Una lunghissima discussione con un’amica mi è di pretesto per mettere a fuoco lo sguardo su una delle realtà interiori più equivocate: la generazione/percezione della realtà personale e l’importanza sempre sottovalutata dell’ambiente in cui la scena accade.
Il contemplativo sa che ciò che vive è dal suo sentire generato per la propria personale comprensione. Egli sa che la realtà che vive è responsabilità sua. Sa anche che l’altro non può essere accusato di qualcosa che riguarda invece il suo – del contemplativo – processo esistenziale; sa che del processo esistenziale dell’altro non sa o conosce ben poco.
Nella lettura estrema di questa consapevolezza si può arrivare ad affermare: questo fatto riguarda solo te, non riguarda in alcun modo me. Questo è quello che impari tu, io non ho da imparare da questo. Questa visione, a mio parere, non è corretta.
Nella relazione con l’altro, io genero – il sentire che mi genera mette in atto, in rappresentazione – la scena che gli è utile: per realizzarla, la scena, usa i materiali presenti in una ambiente, perché una scena accade sempre in un ambiente.
Nella relazione con l’altro, questo altro è una componente dell’ambiente, dunque il sentire (mio) utilizza la materia prima – il sentire e i suoi limiti – di cui l’altro dispone.
La scena che ne risulta è per me, è assemblata dal mio sentire con la materia prima del sentire dell’altro e con altre materie prime. La scena è quella anche perché le materie prime disponibili sono quelle, non solo perché il mio sentire ne deve trarre una sola lezione.
Se avesse bisogno di un altro tipo di apprendimento, utilizzerebbe materie prime diverse.
Ne consegue che è vero che la scena è per me, ma è anche vero che parla del sentire altrui, della materia prima altrui con cui viene composta la situazione. Ecco che, se la scena viene osservata da un certo piano del sentire, parla del mio apprendimento ma fornisce anche dati sull’apprendimento altrui.
Siamo in presenza di una chiara soggettività relativa, ovvero da saper interpretare, non da scodellare come verità binaria: tutto parla di me, ma parla anche dell’ambiente dove io accado e se nell’ambiente ci sei anche tu, è probabile che anche tu abbia qualcosa da vedere, che ti riguarda, in quella scena.
Non si tiene mai in dovuto conto l’ambiente: le scene sono soggettive ma l’ambiente è condiviso ed è costituito dal sentire di tutti gli attori che sono in campo, nonché da altri fattori.
Se ho colori a olio posso dipingere con quelli e ottengo i risultati che l’olio può dare, con i colori ad acquerello avrei espresso altro, ma ho quelli a olio.
Tu, altro da me, sei il colore a olio, il dipinto che realizzo è tale perché ci sei tu, pertanto quel dipinto non parla solo di me.
Questo al netto delle varianti che qui evitiamo di tirare in campo perché allora entreremmo in un’altra complessità.
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Tante sono le sfumature e le complessità che interessano ogni scena che il sentire mette in campo.