La nostra capacità di attingere alla sorgente della vita e di Essere essa

Gv 4,13-14
Gesù le rispose: «Chiunque beve di quest’acqua avrà sete di nuovo; 14 ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna». 

Mi collego alle considerazioni svolte nel post Il desiderio crea la realtà, non il demiurgo.
In quel post affermo:
Il desiderio, radice di ogni processo nel divenire, crea la realtà: il desiderio dei commensali che avevano a disposizione l’acqua, il Ciò-che-è, genera il processo che porta al vino, il Ciò-che-è conforme alla loro aspettativa del momento.
Essi avevano già il Ciò-che-è, ma non l’hanno riconosciuto: condizionati dal desiderio hanno generato il processo del vino, il Ciò-che-è desiderabile per loro, e a loro riconoscibile: così facendo si sono incatenati al divenire e hanno perduto l’evidenza dell’Essere che già era.

Nei commenti, Catia ha qualche difficoltà a comprendere perché io ponga il desiderio alla radice del divenire: cercherò, nel corso di questo post di fare un po’ di luce sulla questione.

L’umano è tale perché è interno ad un programma, ad un condizionamento che lo conduce, a lui così appare, da limite a non limite, da egoismo ad amore.
L’umano e il suo programma sembrano inscindibili: il primo esiste perché c’è il secondo e questo si alimenta della adesione del primo.
L’illusione genera illusione.
L’Assoluto, che è Realtà, contiene in sé anche tutta l’illusione: la conoscenza dell’Assoluto è anche conoscenza dell’illusione.
Più si fa esperienza dell’Essere, più diviene evidente la natura illusoria del divenire.
Più si conosce il divenire, e lo si comprende, più esso svela la radice che lo genera, l’Essere.

Affermare che il desiderio è la radice di ogni processo nel divenire, significa palesare l’inquietudine ontologica che sostanzia ogni vivente: il mito del paradiso e della cacciata ci ricorda l’amputazione, la separazione primigenia, l’origine dell’inquietudine, dell’angoscia direbbe il Drewermann.

Il desiderio di Dio genera il divenire.
Il bisogno ontologico di pienezza ed unità, avvia e muove il processo che porta a percorrere e sperimentare tutti i gradi del sentire di Dio.
Il divenire altro non è che questo: i gradi del sentire assoluto letti in successione.

Dio non è un monolite: è sentire, tutti i gradi del sentire possibili.
Ogni stato dell’umano è un grado, o una frazione di grado, di quei sentire.
Quando l’umano, con i suoi sensi, legge i sentire, li legge in successione logica, dal più limitato al più vasto: questo crea il film che chiamiamo vita, esistenza, divenire.

Ogni grado di sentire contiene in sé il codice per il grado successivo e più ampio, allo stesso modo di come è composto, costituito da tutti i gradi di sentire più limitati che logicamente lo precedono.
L’esperienza di un grado di sentire apre, naturalmente, su di un grado più elevato e vasto di esso: questo intendo per desiderio come origine del divenire.

Ora, è possibile uscire da un simile programma dove ogni stato induce al successivo?
Apparentemente sembra di no, ma l’esperienza diretta sembra invece offrire delle possibilità.

La natura di un grado di sentire, di un fatto, di una situazione, è figlia di tutte le esperienze, e ne prepara altre, abbiamo detto;
ma, contestualmente, quel grado di sentire, quel fatto, quell’esperienza è anche eterna e non proviene da niente e non conduce a niente.

Un grado di sentire, un fatto, è nel tempo, se nel tempo lo vivi e lo sviluppi;
se lo contempli, non ha tempo, né sviluppo.

Ecco allora che il reale è ambivalente: diviene ed È.
Quale aspetto di questa ambivalenza colgo? Il singolo fotogramma, o lo spezzone di pellicola?

Il contemplante sperimenta il fatto, il grado di sentire: mentre lo contempla il fatto non diviene, è immobile ed eterno, è l’Essere di Dio, rivela quella natura.
Non è il figlio di Dio, è l’Essere di Dio.

Ne consegue che non siamo prigionieri del programma e che la via d’uscita risiede nella possibilità di isolare fotogramma da fotogramma lasciando che ciascuno di essi riveli la sua Essenza divina.

Conosciuta, sperimentata, frequentata quella Essenza divina, quella si diventa, da quella si viene costituiti “fonte di vita eterna”.
Ora, si può guardare il reale dal punto di vista dell’umano o da quello del Divino: se si diviene il Reale, come si percepirà la realtà dell’umano?

Come ciò-che-è.
14 ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna». 
Una fonte d’acqua che diviene vita eterna: ciò che è eterno non può divenire, esso È.

La fonte è acqua che scorre: conoscendo ogni goccia, contemplandola, si entra nell’essenza dell’acqua, non nello scorrere.
Il soggetto è l’acqua, lo scorrere è il verbo che ne descrive una condizione, come la vita eterna ne è altra condizione.
Quale condizione sono pronto a recepire, quale vibra attraverso quest’essere?
La conoscenza dell’acqua mi ha condotto a non dare rilievo al fatto che essa possa scorrere: l’acqua, di per sé, non è colei che scorre, è colei-che-è, ora scorre, ora è immobile ed eterna.

Attingere alla sorgente della vita non è bere l’acqua che scorre, è contemplare l’acqua-che-è.
In quest’ottica, assolutamente reale per il contemplativo, “esperienza della carne e nella carne”, il divenire si mostra nella sua illusorietà, l’Essere nella sua Realtà: questo è possibile perché il contemplate è divenuto la Realtà, il Reale.
Il suo sguardo è lo sguardo di Dio, contempla l’Essere e non è prigioniero del divenire.

Dunque nel fatto, nel grumo di sentire, c’è l’Eterno Essere che supera ogni mancanza, ogni bisogno di conoscere Dio (ogni desiderio..): rivelandosi Dio nel fatto, e comprendendo il contemplante quell’Essere di Dio, quel fatto, quel grumo di sentire non conduce più a niente, né tanto meno proviene da qualcosa: testimonia Dio, la Totalità d’Essere in cui il contemplante scompare.


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25 commenti su “La nostra capacità di attingere alla sorgente della vita e di Essere essa”

  1. Letto più volte. La capacità di esprimere in parole un livello di sentire mi rapisce, parla della chiarezza di questi concetti nello scrivente che, per sua generosità, ci è donato, attraverso cui posso riconoscere e condividere ciò che rispecchia il sentire raggiunto.
    La lettura mi riporta all’affermazione di non avere più domande: non possono esistere domande quando si è nell’acqua, non esiste tempo, nulla manca. E quando si è fatto esperienza di ciò, anche il divenire viene ricondotto a quello stato assumendo altro valore e sostanza….VITA ETERNA…
    Mi inchino a chi gratuitamente contribuisce alla comprensione, a chi semina senza alcuna pretesa e senza alcun ritorno personale, a chi, come ognuno di noi è chiamato a fare, concretizza la responsabilità delle comprensioni raggiunte offrendole come acqua ad assetati. Esempio per tutti!
    Grazie

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  2. Nulla da aggiungere, nulla da togliere.
    Da dovunque parta l’indagine, qualunque sia il dato o il fatto osservato, contiene in se l’elemento primo che puo aprire la porta del reale.

    Come gia detto in un post precedente, non mi convice molto l’approccio legato al desiderio anche se e’ una questione poco rilevante se vista nell’ottica del non-divenire.

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  3. A livello esperienziale qualche impressione è stata vissuta. A livello concettuale c’è difficoltà a comprendere fino in fondo. La mente trova obiezioni osservando che a volte ciò che si presenta nella vita è tutto fuorché desiderabile; si pensi alle disgrazie, sofferenze, incomprensioni, ecc.
    La mente si domanda anche quanto dura u fatto, un fotogramma. È la singola lettera di una parola? La parola intera? Una frase? Cos’è che delimita un fatto, ovvero quand’è che finisce un fatto e ne inizia un altro?
    Domande che possono restare lì, non essendo sostanza del nostro procedere ma solo pensiero.
    Grazie.

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  4. Quando sento parlare di quel momento la delicatezza è intrinseca a prescindere dalle parole usate.
    Commuove, accarezza, gioca, fa capriole, ti lascia sorridendo e non è mai un addio..
    Sai che la rincontrerai.

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  5. La natura illusoria del divenire mi viene da collegarla a quella famosa frase del Qoelet: “Vanità delle vanità. Tutto è vanità”.

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  6. “Il contemplante sperimenta il fatto, il grado di sentire: mentre lo contempla il fatto non diviene, è immobile ed eterno, è l’Essere di Dio, rivela quella natura.
    Non è il figlio di Dio, è l’Essere di Dio.

    Ne consegue che non siamo prigionieri del programma e che la via d’uscita risiede nella possibilità di isolare fotogramma da fotogramma lasciando che ciascuno di essi riveli la sua Essenza divina.”
    In questo passaggio riconosco qualcosa che ho sperimentato. In rarissime occasioni, ma indelebili.
    Ogni qual volta che ritrovo nei post qualcosa che mi pare di riconoscere, la fiducia viene rafforzata.
    Trovo prezioso il tuo contributo Robi, perché riesci con le parole a descrivere, quello a cui io personalmente, sento difficile comunicare.

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  7. Se avessi pensato al mito dell’ Eden, avrei capito subito che il cammino dell’umano è mosso dal desiderio di conoscenza desiderio che per i primi uomini coincideva, però, anche con la necessità di affrancarsi da una protovita.

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  8. Mi pare molto chiaro e comprendo di cosa parli perché conosco quel sentire che vivo a volte con chiarezza a volte come terreno di fondo. Quando sei nell’urgenza del divenire questa modalità contemplativa passa in secondo piano e lascia il posto al desiderio. C’È un’urgenza nel divenire che preme, come tu chiaramente descrivi.

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