Il piccolo quotidiano (2)

Comunità per la via della Conoscenza | Voce nell’impermanenza
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Soggetto: Normalmente il modo di vivere dell’uomo si articola e si struttura in base a delle scommesse e ad una perdurante eccitazione, ed è questo che poi lo porta a vivere in un continuo sballottamento. Quindi l’uomo vive lo sballottamento finché si ostina ad inserire nel quotidiano delle scommesse per poi scoprire che alcune non vanno in porto e che altre esauriscono in fretta la loro carica; ed allora dall’eccitazione l’uomo passa alla delusione in un continuo su e giù. Voi tutti vi esaltate e vi deprimete – su e giù, su e giù – eppure state già vivendo in modo diverso da quello di cui siete consapevoli, e cioè state già vivendo un processo di disconnessione interiore.

Voi vi ritenete esseri più o meno armonici che perseguono la coerenza tra pensieri, emozioni e comportamenti, e quindi pensate che il vostro compito sia cercare di migliorare quella coerenza per giungere ad una sempre maggiore armonia che aumenterà la vostra apertura verso il mondo e verso gli altri. E per raggiungere questo obiettivo ritenete che pensieri, emozioni e comportamenti “dovrebbero essere” coerenti rispetto alla vostra meta evolutiva. Avete inoltre bisogno di creare una continuità nei pensieri, nelle emozioni e nel vostro agire in un quotidiano che invece è fatto di tanti piccoli atti che si aprono e si chiudono. E quindi mai riuscite a piegare il tempo a voi e mai riuscite ad incontrare ciò che il tempo presenta nel suo bussare. Sovente vi perseguita la sensazione che il tempo sfugga via e che ciò che riuscite ad ottenere dai vostri sforzi per migliorare interiormente sia ben misera cosa.

Siete pertanto abituati a vivere il quotidiano in un continuo tentativo di dargli un senso che abbracci un fine evolutivo, e, intenti a quello scopo, neanche vi accorgete di non essere quella agognata unitarietà interiore ben coerente col vostro agire, ma che in voi è già presente un processo di disconnessione che crea continue fratture fra un’azione e l’altra, fra un pensiero e l’altro e fra un’emozione e l’altra. Voi date senso al quotidiano attraverso le scommesse, i progetti e le conquiste da realizzare, comprese quelle interiori, e perciò vivete gran parte della giornata continuando a guardare a quel che manca rispetto a quel che già c’è.

Oggi stiamo parlando di come vi relazionate con la vita che scorre dentro e fuori di voi, e quindi della possibilità di incontrare il tempo che bussa e di riconoscere l’indifferenziazione della vita che si presenta attraverso ciò che è altro da voi; e quindi non stiamo parlando della vita immaginata ed interpretata attraverso la vostra mente. Badate che questo discorso non riguarda la necessità che ha ogni uomo di dare ordine alle azioni che fanno parte della sfera pratica del quotidiano; no, mettete pure le vostre priorità e le vostre scadenze agli impegni ed ai vincoli che si presentano nel corso della giornata. Noi stiamo parlando di un essere placato che scopre ciò che è altro da sé, perché si è stancato di essere sempre il centro di ciò che la vita presenta e non ne può più di vedere tutto in funzione propria, vale a dire la propria evoluzione, il proprio tempo, le proprie relazioni, la propria vita.

La via della Conoscenza vi mostra che state già vivendo una realtà che non riconoscete e sulla quale sentite, invece, il bisogno di costruire un protagonismo che porta con sé ansie e difese che non fanno che ricondurvi al vostro ombelico ed a ciò che temete di non conquistare, o addirittura di perdere, perché avete in testa solo un “dover essere” che forgiate su di voi, sugli altri, sulla natura, sull’esistenza e persino sul Divino, ed ecco perché accentuate sempre ciò che manca e puntate poco la vostra attenzione su ciò che c’è già. Sia quando vi lamentate che quando vi glorificate, voi state mettendo comunque in campo un “dover essere” che fa da stimolo al vostro sballottamento – i continui su e giù – in quanto siete soliti giudicare un fatto o un essere per ciò che secondo voi “dovrebbe essere”, e non semplicemente per ciò che esso è. Inoltre ambite a trascinare nel tempo una sensazione di continuità, che vi dà la convinzione di continuare ad essere lo stesso centro, pur nel trascorrere degli anni e pur nei vostri mutamenti, e questo vi fa affermare in ogni momento: “Io sono io. E tutto ciò che succede attorno a me mi sottolinea che io continuo ad esistere”.

Appare chiaro che questo modo di intendere la vostra presunta continuità si basa sul considerare ciò che è altro da voi come una conferma ad essa. Siete sempre voi il centro: voi ad essere in difficoltà o voi ad avere successo, voi a realizzare o voi a distruggere, voi gli agenti e voi i risolutori. In base ad una tale modalità di guardare alla vita e di rapportarvi con l’alterità, tutto ciò che vi passa davanti come accadere non riesce a cambiare il vostro modo di vivere e quindi non riuscite a leggerlo come qualcosa che appare e che poi scompare. E così non amate la frattura, ma la continuità che parla di voi, dei vostri pensieri, delle vostre emozioni e del vostro agire, perché avete bisogno di stringere tutto a voi; difatti è proprio il sentirvi continuità di una stessa unità a confermarvi che state stringendo qualcosa in pugno e pertanto il modo con cui vivete è legato ad un illusorio senso di continuità, che trova nutrimento nel vostro passato.

Molto spesso voi trasportate ciò che è successo precedentemente nell’azione successiva, soprattutto quando ne venite eccitati. Nel tempo che bussa non esiste alcuna continuità dell’oggetto precedente in quello successivo, perché il tempo frammenta, frattura, apre e chiude e presenta solo ciò che è altro da voi, sempre diverso anche quando a voi pare uguale. Il tempo bussa e di volta in volta si apre e si chiude, però voi avete la mania di trascinare con voi la coperta del vostro passato, perché solo in questa maniera riuscite a dare continuità, e mai vi viene in mente che è possibile vivere la frattura come completezza, perché siete spinti a vivere la continuità come completezza.

Voi uomini siete soliti vivere in uno stato di preoccupazione per qualcosa a cui mostrate di tenere moltissimo e che costituisce la gran parte del vostro modo di vivere la vita attraverso le relazioni con tutto ciò che vi circonda e con voi stessi; stiamo dicendo c’è in voi un affanno che riguarda il tempo. Il tempo per voi non è una certezza, lo considerate un’incognita ed un assillo. Quell’incognita genera stress e ansia perché è sempre presente in voi l’immagine di un tempo che non vi basta e che vi sfugge di mano; questo dipende anche dai troppi impegni o dai troppi “dover essere” che pretendete di evadere entro un termine stabilito, ma principalmente dipende da quel qualcosa che nasce nell’impatto tra voi e l’altro da voi che appare.

Nel momento in cui pensate che l’altro da voi “dovrebbe essere” in una certa maniera, ed invece si presenta in un modo che non vi aspettavate, e vi disturba, quel tempo che avevate previsto da destinare a lui si trasforma in ansia. Ad esempio, parliamo di un impegno che dura più a lungo del previsto, in cui l’altro da voi vi appare proprio un ostacolo ai programmi che avevate infilato successivamente in quella giornata. In quella situazione che si prolunga si genera ansia in voi perché avevate previsto di fare un’altra cosa e poi un’altra ancora, vale a dire la solita programmazione di un tempo che considerate vostro. Quindi uno dei primi elementi che scatena dentro di voi l’assillo del tempo – che è ciò che vela il suo bussare – dipende dal fatto che non potete mai prevedere che cosa succederà nella relazione con l’altro che, nel suo comportamento, è spesso imprevedibile. Ed è per questo che, nel trascorrere della giornata, voi siete capaci di crearvi un consistente “problema” del tempo; ed anche quando una giornata può sembrarvi piatta-piatta, per sfuggire alla noia riuscite a riempirla di programmi e di impegni, non considerando che in questa maniera basta poco per far sì che si ripresenti in voi il senso dell’insufficienza del tempo. Normalmente vi ingozzate di tutto ciò che potete infilare dentro il tempo che bussa, non aprendogli mai la porta; è proprio una rincorsa a programmare gli impegni per riuscire ad infilare una serie di azioni dentro il tempo della giornata seguente, se prevedete che domani la giornata sarà calma. Questo infilare impegni e questo ingozzarvi di azioni dipende dal fatto che vi sentite vivi solo nell’eccitazione e nello schermarvi dal bussare del tempo della vita, un tempo che presenta fatti ed esseri in una successione che si apre e si chiude, mentre il tempo della vostra mente, quello funzionale a voi, si allunga, si restringe e si dilata in base a ciò che, come sempre, riguarda voi.

Il contro-processo insito nella via della Conoscenza conduce l’uomo a fare il percorso inverso, portandolo ad amare la ripetizione monotona del vivere gesto dopo gesto in un quotidiano routinario che non fa nascere nell’uomo il bisogno di stiparlo di impegni che eccitano la propria mente. Ma tutti voi ancora vi industriate per ingozzarvi del tempo, trovando mille ragioni per dare senso a quella giornata ben stipata di impegni; però in tal modo riconfermate solo la vostra abitudine a trascinare l’una cosa nell’altra, impedendovi di scoprire che ogni atto si apre e si chiude. Difatti siete pieni delle vostre scommesse, e così la vostra mente si eccita e voi vi sentite vivi nel trascinare qualcosa di irrisolto dentro il momento successivo. Ricordatevi che, finché stipate, non c’è posto per l’incognito che appare in ogni piccolo atto, visto in sé, nella sua apparente ripetizione e monotonia.

Proviamo a sottolineare queste tre parole: tempo, vita e bussare del tempo. Il tempo funzionale a voi, cioè la costruzione di un tempo tutto vostro e ben scandito dai vostri programmi, è una creazione che esiste solo nella vostra mente. Eppure voi non avete possibilità di fare esperienza del tempo senza trasformarlo in una successione di ciò che vi riguarda e che perciò ha sede solo dentro gli anfratti della vostra mente, che lo cavalca, che lo dilata e che continua a sottolineare l’insufficienza di un tempo che si esprime solo nel bussare, aprendo e chiudendo ogni atto. Ma secondo voi il tempo è anche il vostro passato, cioè una struttura di oggetti psichici a cui avete dato una vostra organizzazione, e quindi siete portati a considerate “tempo” la line di successione, da voi creata, tra passato, presente e futuro, all’interno della quale stabilite cos’è il futuro per differenza rispetto al presente e rispetto al passato. Ma il presente, visto in sé, non ha successione temporale: non c’è null’altro che presente, e se non c’è né futuro e né passato quel vostro tempo muore.

Ad esempio, l’Eterno Presente, che è la dimensione del Divino, è non-tempo, ma per l’uomo è impossibile raffigurarsi l’attimo senza tempo. Si parla di attimo per rappresentare ciò che non ha estensione, altrimenti voi introducete il concetto di presente come qualcosa che continua, ed in questa maniera non fate altro che recuperare passato e futuro. Quindi il concetto di attimo presente per voi è inesprimibile, in quanto l’uomo non fa esperienza dell’attimo senza tempo, e questo dimostra che c’è una differenza profonda fra il tempo della vita e il tempo funzionale alla vostra mente, che non può fare altro che procurarvi sempre nuovi oggetti psichici, cioè nuove esperienze che voi interpretate e che diventano vostro bagaglio. Difatti, ogni volta che la vostra mente si trova di fronte a qualcosa di nuovo o di diverso, lo elabora, lo immagazzina e lo trasforma nel proprio consolidamento, o nel proprio cambiamento, o riadattamento o riaggiustamento. Questo crea quel movimento che fa sì che la vostra struttura mentale continui ad esistere in quanto modificabile, riaggiustabile e riadattabile; processo utile anche in una via evolutiva, dove l’uomo è chiamato a sminuire il proprio io in una progressione che utilizza il tempo in funzione propria: l’uomo che desidera evolvere pian piano si proietta in un rimpicciolimento per lasciare che la vita ed il Divino lo invadano.

Quindi il tempo, quando viene utilizzato dalla vostra mente, è da immagazzinare e da rielaborare e perciò l’uomo non considera concepibile qualcosa che si presenta – punto! – perché in quel presentarsi c’è già tutta l’eccitazione della sua mente che fa scattare un’etichetta, poi una classificazione e poi un’interpretazione; pertanto la vita che “si presenta” – impersonale – nella vostra mente si trasforma in etichetta ed impossessamento. Ci sono volte in cui la vita nel presentarsi – punto – appare ai vostri occhi come un uragano, ed è quando, per esempio, vi strappa chi amate; voi potete pure accettarlo o non accettarlo, comunque ve l’ha presentato: è lì e non ci potete fare niente.

Il bussare del tempo – che è solo una metafora – rappresenta altro: il tempo bussa, cioè semplicemente si presenta e voi potete anche non aprire la porta. Aprire la porta, nella metafora, significa riconoscere ciò che si presenta così com’è; a quel punto l’individuo è stato piegato ad una prospettiva in cui riconosce che quel presentarsi non gli appartiene e non lo elabora a modo suo perché subito si mostra essere altro da lui. E’ un individuo che si trova nel silenzio e perciò ha smesso di costruire un proprio tempo per schermarsi dal tempo della vita. Invece, quando si parla del tempo della vita che si presenta, si intende la realtà, e non ha alcuna importanza che a voi appaia piacevole, oppure vi appaia spiacevole, o irricevibile – comunque accade – perché la vita è irriducibile, nonostante tutti gli sforzi di ogni uomo di addomesticarla. Ad esempio, la morte di una persona a voi cara, nell’ottica di chi aderisce alla vita, è solo impermanenza: nasce e muore; ed un terremoto è solo un evento naturale: nasce e muore. Tutto ciò che accade è semplicemente nascita e morte ed il tempo della vita sancisce che ogni cosa ha un termine: inizia e poi finisce. Quindi per l’uomo il tempo della vita è provocazione sia quando lui si ritiene confermato dai fatti, sia quando si sente deluso, perché comunque tutto ciò che nasce poi muore. Anche l’uomo ogni giorno nasce e muore ma non ne è consapevole perché è tutto preso ad attuare una propria continuità fittizia.

La vita scorre, anche se ciò che sta dentro quello scorrere nasce e muore; se permanesse non ci sarebbe più lo scorrere.

Un partecipante: In un uomo che aveva iniziato a rapportarsi con l’idea di impermanenza, che cosa può provocare una tragedia in cui perde tutto?

Soggetto: Semplicemente in quel momento constata il suo rifiuto per l’impermanenza.

Un partecipante: Ma arriverà un momento in cui amerà quell’impermanenza?

Soggetto: Se accadrà, sarà dopo aver lasciato tutto il tempo alla sua mente di borbottare, di inveire e di crocefiggere vita e Divino. Ad un certo punto potrà accadere che lui capisca che non ha più parole da aggiungere perché gli sembra talmente grande quello che è successo che non riesce più a fare appello alla sua mente e si trova costretto a fare appello ad altro per ritrovare un senso a ciò che è accaduto. Inizialmente non è amore per l’impermanenza, ma è un ritrovare un senso alla vita che lui dichiara essere stata distrutta. E siccome non basteranno più le affermazioni che gli potevano bastare un tempo, e cioè che in tutto quello che gli è capitato c’è un disegno, si ritroverà a fare appello a quel qualcosa a cui era giunto attraverso questo insegnamento – ad esempio il mistero dell’impermanenza – e che ha abbandonato per lasciare esplodere la sua mente, perché calpestata dalla violenza con cui ha letto il presentarsi della vita.

Avviene proprio un’aperta ribellione in colui che crede di essersi piegato all’idea dell’impermanenza e che quindi ha maturato la convinzione di aver fatto un passo avanti nella via evolutiva e perciò pensa di non incontrare più tutto quello che altri incontrano perché a loro – come voi tutti pensate – la vita “deve” ancora insegnare qualcosa. Nella via della Conoscenza tutto questo non esiste, perché in un qualsiasi momento ogni cosa può accadere a chiunque, senza distinzione alcuna; è semplicemente gratuità che accada a qualcuno un fatto e ad un altro un altro fatto, indistintamente. Quindi, dopo che la mente di quell’uomo avrà recitato la sua ribellione, lui potrà incontrare tutta la povertà di quella sua struttura mentale; a quel punto non darà più affidamento alle risposte che può trovare in sé, e quindi non potrà che ripartire dalle risposte a cui era giunto prima che accadesse quel grande dolore.

A quell’essere qualsiasi altra risposta parrà povera cosa perché sarà giunto il momento in cui capire che quel dolore non può che trasformarsi, e diventare altro, ed allora si imporrà nuovamente l’impermanenza proprio alla luce dei nuovi fatti. Quindi, prima o dopo, si imporrà in lui un forte bisogno di trovare una diversa risposta ad un dolore così sconvolgente, ed a quel punto gli apparirà chiaro che non esiste altra prospettiva che potrebbe convincerlo; questo nel caso in cui quell’uomo sia già stato piegato e contemporaneamente affascinato dalla radicalità della via della Conoscenza, che è la radicalità della vita.

Un partecipante: Dalla tua risposta mi sembra di capire come una grande rabbia possa portare l’uomo alla riscoperta del piccolo.

Soggetto: E’ umano il bisogno di esaurire una rabbia. Spesso aperte ribellioni portano poi a chinare la testa ed a scoprire che quella rabbia sta già riconducendo quell’essere alla vita. Pensieri ed emozioni non sono vostri, ma vi attraversano e quindi quella rabbia fa parte della vita, anche quando la considerate vostra e sentite il bisogno di mantenerla accesa e di non lasciarla andare. In un secondo tempo il lasciare andare trasformerà quella limitata visione umana e l’uomo riconoscerà che pensieri ed emozioni fanno parte della vita e, come ogni cosa, nascono e muoiono. Durano soltanto in voi finché li rendete vostri, finché li stringete, finché li trascinate, ma se li lasciate andare alla loro spontaneità, allora li vedrete nascere, morire o trasformarsi, e vi ricondurranno allo scorrere della vita. E’ la vostra mente che non scorre mai: si ostina, si ingarbuglia, si pianta.

Un partecipante: Come entrare nella via della Conoscenza?

Soggetto: Comincia col dubitare di ciò che afferma la tua mente, e non rispetto alle attività pratiche quotidiane, ma rispetto ai giudizi che pronunci su ciò che è altro da te. E’ dalla pratica del dubbio che si può iniziare una riscoperta della propria mente, a cui l’uomo sempre si affida, ed attraverso il dubbio lui incomincerà a rendersi conto di quanto ripetitiva e banale sia la propria mente – vista nei suoi meccanismi e nel dualismo – e tenderà a identificarsi sempre meno nei giudizi che nascono in essa. La struttura della vostra mente è ciò che avete costruito e poi sperimentato come modo di stare nel mondo, ed è lì che è necessario porre l’attenzione, ma questo non succede finché non si è stanchi del proprio modo di vivere, che porta a desiderare che altro avvenga.

 

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