Contemplazione: alla radice del “prendersi cura”

Qui non affronto mai le questioni relative a chi è immerso nella soggettività, un ambito in cui la contemplazione trova poco spazio, e anche sul tema del prendersi cura dell’altro da sé mi rivolgo essenzialmente a coloro che possono essere oltre l’identificazione.

Cosa c’è alla radice di quella spinta che ti porta alla cura dell’altro? È una domanda che mi interroga ogni giorno e, osservandomi in profondità, posso distinguere non una ma due radici:
– la radice di Amore che nutre l’intero albero e lo porta, con discrezione e discernimento, all’accudimento;
– la radice che dà stabilità all’albero facendolo sentire di Essere e di Esistere.

È un bisogno della coscienza il sentirsi d’Essere e d’Esistere? Non direi. È un desiderio della soggettività? Non saprei. È, a mio parere, qualcosa di più profondo della soggettività e che attraversa la coscienza conducendo direttamente alla Fonte.

Cerco di spiegarmi. Anche l’Assoluto Essere sente di Essere ed Esistere e dunque lo stesso sentono tutti gli stati di coscienza che precedono quel livello di sentire.
Nell’umano incarnato il sentire di Essere ed Esistere genera anche una ricerca di quel senso, non è solo un dato da contemplare, qualcosa che c’è e di cui si prende atto: l’umano cerca quel senso perché è appagante, è la base di ogni appagamento, potrei dire che tutto quello che l’umano briga è in fondo per sentirsi d’Essere e d’Esistere nella sfera identitaria e trans-identitaria.

Il contemplativo sente meno quella attrazione nella sfera identitaria, ma la sente comunque e in maniera lucida avverte quella attrazione che lo induce a operare per attivarla. Prendersi cura dell’altro da sé è uno dei modi di reiterare quello stato d’Essere e d’Esistere, di lasciare che riverberi in tutti i corpi infondendo la sua vibrazione inequivocabile portatrice di un così peculiare senso.

Ma il contemplativo si confronta anche con la necessità di superare questo meccanismo così profondamente istintivo, ovvero si pone il problema di viverlo contemplandolo più che agendolo. Dicevo che anche l’Assoluto Essere sente di Essere ed Esistere, ma questo non lo spinge ad alcuna azione, è pura consapevolezza: il contemplativo che può indagare a questa profondità cerca di coltivare la pura consapevolezza di Essere ed Esistere, agendo solo nel caso in cui anche la radice di Amore si inserisca nel flusso.

Sottoscrivi
Notificami
guest

2 Commenti
Newest
Oldest Most Voted
Inline Feedbacks
Vedi tutti commenti
Catia Belacchi

Il senso di essere e di esistere è un sentire primordiale, fondante ogni individualità; senza di essi non ci sarebbe individualità, non ci sarebbe vita .
Anche l’Assoluto sente di esistere, pur nella sua immobilità perchè altrimenti neanche Lui sarebbe.

Natascia

Un’indagine senza fine. Chi dubiterebbe che il prendersi cura non sia soltanto la conseguenza dell’amore?.
Tutto viene messo in discussione, perché si possa trasformare il gesto in atto contemplativo.

2
0
Vuoi commentare?x