Il karma: l’offerta di un’altra occasione [sentiero34]

Cosa significa giocare?
Partecipare, buttarsi, rendersi accessibili, essere disponibili a mostrarsi per quel che si è, stare in quel che avviene, trovarsi fuori dal giudizio, ridere di sé, essere sfacciatamente dentro l’accadere anziché al margine a commentare come una voce fuori campo.

Nel gioco posso mettere in scena consapevolmente l’identità, vedermi in modo leggero, sfruttare le caratteristiche che mi hanno strutturata, metterle a disposizione del gioco comune, di una consapevolezza collettiva che si fa estremamente amorevole. Penso anche al gioco delle fragilità che si intrecciano, delle caratteristiche che si compensano. Giocando nasce molto rispetto.

Siamo partiti dalla responsabilità e siamo finiti sul gioco passando per l’accogliersi e l’alleggerire. Abbiamo potuto ragionare in questi termini perché la responsabilità per noi non è un problema, un fardello, ma un fattore liberante: se impariamo attraverso le esperienze, allora è per noi importante non tirarci indietro su nessuna delle molte ramificazioni e conseguenze cui il nostro esserci dà luogo.

Ogni azione ha delle conseguenze; ogni intenzione, ogni pensiero: è quella che viene chiamata la legge di causa/effetto, la legge del karma. “È l’analogo in campo spirituale della legge di azione e reazione della fisica: ogni azione compiuta dall’umano incarnato provoca un effetto che ricade (in positivo o in negativo) su chi l’ha compiuta. Viene spesso definita anche Legge del Karma o, più semplicemente, Karma.”[1]

Dal nostro punto di vista, assumerci la responsabilità delle cause che abbiamo mosso non è una punizione ma un’opportunità: se ciò che è stato vissuto ha avuto delle conseguenze dolorose su qualcun altro – una persona, un ambienteci sembra naturale che ci venga fornita un’altra occasione per poter fare meglio, per attenuare o eliminare quelle conseguenze. Come faremmo altrimenti a imparare?

Se un genitore non fa vedere ai propri figli i loro limiti chi glieli farà vedere? Certo, il genitore deve essere attento a non minare la fragile identità in costruzione del figlio, ma non può non correggerlo e indirizzarlo e fargli da specchio, verrebbe meno alla sua funzione.

Questo provoca frustrazione? Certo, anche grande, e sembra che noi non abbiamo allenato le nuove generazioni alla frustrazione mentre questa è un’esperienza ineludibile e su cui l’allenamento deve essere intenso e consapevole.

Come vale per i figli vale per noi: la coscienza ci ripresenta le scene nelle quali il condizionamento del nostro egoismo ed egocentrismo, della nostra ignoranza e disattenzione, della nostra volontà di affermazione e sopraffazione hanno colorato la relazione con l’altro, con l’ambiente.

Quel colore introdotto, indipendentemente dal fatto che possa aver provocato dolore o meno nell’altro, denuncia il nostro limite, la difficoltà che siamo chiamati a superare. Come? Attraverso un altro tentativo. Fino a quando? Finché la coscienza non avrà compreso e quel fatto sarà solo un fatto, neutrale, privo di connotazione.

Di che cosa significhi questa neutralità, della sua portata, parleremo in altri capitoli; per ora è importante che noi comprendiamo che attraverso le esperienze l’umano affina la sua comprensione delle realtà; procedendo per tentativi, non potendo sfuggire alle conseguenze di ciò che opera, ha la possibilità di affinare in continuazione la sua rappresentazione e, prima di questa, il suo sentire.

Questo è possibile perché la vita, sospinta dalla necessità della coscienza di comprendere, ci offre le scene conseguenti alla nostra responsabilità.

[1] La legge di causa-effetto. Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, pg. 207

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NB: il testo che compare in questi post in alcuni passaggi differisce sostanzialmente dal contenuto del libro, questo perché, nei dieci anni trascorsi, molte cose abbiamo approfondito e compreso meglio.
D’altra parte, oggi non riusciremmo a esprimerci con la semplicità di ieri mentre il nostro obbiettivo, nel riprendere questi contenuti, è proprio quello di dare a chi ci legge un testo semplice, per un approccio di base al Sentiero contemplativo.

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