Contemplazione: una testimonianza certosina

[Fonte] Quando il mondo esterno diventa appena percettibile, non solo si torna a un mondo interiore di esperienza, ma anche la percezione diventa più ampia e profonda.

Questa era la realtà del Fratello Joseph, che era già entrato in una certosa nel diciannovesimo secolo e che a metà del ventesimo era quasi cieco. Non parlava più, si limitava a sorridere quando sentiva qualcuno arrivare. Pregava quasi tutto il giorno.

A volte il novizio lo vedeva seduto sul bordo di un muro con una lunga corona di grandi perle bianche in grembo. Non lo osservava mai perché lo trovava irrispettoso. Eppure continuava a notare qualcosa di nuovo.

Un giorno vide con quanta calma e regolarità i grani della preghiera scorrevano tra le sue mani e le sue dita – nel lasso di tempo di un’Ave Maria o di un Padre Nostro – contavano un grano dopo l’altro senza contarli. In altre religioni la situazione era diversa. Questa era la “preghiera attiva di uno spirito non ancora indebolito o diminuito”. Allo stesso tempo, si percepiva l’infinità di una pace profonda e beata.

L’altra volta il giovane novizio lo vide seduto da qualche parte in un angolo, vestito da lavoro: questa volta non in marrone o bianco, ma in blu. Sopra indossava uno scapolare bianco e un berretto di vitello bianco che mettevano ulteriormente in risalto la sua lunga barba bianca.

Ma ora non lavorava più: teneva le braccia leggermente sollevate contro il corpo. Nella mano destra teneva le chiavi della cella, nella sinistra il rosario, ma le sue dita non si muovevano. C’era una specie di calore luminoso sul suo viso. Esteriormente era evidente che stava parlando interiormente. Aveva quel lato bello e affascinante tipico di una persona che ama. Era con Dio adesso?

Quando il novizio vide che teneva la croce del rosario tra il pollice e l’indice di entrambe le mani, si allontanò all’indietro.

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