Contemplazione quotidiana 4

51. Osservare senza fine. L’osservazione, mentre avviene, comporta anche una inevitabile comparazione tra il sentire osservato e i dettami della vibrazione prima, tra il compreso relativo e il compreso assoluto. In quella morsa possiamo provare un dolore per il limite, ma possiamo imparare anche a gestirlo senza lasciarci sopraffare. Allora l’ascolto è contemplazione ma è anche attiva trasformazione. [4.2.25]

50. Un contemplativo scrive per essere letto? Non quando scrive di quanto trattato in queste pagine: può accadere che esse siano lette e siano anche utili nel proprio percorso personale, ma non è questa la ragione che porta a scrivere, siamo molto lontani da un intento pedagogico.

Lo scrivere per il contemplativo è esso stesso atto di contemplazione, quindi, essenzialmente, scrive chiamato dalla contemplazione per manifestare se stessa. Cosa vuol dire? Vuol dire che un dato sentire è consapevole di se stesso e lo manifesta attraverso un processo: scrivere è quel processo in cui un sentire sente se stesso.

Il contemplativo avverte in sé una tensione, o una pressione, e sa che deve scrivere: non scrive di sé, è il sentire che scrive, contempla, conduce a consapevolezza e a manifestazione. Anche quando il contemplativo scrive di sé non è lo scrivere di un soggetto ma da un sentire incarnato che si esprime nei modi possibili ai veicoli e all’ambiente vibratorio.

Il processo delle scrivere, diverso evidentemente da quello del parlare, è tutto interiore e non è un dialogo tra un soggetto e il suo sentire – come può accadere in alcune forme propedeutiche di preghiera cristiana – è un monologo: il sentire esprime se stesso attraverso la complessità della sua manifestazione e consapevolezza. [1.2.25]

49. Sentire la Vita è sentire l’attimo senza tempo. Non esiste qualcosa che possiamo chiamare vita, se non nell’ottica illusoria del divenire; la Vita di cui parlo è la radice del divenire e si può solo sentire. Non scorre, È.
Non ha bisogno dei sensi transitori, semmai ha bisogno di estraniarsi da essi, di andare oltre.

Quella Vita è Essere e bisogna precipitare in esso per sentirla: l’Essere sente l’Essere.
Sentire la realtà dall’interno dell’osservato, dello sperimentato: sentire l’osservato e lo sperimentato nella loro dimensione di Essere. L’Essere sente l’Essere, l’esperienza dell’Unità accade, il due è abbandonato. [28.1.25]

48. Ho iniziato oggi a lavorare su un tema che mi è caro e riguarda l’illuminazione istantanea e la corrispondenza in Dōgen tra pratica e illuminazione. I due temi sono chiaramente collegati e nell’elaborazione del secondo Dōgen ha proiettato la considerazione per il primo.

Per affrontare questo tema mi appoggio al lavoro di Carl Bielefeldt, un accademico storico ed esegeta della Stanford University e a un suo libro fondamentale del 1989: “Dogen’s Manual of Zen Meditation”.
Per giungere dove? A discutere due capisaldi irreali: l’illuminazione istantanea e la corrispondenza in Dōgen tra pratica e illuminazione.

L’illuminazione istantanea è un tema che ha attraversato per secoli la discussione nel Chán cinese ed era un tema ben radicato anche in Dōgen: su questo ho detto numerose cose commentando Busshō, ma qui vi tornerò per approfondire e legarlo più organicamente alla questione della pratica come illuminazione in atto. [26.1.25]

47. Continuando quanto iniziato in #46, è chiaro che compassione e karma sono inscindibili essendo il karma la forma della compassione nel divenire: non è solo la cultura binaria, duale, che pone tra essi un qualche attrito, anche l’intimo del contemplativo oscilla tra i due poli non riuscendo a sentire fino in fondo come la compassione rappresenti entrambi.

Sembra che le conseguenze delle cause mosse, a volte dure, dolorose, portino con sé un tasso di ingiustizia, di incomprensione e di non compassione: a noi sembra che il dolore sia, comunque, ingiusto. Più la compassione si insedia, più il dolore sembra troppo, un eccesso. Nel fondo del mio essere trovo questo, ma non sento nel modo corrispondente all’essere della Vita. [25.1.25]

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Catia Belacchi

So, senza ombra di dubbio, che il Karma è la forma di compassione che la Coscienza mette in atto nel divenire per aiutarci nel raggiungere comprensioni; tuttavia, di fronte a karma veramente pesanti, in una visione limitata della realtà, non si può che provare compassione umana per i fratelli che lo subiscono e spesso la loro sofferenza pare davvero eccessiva.

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