Contemplazione: il sentire che è forma nelle relazioni

Una frase che mi colpisce: “Sento con te”. È possibile che altri sentano con noi e, nel divenire, quel sentire diviene gesto perché essi sono uno e indissolubili.

Il sentire è intenzione/vibrazione che aggrega la materia indifferenziata dei vari piani e genera una forma/comunicazione su ogni piano: questo lo sottolineo.
Il seguito della frase citata è: “Sento con te, ma non te lo comunico”. In sé è un ossimoro, non ha senso: se sento c’è vibrazione, se c’è vibrazione c’è aggregazione della materia dei vari piani, dunque sorge una forma/comunicazione.

Se amo, quell’amore si fa gesto, parola, situazione. Certo, è anche sentire puro, stato passivo contemplato, ma nell’arco di poco diverrà forma/comunicazione. L’amore contemplato si intreccerà all’amore incarnato perché i due sono indissolubili e non solo nei piani del divenire.

Nel contemplativo che vive in solitudine la cosa si può articolare in modo più complesso, ma comunque si articola. In questi anni di densa solitudine dopo l’abbandono dell’insegnamento, l’Amore che genera questo essere sembra non avere più canali dove travasarsi e, apparentemente, c’è una impasse.

Ma, se osservo attentamente, vedo che la cura che prima Amore riservava alle persone, ora la riserva alle piante, ai fossi, allo scrivere: comunque il sentito diviene forma/comunicazione.

Potremmo analizzare anche la forma distorta di questo processo che dal sentire conduce alla forma: il maschile che esercita violenza sul femminile in nome dell’amore che prova. Comunemente si afferma – a ragione – che non c’è amore in quel gesto, ma la questione può essere molto più complessa: la spinta di amore si innerva sulle paure del maschile e sono le paure e le ossessioni di questo che fanno divenire un amore in potenza una forma di violenza e di sopraffazione.

Nell’altra situazione, quella passiva, dove al presunto sentire non consegue una forma/comunicazione, le domande sono diverse:
– è vero che c’è sentire comune?
– È vero che c’è un intreccio esistenziale tale da generare un sentire orientato verso l’altro?
– È certo che non vi siano meccanismi di difesa che impediscono l’incarnazione del sentire in una forma/comunicazione?
È la difesa passiva: c’è un’apertura all’altro, ma c’è anche il timore subconscio di cosa il rapporto comporta e allora si sceglie la passività come forma di salvaguardia.

Estendendo il discorso: un individuo allineato con il proprio sentire emette una vibrazione che struttura e stabilizza l’ambiente delle relazioni; un individuo che non possiede questo allineamento è percepito come una fattore di instabilità. Il contemplativo ha necessità di stabilità e dunque è inquietato da tutto ciò che produce squilibrio.

In questa comunità abbiamo cercato senza fine la stabilità e l’abbiamo raggiunta attraverso la comprensione: coloro che hanno perseverato sono anche coloro che emettono quella nota tipica di un sentire acquisito, nota di affidabilità che trasmette una certezza all’ambiente.

Per costoro è naturale il legame a caduta tra sentire e forma/comunicazione: questa naturalezza è divenuta intrinseca al nostro relazionarci, all’essere di questa comunità, è una delle vibrazioni costituenti, è stabile e non ha bisogno di conferme. Tutta la vita comunitaria appoggia su un sentire che è forma e comunicazione.

Quando in una comunità, o in una relazione qualsiasi, questa certezza di fondo non è emanata dalla vibrazione di tutti i protagonisti, si crea un clima vibrazionale instabile che ha necessità di frequenti verifiche e conferme.

In genere questa necessità di verifica è avvertita e segnalata in modo urgente da coloro che hanno fragilità sul fronte della conferma e del riconoscimento, individui che divengono sensori generatori di allarme: sono il dito che indica la luna, non è la loro sensibilità estrema il problema ma ciò che essa segnala, lo squilibrio di fondo esistente e che riguarda ogni componente dell’ambiente in questione.

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Catia Belacchi

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