Lo smarrimento interiore e il bisogno di un nemico

Personaggi improponibili gridano sollevando ansie e paure in persone già smarrite e disorientate dalla pressione di una crisi troppo lunga e paralizzante.
E’ già successo: parecchio tempo fa, il movimento di popolo guidato da un tragico ometto soffiava sullo stesso fuoco.
Nell’assenza di conoscenza e consapevolezza, nell’ignoranza di sé, nel disorientamento esistenziale l’ansia e la paura delle persone crescono e hanno bisogno di appigli, di un credo, e di un nemico, di un colpevole, di un bersaglio su cui scaricare la propria frustrazione.
Smarrimento – vittimismo – invenzione del colpevole: il processo-madre che ha generato tragedie lungo tutto il tempo.
Oggi tocca agli immigrati.
Se non so dove vado, se ho smarrito – o non ho mai conosciuto – il senso del lavorare, del consumare, del vivere; se vedo i figli bloccati in casa e senza lavoro; se non ho armi per cambiare la patologica stupidità e malafede della politica e le sue tragiche conseguenze, la paura mi assale, l’ansia per il domani mi pervade.
Se vedo nell’egoismo e nella sopraffazione che esso genera, l’origine del problema che pervade il mondo nel quale sono immerso, ma non riesco a dominare quella forza in me, non riesco a mitigarla e a superarla, allora divengo complice frustrato, tassello di un insieme, goccia di un’onda che sale ma non posso riconoscermi corresponsabile, no, il responsabile sei tu.
Un meccanismo primario e brutale scatta: sono vittima di un nemico. I nemici sono tanti e nel mucchio ne evidenzio uno e lo erigo a simbolo della mia frustrazione, del mio malcontento e della mia rabbia.
E’ difficile comandare al ventre che si emancipa e prende il sopravvento, se non si è dotati di capacità di analisi e di un paradigma adeguato: le emozioni sono governate dalle spiegazioni, dalle argomentazioni e, entrambe, sono condotte per mano dall’ampiezza del sentire conseguito.
Se il sentire è relativo e l’ignoranza grande, il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi.
Se il gioco tra emozioni, pensiero e sentire è lasciato a se stesso senza che esista una forza, la politica, capace di direzionarne i flussi e gli sviluppi, i singoli sono lasciati a se stessi e si aggregano in branchi e in bande.
Cosa minaccia più questo paese, il flusso migratorio, o il TTPI sulla cui sottoscrizione tanto si impegna il governo italiano, o la globalizzazione selvaggia che da decenni devasta il tessuto produttivo delle nostre micro imprese?
E chi è tanto imbecille da pensare che il flusso migratorio possa essere contenuto senza andare ad incidere sulle cause economiche e sui conflitti che lo generano?
La stupidità e la malafede della politica sono il problema ma, anche lì, bisogna stare attenti a non creare un nuovo nemico: la politica è fatta di persone e anche quando queste sono nuove ai riti e agli intrallazzi di quel mondo, non significa che siano migliori. Tanto del presente questo ci ricorda.
La via del cambiamento è lunga e lenta perché appoggia sulla conoscenza, sulla consapevolezza, sulla comprensione: occorre vedere l’ombra del nemico che sorge nel nostro interiore, ricordarci del nostro smarrimento e riposizionarci.
Più lo smarrimento che ci attraversa è profondo, più è necessaria la via interiore, la coltivazione di uno sguardo, di un pensiero, di un intento che colgano la radice della realtà, sappiano discernere l’origine dei processi e rispondano mettendo mano alle fondamenta, non al tetto.
Per proteggerci dalla pioggia basta anche una copertura provvisoria, ma per sanare la casa minata nelle fondamenta è necessaria ben altra e radicale opera.
Ma, se di questo non siamo consapevoli, rifacciamo il tetto e mettiamo le mitragliatrici alle finestre lasciando le fondamenta indifese e prive di intervento.
Fuor di metafora, dov’è il nostro male?
Abbiamo ancora bisogno che qualcuno ce lo spieghi, o ce lo ricordi? Se si, allora significa che quello che abbiamo ci calza alla perfezione.


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4 commenti su “Lo smarrimento interiore e il bisogno di un nemico”

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