Fonte: capitolo “Documenti” Shobogenzo zazen shin (anno di redazione da parte di Dōgen:1242) del MANUALE DI MEDITAZIONE ZEN, di Carl Bielefeldt. Berkeley e Los Angeles: University of California Press, 1989.
Quando necessario proporremo la traduzione di Aldo Tollini comparsa nel suo: Pratica e illuminazione nello Shōbōgenzō. Ubaldini editore. Proporremo inoltre alcune traduzioni di Nishijima-Cross.
[→uma] Il grassetto è sempre del curatore e sta a indicare passaggi rilevanti, argomenti che verranno affrontati nei commenti che seguiranno. [/uma]
[CB] Nan-yüeh (Ta-hui, ndr) disse: “Lo sto lucidando per farne uno specchio”.
Dobbiamo essere chiari sul significato di queste parole. C’è sicuramente un principio nel lucidare [una piastrella] per farne uno specchio: c’è il koan della realizzazione; non si tratta di un semplice espediente vuoto. Una piastrella può essere una piastrella e uno specchio uno specchio, ma se ci sforziamo di indagare il principio della lucidatura, scopriremo che ci sono molti esempi di questo principio. Il vecchio specchio e lo specchio luminoso sono specchi realizzati attraverso la lucidatura di una piastrella. Se non ci rendiamo conto che questi specchi derivano dalla lucidatura di una piastrella, allora i Buddha e i Patriarchi non hanno nulla da dire; non aprono la bocca e noi non li percepiamo mentre espirano.
Ta-chi disse: “Come puoi produrre uno specchio lucidando una piastrella?”.
Infatti, anche se [colui che] lucida la piastrella è un uomo esperto, che non prende in prestito alcun potere da un altro, lucidare una piastrella non è produrre uno specchio. E, anche se produce uno specchio, deve essere veloce nel farlo”. 14
14 Il “vecchio specchio” (kokyo) e il “luminoso specchio” (meikyo) sono, ovviamente, simboli venerabili della natura di Buddha o della mente di Buddha. L'”uomo di ferro” (tekkan) è il praticante Zen esperto.
Nan-yüeh rispose: “Come si può realizzare un Buddha stando seduti in meditazione?”.
Questo si capisce chiaramente: c’è un principio per cui la meditazione seduta non permette di fare un Buddha; non c’è nulla di oscuro nel messaggio essenziale.
Non c’è nulla di oscuro nel messaggio essenziale che la realizzazione di un Buddha non è collegata alla meditazione seduta.
Ta-chi chiese: “Allora, cosa è giusto?“
Queste parole sembrano una semplice domanda su questa [questione pratica di cosa fare], ma stanno anche chiedendo quella [giustezza finale]. Dovreste capire [che la relazione tra cosa e giusto qui è evidente], per esempio, l’occasione in cui un amico incontra un altro: il fatto che lui sia mio amico significa che io sono suo amico. [Similmente, qui i significati di] cosa e giusto emergono simultaneamente.15
15 La domanda di Ma-tsu qui (ikan sokuze) potrebbe essere espressa in modo più naturale con “Cosa dovrei fare?” Ma Dogen sembra suggerire che la domanda “cosa” (ikan) sia essa stessa ciò che è “giusto” (sokuze), o che, come nel rapporto tra “comprendere” e “diventare un Buddha”, siano interdipendenti. Come dovrebbe essere evidente dalla quantità di interpolazioni nella traduzione, il passaggio è altamente ellittico. [/CB]
[Tollini traduce] Daijaku disse:”Come puoi ottenere uno specchio lucidando una tegola?”. Veramente, per
quanto possa trattarsi di un uomo duro come il ferro che non richiede la forza altrui, la lucidatura (di una tegola) non può produrre uno specchio. E anche nel caso che indichi la produzione di uno specchio, bisogna che si faccia in fretta.104
Nangaku disse:” Come puoi diventare un Buddha facendo zazen?“105
È chiaro che vi è il principio per cui non ci si deve aspettare di diventare un Buddha facendo zazen. Non è un segreto il concetto per cui zazen non ha nulla a che fare col diventare un Buddha.
Daijaku disse:” Allora, come si deve fare?“.
Queste parole possono sembrare semplicemente una domanda sullo zazen, ma sono anche una domanda sul “come fare?” per diventare un Buddha. (È come) per esempio il momento in cui un amico incontra un amico. Il fatto che io sia suo amico significa che lui è amico mio. Così il “Come” (lo zazen) e il “si deve fare?” (il diventare un Buddha) si manifestano contemporaneamente.106
104 In fretta perché, richiederebbe molto tempo.
105 Il senso è: così come non si può produrre uno specchio dalla lucidatura di una tegola, allo stesso
modo, non si può fare un Buddha con lo zazen.
106 Cioè: sono come due amici che si riconoscono a vicenda e si manifestano contemporaneamente.
Quindi lo zazen e il diventare il Buddha sono complementari e si manifestano insieme.
[Il commento di Tollini] Com’è possibile ottenere uno specchio dalla lucidatura di una tegola? Veramente, per
quanto si lucidi con forza, una tegola non diventerà mai uno specchio!
Allo stesso modo, come si può diventare dei Buddha facendo zazen? Per quanto si pratichi, per quanto impegno ci si metta, sedersi in zazen non porterà mai alla buddhità! La pratica dello zazen non serve per diventare Buddha! Zazen e Buddha sono due concetti diversi, che appartengono a sfere separate, come le tegole e gli specchi che non hanno a che fare gli uni con gli altri.
Allora sorge spontanea la domanda di Daijaku, ormai confuso: “Come si deve fare per diventare un Buddha?“. Questa è una domanda fondamentale che mette in discussione il senso stesso della pratica e del percorso della Via.
Dôgen commenta che il “come”, cioè lo zazen da una parte e il “fare”, cioè il diventare un Buddha sono come due amici: quando si incontrano si riconoscono a vicenda. Dei due, non ce n’è uno che è amico e l’altro non lo è, ma lo sono entrambi nello stesso momento e nello stesso modo. Altrimenti non si può dire che siano amici. Quindi, l’amicizia è reciproca e si manifesta contemporaneamente.
Allo stesso modo, lo zazen e la buddhità sono reciproci e si manifestano contemporaneamente. Quando l’uno si manifesta, l’altro è presente. Non c’è buddhità (né zazen) separatamente.
Con questo esempio Dôgen chiarisce molto concretamente la sua concezione dello zazen e della buddhità in quanto concetti interdipendenti, ma non legati da nessi di causalità. Lo zazen non porta alla buddhità e allo stesso modo la buddhità non porta allo zazen. Semplicemente dove c’è l’uno c’è la compresenza dell’altro e i due non si danno mai separatamente. [/T]
[→uma] La buddhità, la condizione di unità, il manifestarsi della natura autentica non ha necessità dello zazen: è la conseguenza della strutturazione del corpo akasico ed è da porre in relazione con le esperienze della vita e la pratica – di zazen o d’altro – conta come una delle tante esperienze.
Quindi la buddhità esiste separatamente e a prescindere dallo zazen, dalla religione, dalla volontà e dalla dedizione: la vita è la via maestra alla buddhità, dunque basta vivere.
Inoltre bisogna intendersi sulla buddhità: se essa è intesa come manifestazione della natura autentica, quindi come processo che avviene nel tempo e che svela una condizione ontologica, condizione che esiste nell’Essere del non tempo e che è propria a tutte le creature, a tutto Ciò-che-È, allora quella natura autentica si mostra, si manifesta in relazione alla strutturazione del sentire:
– a un grado di sentire 1 corrisponde una natura autentica 1;
– a un grado 50 di sentire corrisponde una natura autentica 50;
– a un grado di sentire 100 corrisponde una natura autentica che si manifesta come 100.
La natura autentica esiste come 100 nel non tempo (Essere), ma nel divenire si manifesta come 1, come 50, come 100.
Tutto il divenire non è altro che il frutto, la conseguenza, della natura autentica che si “articola”, che da Essere diviene processo: l’Essere, per sua natura è e diviene. È, di nulla mancante, e diviene, ovvero manifesta tutti i gradi di quel suo essere totalità: quel manifestare ciascun grado in sequenza logica crea i divenire, il grande circo nel quale siamo immersi.
La natura autentica, di cui la buddhità è specchio ed esperienza, non è un’astrazione filosofica, è Quello che si svela ora in questo; accade adesso come può in questo sentire relativo, è questo sentire relativo di adesso: la natura autentica è una e non divisibile ma viene vissuta nel relativo sempre come parziale nel sentire che prende forma. Ecco che se il sentire è 1, della natura autentica 100 viene colto 1, se il sentire è 50 della natura autentica 100 viene colto 50.
Ogni grado di sentire relativo è espressione comunque della totalità, questo perché la Realtà mai si frantuma, è una indipendentemente da come viene sentita nel divenire relativo.
Lo zazen, quella disposizione che ci pone di fronte all’essere liberi – almeno nell’intenzione – dalla nostra centralità, è in sé manifestazione della natura autentica, della buddhità?
È manifestazione di 100 che viene sentito come 1, come 50 o come 100, è Ciò-che-È non qualificabile.
L’individuo in zazen manifesta, sperimenta, è il Ciò-che-È. Il Ciò-che-È riguarda l’esperienza contemplativa di un fatto, di un accadere e non è prigioniero delle scale di valore delle menti, tutto è Ciò-che-È e lo è in virtù del fatto che è contemplato.
È la contemplazione, ovvero una data disposizone della consapevolezza del sentire nel divenire, che rende un fatto Ciò-che-È: la contemplazione è la consapevolezza di adesso di natura autentica 100, esperienza che in alcuni sarà sentita come natura autentica 1, 50 o 100 a seconda della strutturazione del loro corpo akasico.
Esiste pertanto natura autentica 100 e una sua percezione/incarnazione relativa a seconda della evoluzione del corpo akasico.
Questo significa che sia il santo che l’assassino sperimentano la natura autentica 100 ma la sentono a seconda del grado di evoluzione raggiunto, dunque il vivere di ogni creatura non è che una manifestazione relativa della natura autentica.
L’individuo in zazen manifesta la buddhità? Se per buddhità si intende la consapevolezza della natura autentica di adesso (1, 50, 100), sì, certamente, perché in zazen domina il Ciò-che-È (la natura autentica come Ciò-che-È) e questo non sa che farsene di 1, 50, 100 essendo pura contemplazione che va oltre tutto questo.
Se per buddhità si intende la manifestazione dello stato di realizzazione, allora gli stati 1 e 50 non prevedono un corpo akasico strutturato e quindi non vi può essere realizzazione.
Come vedete la questione è complessa e lo è perché c’è, da sempre, grande confusione e ambiguità nell’uso dei termini. Una cosa è la realizzazione/illuminazione/buddhità/natura autentica, un’altra l’esperienza del Ciò-che-È/buddhità/natura autentica.
→ La realizzazione/illuminazione, la condizione di Buddha, l’essere natura autentica è uno stato definitivo d’essere sancito dalla strutturazione del corpo akasico e non ha a che fare con la disposizione contemplativa.
→ L’esperienza del Ciò-che-È, della buddhità, della natura autentica può avvenire anche in assenza di un corpo akasico strutturato in virtù della disposizione contemplativa.
L’individuo incarnato da un certo grado di evoluzione in poi (ma sicuramente anche con bassa evoluzione ma approfondire ci porterebbe lontani), ha certamente accesso a esperienze di Essere, esperienze che si compendiano nello sperimentare il Ciò-che-È: sono flash più o meno estesi sull’Essere diversamente nominati e interpretati, ma tutti parlano di quella condizione che apparterrà all’umano stabilmente quando il suo corpo akasico sarà adeguatamente strutturato.
La contemplazione, lo zazen e le altre pratiche, aprono la porta sull’Essere: essendo pratiche di apertura, affidamento, ascolto, disconnessione da sé permettono l’affluire di un sentire unitario: è l’unità accessibile a qualunque incarnato ma non è la liberazione dal saṃsāra.
La condizione di buddhità, Essere, non ha bisogno dello zazen, comunque è e si manifesta come vita incarnata sia quando il corpo akasico è strutturato sia quando non lo è: intenzioni, pensieri, affetti, azioni sono natura autentica-Essere visti con gli occhi del contemplante.
L’esperienza dello zazen è buddhità in atto, Essere in atto, esperienza del Ciò-che-È ma non è da confondere con lo stato di realizzazione.
Praticare zazen è avere la porta dell’Essere aperta ma non realizza l’Essere: solo l’esperienza di vita realizza l’Essere.
Zazen è un modo di sentire/stare, dare corpo alla consapevolezza unitaria ma non è un modo di crearla, sono strade molto differenti:
– zazen contempla;
– l’esperienza struttura il sentire.
Qui teminiamo il nostro lavoro sullo Zazenshin di Dogen.
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