Dove arriva la responsabilità dei genitori?

Commentando il post Il tempo e il modo di morire di ciascuno, Natascia si chiede: “Perché la vita mi ha posto di fronte a certe scene, quali resistenze, incomprensioni e limiti hanno determinato quelle scene? E non potevo davvero far nulla per evitarle? Se davvero, come dici, la vita ci pone in più occasioni la possibilità di comprendere, qual’è la mia responsabilità nel non aver compreso?”.
A volte i nostri figli hanno cammini complessi e dolorosi e questo loro procedere inevitabilmente ci interroga e, non di rado, ci suscita un senso di inadeguatezza ed anche di colpa.
Direi che questa nostra reazione è fondamentalmente sana ed inevitabile e ci induce ad interrogarci, a guardare dove siamo stati carenti, a riprometterci di fare meglio in futuro.
Spesso, però, commettiamo come genitori l’errore di caricarci sulle spalle pesi non nostri.
Premessa generale: esiste un film nostro, come genitore, ed esiste un film di quel figlio: nella soggettività della realtà e dei rispettivi film, noi e quel figlio sentiamo assieme e simultaneamente le scene in cui c’è una equipollenza di sentire, non le altre in cui i sentire sono di ampiezze differenti.
Se, in merito ad una certa situazione il nostro, reciproco sentire vibra simultaneamente, allora la scena nostra e quella di quel figlio saranno identiche: se il sentire è differente, noi vivremo una variante e lui un’altra.
Considerazioni particolari: 1- Nel mio film di genitore, quel figlio si presenta con le sue particolarità e mi interpella, mi induce a conoscermi meglio, a sviluppare certe forze interiori, a modularmi diversamente, a sviluppare certi comportamenti piuttosto che altri: quel figlio è il mio insegnante e grazie a lui posso vedere i molti miei limiti e lavorarmeli come posso.
2- Nel film di quel figlio c’è un genitore che interagisce in un certo modo, che porta certi limiti, che facilita certi percorsi e ne ostacola altri. Quel genitore è funzionale a ciò che quel figlio deve comprendere e i suoi limiti, del genitore, servono al figlio per affrontare ciò che gli è necessario.
Vi sembrerà assurdo quello che dirò adesso: non c’è genitore che rovini i propri figli, nemmeno quello che li abusa. Perché?
Perché la vita dei figli, come la vita di tutti è governata dal karma che a tutti distribuisce l’apprendimento necessario, ogni giorno e ad ogni stagione della vita.
Torniamo ora al nostro genitore e a quel figlio specifico: cosa impara il genitore attraverso quel figlio? Quello che non sa, quello che non ha compreso.
Cosa impara quel figlio attraverso quel genitore? Subisce un condizionamento?
Cosa impara quel figlio attraverso quel genitore non lo sapremo mai, vista la soggettività del film. Se viene condizionato dai limiti del genitore, non lo sapremo ugualmente mai, per la stessa ragione.
Questo è quello che si può dire ad un certo livello dell’analisi che, come vedete, ci porta in una situazione molto chiara: mai sai cosa impara l’altro, solo di te puoi dire.
Però, guardando alla scena in modo più ampio, possiamo dire che se quel figlio si è incarnato in quella famiglia con quel genitore, questo era funzionale certamente al suo cammino esistenziale: quel genitore, con le sue comprensioni e non comprensioni, era il miglior genitore per quel figlio che doveva comprendere quel che doveva.
Questo è un punto cruciale: quel genitore era il migliore – il più adatto – per quel figlio; quel figlio era il più adatto per quel genitore.
Cosa doveva comprendere quel genitore da quel figlio? Innumerevoli cose immagino, o, magari, poche cose e forse elementari: solo quel genitore può saperlo.
E le difficoltà nel comprendere di quel genitore che, inevitabilmente, hanno avuto dei riflessi su quel figlio – inevitabilmente se entrambi avevano necessità di imparare da quel dato limite, quindi se lo sentivano all’unisono – non vanno lette come penalizzanti, ma come funzionali.
Mi spiego: se quel genitore ci ha messo del tempo a comprendere delle cose e, nel frattempo, il suo incedere incerto è ricaduto, in una qualche forma sul figlio, quella ricaduta era funzionale ai processi esistenziali che quel figlio doveva vivere e che per lui erano necessari per acquisire i dati indispensabili a procedere.
Se abbiamo chiaro questo, allora il genitore può e deve interrogarsi sul suo limite e sulle varie prove per superarlo, ma non deve peccare di onnipotenza: ciò che ha fatto o non fatto, non ha rovinato nessuno, è stato messo a disposizione di qualcuno che di quello aveva bisogno.
Quello che per noi è un limite, per l’altro è una possibilità: questo dobbiamo scrivercelo per bene nell’interiore e non dobbiamo dimenticarlo.
Le non comprensioni del genitore sono dunque chance per un figlio: questo è comprensibile solo all’interno della legge del karma.
Ecco perché un genitore non deve castrarsi con la consapevolezza dei propri limiti; né deve farlo un figlio, né un partner: ognuno porta quel che è, sapendo che il modo in cui impatta nella vita dell’altro, sempre che impatti e che il limite sia sentito da entrambi, dipende da quello che l’altro deve apprendere.
Poi, spetta a noi interrogarci sul nostro limite e lavorare per superarlo, senza colpevolizzarci oltre il lecito perché abbiamo impattato sull’altro in un modo forse, a nostro parere, inadeguato.
Cosa sia adeguato o no per l’altro, noi non lo sapremo mai perché questo è governato dalla legge del karma dell’altro.

La via della gratitudine
Ti ringrazio per aver condiviso con me quegli anni,
non so se sono stato adeguato o meno,
certo, avrai visto i miei molti limiti,
ma ti sono stato a fianco così come ho potuto,
così come allora comprendevo di poter e doverci essere.
Ti ho visto nelle tue difficoltà
e ancora mi dico che avrei dovuto fare di più per te,
ma poi, quando mi ascolto, mi rendo conto che non potevo toglierti
ciò che era tuo: il tuo cammino, le tue sfide, il tuo dolore.
Avrei voluto che tu non passassi di lì, ma era la pretesa
di uno che non vedeva chiaro nei compiti che la vita assegna a ciascuno.
Oggi so che la tua fatica era funzionale a ciò che dovevi apprendere;
la mia dedizione, il mio provarci era anch’esso funzionale
alle mie necessità di comprensione.
Oggi, con discrezione e timore posso provare ad affermare,
che quello che abbiamo vissuto era necessario ad entrambi
e, attraverso quello, siamo divenuti persone migliori,
con una comprensione più vasta.
Sono grato a te e alla vita della possibilità
della nostro cammino comune
e so che quello che abbiamo imparato
è inscritto nel nostro interiore per sempre.


Se hai domande sulla vita, o sulla via, qui puoi porle.
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5 commenti su “Dove arriva la responsabilità dei genitori?”

  1. Grazie Robi. L’averti incontrato in questa esistenza, è ed è stato funzionale affinché non mi perdessi. Sento profondamente ciò che dici, come l’unica via possibile. Ciò dà un senso al dolore, non lo copre, non lo nega. Semplicemente si fa strumento per una comprensione più profonda. La gratitudine per ciò che la Vita mi ha dato, compresa l’insegnamento che Francesco mi ha lasciato, è Grande!
    Un abbraccio

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  2. Grazie davvero! Il sentimento che provi nei confronti del figlio a volte annebbia il conosciuto e magari lo scuotimento che deriva dal rileggere certi concetti riporta serenità. Grazie

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