Prendersi troppo sul serio

Dice Catia commentando il post su Identificazione e gioco: “Capisco che la vita è rappresentazione dove accadono le scene utili al nostro cammino evolutivo, ma non riesco a leggerla come gioco. Non ho allora compreso? Sono ancora troppo identificata?”
Troppi di noi si prendono troppo sul serio e questo dipende dal tasso di identificazione.
La vita è vissuta più come dramma che come rappresentazione: il dramma implica identificazione, la rappresentazione un certo grado di neutralità.
I torti subiti, i tradimenti, le incoerenze, le ingiustizie vengono rubricate negli angoli più austeri della sconfinata biblioteca del censore.
Il censore ci induce a fare sul serio, ad essere seri perché la vita è una faccenda seria.
No, la vita è una rappresentazione: né commedia, né dramma. Non è ne seria, né faceta, è un’officina esistenziale.
Se ci ricordiamo che è un’officina, ci autorizziamo ad essere asini e autorizziamo gli altri.
Un’officina, questa è la chiave per tenere a bada il censore: se vedi l’asino in te, liberi l’asino dell’altro e, se li liberi entrambi, siamo alla fiera degli asini.
Quando ci prendiamo troppo sul serio è perché non abbiamo fino in fondo compreso la nostra natura imperfetta e non l’abbiamo ancora sufficientemente coperta con il velo della compassione.
Eccola l’altra chiave, la compassione: nell’esperienza della compassione, tutto può essere sorretto, tutto ha un suo spazio, ogni aspetto del reale per il semplice fatto che esiste ha una sua legittimità.
In quest’ottica, sorretti da questa comprensione, ci dobbiamo piegare: prendersi troppo sul serio è un non piegarsi ai fatti, è un osservarli e giudicarli a partire da un assunto astratto.
Guardando alla mutevolezza della vita, ai mille gradi del sentire, al fluire di tutti i processi si diviene molto pragmatici: tutto e tutti mutano, nessuno conosci, il presente svela i mille riflessi di ciascun processo.
Solo un sorriso può compendiare tutto questo.


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1 commento su “Prendersi troppo sul serio”

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