Alcune parole su questo pontificato e sulla via interiore

Oggi Papa Francesco è a Milano e, come sempre, compie alcuni gesti significativi privilegiando alcuni luoghi simbolici da visitare e da celebrare: la periferia urbana, il carcere.
Osservo stupito e ammirato questo Papa che, forse più di altri, ha posto e pone l’accento sull’ingiustizia che pervade il mondo, sui valori etici comuni a tutti, sulla necessità di essere con gli ultimi.
Ammiro e rispetto l’uomo e il suo coraggio, conoscendo i limiti della struttura entro la quale opera.
Mi suscita invece perplessità il suo indicare troppo poco la via interiore alla risoluzione dei numerosi problemi che indica e che sono all’evidenza di ogni coscienza non accecata dall’egoismo e dall’ignoranza.
Non basta dire che dovremmo fare meglio, che possiamo cambiare: il compito di una religione, di una via, è indicare nel dettaglio come.
La via interiore della conoscenza e della trasformazione di sé, e la via esteriore del fare, sono due vie che debbono procedere assieme, ma vedo un forte sbilanciamento a favore della seconda e poca attenzione ai mille e necessari passi della prima.
Mi sembra di essere di fronte più a un sindacato dei poveri che ad una comunità che persegue e realizza il Regno di Dio secondo l’intenzione del Cristo.
Non c’è ingiustizia che si sani se non si cambia nell’intimo.
Non c’è Regno che viene, se non nell’intimo.
È l’intimo di ciascuno che genera la realtà sociale: se il primo non cambia, la seconda rimane immutata.
Mi sembra che questo sia molto chiaro in Gesù, il Cristo, ma lo vedo come molto meno chiaro nella teologia e nella prassi cattolica che dell’intimo dovrebbe essere levatrice ed educatrice.
Le persone sono disorientate e smarrite nell’interiore: non basta l’invito ad operare il bene, è necessaria una filosofia/teologia, una pedagogia e una didattica che, attraverso la conoscenza di sé, permetta al bene di fiorire nell’intimo di coloro che ne possono accogliere l’impulso.
Se leggete la lunga conversazione tra Papa Francesco e Antonio Spataro, avrete modo di comprendere meglio quel che affermo: in più passaggi, relativi alla vita interiore e alla preghiera, mi è sembrato di ascoltare un curato di campagna, non l’uomo che dovrebbe guidare moltitudini sterminate all’incontro con il principio Cristico, con la libertà interiore, con il Regno che è e che viene.
Ma non è storia solo di oggi, di questo papato e della sua comunità odierna: è storia antica e diffusa e credo che la frattura risieda là dove non si è pienamente integrata la via della conoscenza di sé nella teologia e nella prassi dei discepoli del Cristo.
Anche quando leggo ed osservo il procedere dell’insegnamento di Enzo Bianchi, padre fondatore della Comunità monastica di Bose, vedo lo stesso limite, anche se diversamente accentato: sono precari gli alfabeti della conoscenza, della consapevolezza, di una antropologia altra e più vasta che abbia al centro lo Spirito, la coscienza.
Enzo fa riferimento frequente allo Spirito, ma è come se non possedesse una adeguata antropologia dello Spirito, della Sua incarnazione, del suo dispiegarsi nel tempo e nelle vite degli umani e del creato. Ci sono, nel suo pensiero e nella sua intuizione, abbozzi potenti ma, a me sembra, che una visione unitaria, un paradigma che tenga assieme organicamente e logicamente il tutto, sia carente.
Queste diverse ragioni, a mio vedere, ci chiariscono il motivo per cui così poco oggi ci dice il messaggio di Cristo proposto dai suoi discepoli.
È come se coloro che al Cristo fanno riferimento, di Esso cogliessero solo frammenti e alla luce di quella mancanza di unità interiore, unità che deriva soltanto dallo sperimentare nel proprio sentire la natura cristica, si limitassero a proporre quella parzialità frammentata che non parla all’umano più avveduto e macerato nella sua ricerca esistenziale.
Questa carenza di fondo della corrente di ricerca cristiana, deve rappresentare la ragione e lo stimolo per scoprire il Cristo andando all’origine della sua esperienza, essendo capaci, anche nel caso in cui si consultano le fonti, di discerne quanto vene da Gesù-incarnazione-del-principio-cristico e quanto dalle sue comunità.
Leggendo i vangeli non è difficile trovarne l’anima profonda lasciando a margine il condizionamento che le comunità e gli evangelisti vi hanno introdotto.
Un discorso più complesso andrebbe fatto per Paolo e per ciò cui ha dato luogo, ma questo richiederebbe un’analisi per la quale non mi sento pienamente competente. OE,ID25.3


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6 commenti su “Alcune parole su questo pontificato e sulla via interiore”

  1. Interessanti spunti di riflessione, sia nel post che nei vari commenti. Diversi anni fa, quando le domande sull’esistenza richiedevano risposte urgenti, mi sono riavvicinata al mondo cattolico e per l’ennesima volta,ne ho colto il limite. Indubbio che questo Papa,talvolta susciti ammirazione, ma come scrive Paolo, mi sembra che stia portando avanti una causa sindacale! …sempre più grata al Sentiero .

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  2. Non posso che concordare con l’analisi di Roberto e coi commenti dei compagni del sentiero.
    Roberta, il libro che citi l’ho letto anni fa, per me è stato un portento perchè finalmente ho potuto capire che c’è un a nicchia di persone che, anche tra i cristiani, ha una consapevolezza del pregare e del contemplare, a tutto tondo e ne co0nosce gli strumenti. Nell’istituzione chiesa, forse proprio perchè istituzione rigida nel mantenere storicamente se stessa, questo cammino non mi sembra neanche avviato.

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  3. Mi allontanai dalla chiesa proprio perché ciò che ascoltavo non “vibrava” nel mio intimo. Erano solo “belle parole” e “belle immagini” ma mancavano le indicazioni precise e dettagliate, passo dopo passo, per arrivare a quella bellezza. Troppo generiche, troppo astratte. Sembrava una via per glia altri e non per me. Questo ha alimentato anche un senso di smarrimento e di frustrazione. Mi sentivo estraneo alla società cattolica in cui ero nato.

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  4. Le riflessioni che avete scritto sono molto interessanti…concordo! Sembra proprio che i nostri pastori abbiano dimenticato gli insegnamenti originari, non solo per quanto riguarda l’essenza dell’insegnamento del Cristo, ma anche per tutto ciò che riguarda il COME: come pregare, come fare silenzio dentro di sè, come osservare e superare gli ostacoli dell’ego…
    Non sempre è sufficiente dire “siate caritatevoli” o “siate buoni ed amatevi” per trasformare le persone in esseri privi dell’ingombro del proprio ego, dei numerosi e forti condizionamenti…
    La tradizione cristiana dovrebbe avere questi insegnamenti di base (come li hanno le tradizioni orientali…), ma perchè e quando sono stati dimenticati? E mi chiedo: i nostri pastori li conoscono? Papa Francesco li conosce? Ho appena finito di leggere un libro di padre Andrea Schnoeller “La Via del silenzio”. In questo libro l’autore presenta le tecniche dell’ascolto e della contemplazione alla luce delle varie tradizioni… Quindi qualcuno nel mondo cristiano-cattolico si rende conto del “vuoto” di cui si parlava…e lo sta colmando…

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  5. “Non basta dire che dovremmo fare meglio, che possiamo cambiare: il compito di una religione, di una via, è indicare nel dettaglio come.”
    “Mi sembra di essere di fronte più a un sindacato dei poveri che ad una comunità che persegue e realizza il Regno di Dio secondo l’intenzione del Cristo.”
    Sono i passi che mi risuonano in modo particolare. Le encicliche papali o documenti vari dei vescovi parlano del primato della preghiera, del rapporto con Dio, ma come dici giustamente non forniscono gli strumenti perché il processo si realizzi. Come se nell’ordinamento giuridico di uno stato ci fossero solo le leggi costituzionali ma mancassero quelle ordinarie e i decreti attuativi: rimarrebbe tutto teorico o comunque lasciato alla buona volontà dei singoli.

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  6. “È l’intimo di ciascuno che genera la realtà sociale: se il primo non cambia, la seconda rimane immutata.”
    Nell’ambiente cattolico non credo che questo sia molto chiaro. La religione, per lo meno quella che passa per le nostre parrocchie, non ti insegna tanto a guardare dentro di te, piuttosto fuori di te, t’insegna ad alzare gli occhi verso l’Alto e a richiedere un intervento esterno, divino, l’unico che possa cambiare il mondo veramente.
    Il fedele è un vaso da riempire, un otre piuttosto che una coscienza da promuovere e da responsabilizzare. La religione tiene l’uomo in un perenne stato di minorità.

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