Parigi: il cammino di Caino e di Abele

Dice un’amica: “ Ieri sera, vedendo quelle immagini di Parigi, il mio pensiero è andato ai “carnefici” a chi erano e al fatto che pur di dare la morte sono andati incontro alla loro morte; in quale ambiente sono cresciuti e condizionati, chi e cosa li ha convinti ad agire così, erano tutti giovani..”.
Il mito pone il gesto di sopraffazione di Caino su suo fratello Abele, all’inizio della storia dell’umanità a ricordarci che il gesto dell’uccidere non è un accidente, ma un passo di un lungo cammino.
La sociologia cerca nell’ambiente le cause che generano l’uccidere credendo che sia l’ambiente che plasma le persone: noi, nella nostra limitata visione, riteniamo che sia la coscienza che crea l’ambiente nel quale rappresenta i propri processi. L’ambiente così creato è sempre il più adatto ai processi stessi.
Dietro al gesto di Caino c’è una coscienza che non ha compreso che non si può uccidere e che mette in atto quel gesto sulla base di una spinta egoistica, impregnata della più profonda ignoranza di sé, dell’altro, della vita.
All’origine del gesto di Caino ci possono essere molte ragioni ma, quella di fondo, recita: “Non ho compreso, non si è ancora dischiusa al mio sguardo la visione dell’altro come fratello e sorella a cui mi unisce la condivisione del cammino del conoscere, del divenire consapevole, del comprendere. Vedo l’altro come nemico ed avversario, come ostacolo da abbattere. Questo è un limite della mia visione, ma non so e non posso governarlo, non ne ho gli strumenti e, di conseguenza, mi concedo di interferire e di infierire sulla vita dell’altro nei modi e nei tempi che mi detta la mia mente.”
Ed Abele? Muore Abele a caso? Perché muore così e non di vecchiaia, o di infarto?
E’ casuale il modo di morire dell’umano, o rientra anche esso nel progetto della coscienza? Sono morte per sfortuna le tante, troppe persone di Parigi?
O sono morte l’ultima ora del loro calendario nel modo necessario ai loro personali processi esistenziali?
Nel tempo, nella storia, quanti Abele sono morti sparati come uccelli in una caccia macabra? Non sparavano i soldati sui nativi americani come fossero piccioni?
Non sparavano alla stesso modo i soldati francesi in Algeria? E cosa facevano i soldati americani quando entravano in un villaggio vietnamita? O i soldati tedeschi nell’ultima guerra, nella shoah?
Ma la storia esistenziale ed interiore dei singoli non si conclude con il gesto di Caino: c’è la legge dell’equilibrio che governa il mondo, e questa opera prima di tutte le leggi fisiche che l’umano conosce attraverso un’altra legge, quella di causa-effetto, il karma.
Come imparerà la coscienza di Caino che non si può uccidere? In molti modi possibili, uno dei quali è la possibilità di vivere l’esperienza dell’essere ucciso nello stesso modo in cui ha sperimentato l’uccidere.
Perché il karma opera come il taglione, dente per dente? No, perché il karma educa alla comprensione obbedendo alla legge dell’equilibrio: se quella coscienza ha già compreso che uccidere è sbagliato, non avrà alcuna necessità di vivere l’esperienza dell’essere ucciso; se non lo ha compreso, le si apre quella possibilità.
Concludendo: Caino uccide Abele il quale non è la vittima, ma colui che sperimenta la portata dell’esperienza del venire uccisi per ragioni di comprensione sue, determinate dal suo karma personale. Caino, uccidendo, attiva una causa mossa dalle sue non comprensioni e dalla sua ignoranza e si troverà, nel tempo delle vite, ad affrontarne gli effetti.
I fatti di Parigi, da un punto di vista interiore parlano di questo; da un punto di vista sociale narrano di molto altro e di quello ho discusso molto in passato in situazioni analoghe.


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2 commenti su “Parigi: il cammino di Caino e di Abele”

    • Tutto accade perché accadendo produce conoscenza, consapevolezza, comprensione.
      Accade quello che è necessario alle trasformazioni interiori della persona, alle comprensioni necessarie alla sua coscienza.

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