suoi corpi: mentale, astrale, fisico.
- Dal punto di vista dell’Essere, l’Individualità di cui la coscienza/corpo akasico dell’incarnato è parte, non evolve secondo le logiche umane, è oltre lo scorrere temporale, è sentire compiuto.
L’Individualità è un Giano bifronte: è a cavallo tra Essere e divenire. - Quel sentire compiuto – nell’aspetto dell’Individualità rivolto al divenire, non all’Essere – diviene sentire relativo che diviene, si struttura, si amplia.
- La coscienza che genera l’individuo incarnato riflette l’Individualità rivolta al divenire ma è orientata da tutto il sentire compiuto contenuto nella Individualità rivolta all’Essere.
- Ne consegue che, simultaneamente, l’umano è coscienza relativa e coscienza compiuta, dove la coscienza relativa è l’interfaccia tra la coscienza compiuta e l’esperienza che si attua attraverso i corpi transitori nel divenire.
- La realtà personale di ciascuno si svolge all’interno di questa forbice:
– è realtà in divenire determinata dai processi di apprendimento propri della coscienza relativa;
– è realtà che non diviene, che È, perché il sentire compiuto è all’origine di tutto. - L’umano dunque diviene ed È (ma se questa espressione non ha alle spalle una solida formazione e comprensione non chiarisce niente):
– diviene, perché nell’ottica che sappiamo illusoria del divenire, la coscienza apparentemente si amplia e si struttura;
– È, perché a un livello più alto di Realtà, nulla diviene e il sentire è già compiuto. - Ne consegue che l’umano incarnato può essere interpretato come già illuminato o come colui che lo diviene: sono vere entrambe le conclusioni quanto false.
- L’umano incarnato è la manifestazione di un sentire compiuto che si manifesta in maniera relativa. Questo umano incarnato non è illuminato, è condizionato dal divenire.
- L’umano incarnato non esprime la pienezza del sentire compiuto (Individualità) ma solo una frazione di essa, e non può bypassare la sua condizione di incarnato e di sentire relativo connettendosi al sentire compiuto: non può farlo perché non ha il corpo della coscienza/akasico costituito, non ha il veicolo per sentire il sentire compiuto.
- Ecco che esiste l’illuminazione di tutti gli esseri, esiste nel sentire compiuto, ma non esiste nella manifestazione di questo nel divenire.
- Nel divenire il sentire diviene, l’illuminazione, la possibilità di uscire dal saṃsāra, è frutto di processi.
- L’equivoco nasce dalle cosiddette illuminazioni immediate/istantanee: esse non sono il superamento del divenire e l’affermazione dell’Essere che si realizza per una qualsiasi ragione improvvisa e imprevista (ad esempio: il colpo di bastone del maestro, il tocco della campana), sono l’evento che accade in una data vita quando il corpo della coscienza/akasico termina, proprio in quella incarnazione, la sua evoluzione e strutturazione.
Ecco allora che tutta la trasformazione del sentire avvenuta nel corso di decine di vite emerge in un dato momento. Non è un miracolo, è solo la punta di un iceberg che si è formato nei millenni ma viene consapevolizzato in un attimo del presente. - Non esiste alcuna illuminazione istantanea, è un grossolano errore di percezione e di interpretazione.
Più in generale non esiste nessuna possibilità di perseguire l’illuminazione: essa, intesa come completamento del sentire di coscienza, giunge come frutto del vivere, Zen o non Zen, Via o non Via.
Tutti giungono infine – solo vivendo – alla pienezza dell’esistere e questo perché, vivendo, il loro sentire si amplia e struttura. - Non c’è alcuna scorciatoia che permette a un sentire relativo di divenire compito: un sentire compiuto è un corpo akasico costituito e questo si struttura solo attraverso le esperienze nel mondo del divenire.
Continua…
Stampato, da leggere
Grazie
In questo post, trovo un condensato di tutti i temi discussi in questi anni. Grazie